Story
Chissà perché non mi venne in mente che Oleg ora non aveva modo di tornare a casa finché non mi consegnò le chiavi. Aveva lasciato la Denali al locale!
Ok, vabbè.
Sarebbe dovuto rimanere per la notte. Mmm... strano.
Non mi dispiaceva. Avevo già pensato in passato di portarmelo a casa. Voglio dire, ero sicura al centocinque per cento che sarebbe venuto, se glielo avessi chiesto. Era il mio fan più devoto, dopotutto.
Mi guardava in un modo che mi faceva sentire caldo e formicolante. Mi proteggeva come se fosse la mia guardia del corpo personale, mettendo il suo corpo tra me e tutti i membri del pubblico ubriaco che si avvicinavano troppo.
Ero entusiasta di suonare al Rue ogni settimana sapendo che quel ragazzone tatuato sarebbe stato lì, che si sarebbe trovato tra il pubblico per me. Sapendo che non mi avrebbe tolto gli occhi di dosso.
Probabilmente l'unica ragione per cui non ci avevo mai provato era perché allora quello che avevamo sarebbe finito. Sarebbe diventata un'altra delle mie relazioni di breve durata, e non saremmo mai stati in grado di tornare al punto precedente. E adoravo avere una guardia del corpo silenziosa sempre presente.
E se avessimo fatto sesso e non ci fosse piaciuto?
In quel caso avrebbe smesso di venire.
Cosa che avrebbe fatto di lui uno stronzo, ovviamente, ma così mi trovavo in una bolla in cui potevo ancora fantasticare.
E se si fosse fatto inquietante? Non mi dava quell’impressione, ma non ero mica stupida. Era una possibilità. Per certi versi con lui mi sentivo al sicuro. Per certi versi sentivo che non mi avrebbe mai fatto del male.
Ma soprattutto non volevo che diventasse come gli altri con cui ero uscita, frequentazioni di pochi mesi conclusesi prima che le cose si facessero serie. La mia sorellina diceva che si trattava di un meccanismo di protezione. Che li lasciavo prima che potessero lasciarmi loro. Probabilmente aveva ragione.
A ogni modo, tutto quello che sapevo era che Oleg era diverso da quelli lì. Speciale. Lo stavo prendendo in considerazione. Avrei dovuto invitarlo a entrare? O ringraziarlo per il passaggio e chiedergli se voleva che gli prenotassi un Uber?
Sapevo che nel caso dell’ultima opzione se ne sarebbe andato senza provarci. In fondo erano passati tantissimi mesi e non aveva mai provato una volta a riaccompagnarmi a casa né a uscire con me. Non mi aveva chiesto il numero né mi aveva dato il suo.
Si presentava e basta. Alla stessa ora ogni settimana.
Affidabile come non era mai stato nessun altro nella mia vita, davvero.
E sì, sapevo che non poteva parlare per chiedermi di uscire. Annie, la cameriera del Rue, me l’aveva detto quando aveva iniziato a venire. Aveva detto che di solito ordinava indicando la birra di qualcun altro. Non sapevo nemmeno che fosse russo, fino a quando i suoi amici non erano venuti con lui e ci avevano presentati. Ed era quella consapevolezza a tranquillizzarmi sulla mia sicurezza. Non avrebbe fatto nulla di strano. Se ne sarebbe andato, se glielo avessi detto io. Mi avrebbe rispettata, nessun dubbio, cazzo.
Lo sapevo perché l’avevo scalato come un albero durante le esibizioni. Era una delle cose che preferivo fare. Piegavo il dito dal palco, e lui si lanciava dal suo posto per posizionarsi in piedi, in modo che potessi lanciarmi in un salto in stile Dirty Dancing nelle sue mani. O strisciare sulle sue spalle o cadere tra le sue braccia. Potevo contare sul fatto che mi avrebbe presa e portata in giro mentre cantavo. Era diventato parte della performance. I membri della band e i miei fan se lo aspettavano. Sapevo che Oleg non mi avrebbe mai lasciata cadere.
«Andiamo» gli dissi.
Esitò, guardandomi con tanto sospetto da farmi ridere.
«Devi accompagnarmi alla porta.» Sembravo più ubriaca di quanto non fossi.
Sbattei le palpebre. Un secondo prima si trovava a cinque metri di distanza, dall'altra parte del furgone, quello dopo era al mio gomito, tenendomi quando non camminavo in linea retta sul marciapiede.
Aprii la porta dell'edificio.
Oleg non si mosse.
«Devi guidarmi fino a casa mia» gli dissi. «E se qualcuno cercasse di importunarmi sulla tromba delle scale?»
Le sopracciglia gli si inclinarono verso il basso.
Ok, forse non ero così sobria come pensavo. Mi era uscita una vera sciocchezza. «Tu sei la mia guardia del corpo» affermai. Era un dato di fatto che sapeva già anche lui, visto che si era autocandidato al ruolo.
Salimmo le tre rampe del vecchio edificio in arenaria fino al mio piano, dove armeggiai con le chiavi in cerca di quella giusta. Quando aprii la porta, Oleg fece un passo indietro. Era enorme: spalle larghe, petto gonfio, braccia grosse come tronchi d'albero. I capelli castano scuro tagliati corti come la barba.
«Ti va di entrare?»
Il suo sguardo marrone caldo mi squadrò il corpo ma scosse la testa. Fui sorpresa di esser tanto delusa dal suo rifiuto. Voglio dire, ero certa del contrario. Non c'era modo di capir male una cosa del genere, no?
Mi piazzai di fronte a lui e mi appoggiai, in punta di piedi per buttargli un braccio intorno al collo e spingere il mio viso verso il suo. «Perché no?»
Si bloccò, il suo grande corpo si irrigidì.
Se non avessi sentito la sua erezione spingere verso la mia pancia, avrei pensato che non fosse interessato. Ma lo era. «Perché ti trattieni?» Sussurrai. Gli tirai giù la testa e chiusi le labbra sulle sue, assaggiandolo.
Rimase rigido per un secondo.
Due.
«Ti prego» dissi, bramosa di fargli capire che lo volevo davvero.
E poi si riprese. Sbattei la mia schiena contro il muro accanto alla mia porta mentre Oleg dava sfogo ai mesi di attrazione repressa tra di noi. Una mano robusta mi afferrò il culo, l'altra mi catturò la nuca e lui mi reclamò la bocca come se fosse la sua ultima possibilità di respirare.
Il mio nucleo si fuse immediatamente. Mi strofinai sulla gamba che aveva spinto tra le mie, baciandolo di nuovo con un bisogno frenetico quanto il suo. Non sentivo la lingua, ma usai la mia, probabilmente in modo troppo sciatto. Mi massaggiò il culo, aiutandomi a scopargli la gamba.
Allungai la mano per aprire la porta, poi afferrai in un pugno la maglietta nera di Oleg, tesa sulle sue spalle larghe e i pettorali cesellati, e provai a tirarlo dentro l’appartamento. Provai fu la parola chiave.
Perché Oleg non si mosse.
Il pulsare tra le mie gambe mi rendeva ansiosa.
«Entra» lo incoraggiai.
Scosse la testa.
Ma che…?
«Oleg, entra» lo dissi più come un ordine. Ma insomma, gli piacevo. Mi avrebbe dato ciò di cui avevo bisogno, giusto?
Scosse di nuovo la testa, poi mimò il gesto del bere.
Ah, cazzo. Davvero?
«Non mi toccherai perché ho bevuto?»
Annuì.
Era davvero un tale gentiluomo?
«Molto… molto dolce.»
Davvero, davvero dolce.
«E fastidioso. Oleg, non puoi farmi questo» ragionai, tirandolo dalla camicia. «Il bacio mi ha scaldata e agitata. Non puoi lasciarmi così bisognosa. Non è giusto.»
Abbassò le sopracciglia di nuovo. Serrò la mascella. Si asciugò il labbro inferiore con il pollice, gli occhi gli ricaddero sulla mia bocca. Lo vidi lottare. Il ragazzo che mi rispettava contro quello che non voleva negarmi nulla. E c'era anche quello con le palle blu. Perché sentivo la sua erezione, ed era dura come la roccia.
Come prima, nel momento in cui prese la decisione, entrò in azione. Mi spinse all'indietro, nel mio appartamento da una sola camera da letto, poi prese a calci la porta e la chiuse a chiave. «Sì, Oleg.»
Lasciai cadere la borsa, mollai la giacca e affondai di nuovo sulle sue labbra. Ci baciammo come se fosse stata una gara per vedere chi riusciva a divorare l'altro per primo. Ancora nessuna lingua da parte sua, però. Neanche fosse stato troppo un gentiluomo anche per quello. Mi prese in braccio, mettendomi l’avambraccio sotto il culo, e io gli cavalcai il forte busto con le gambe. Si girò in cerchio per orientarsi e poi scelse correttamente la porta della camera, dove mi portò e mi lasciò cadere al centro del letto.
Nel momento in cui fui giù, strappò il buco delle calze a rete – come se distruggerle fosse un crimine premeditato – e poi trascinò la bocca aperta lungo il mio interno coscia interna fino a quando non incontrò il bordo dei pantaloncini corti che indossavo sopra le calze. Lì morse il tessuto e tirò; il calore del suo respiro soffiò sul mio nucleo.
«Impaziente, eh?» chiesi con una risata. Lui grugnì in risposta. Quel suono... cazzo, mi fece sciogliere la figa.
Corsi a sbottonare i pantaloncini, spingendoli giù per i fianchi.
Prese il sopravvento, tirandomeli giù dalla vita, insieme alle calze a rete.
Risi quando raggiunse gli stivali.
Emise un gemito scontento e strappò i lacci.
In pochi secondi, li buttai via e fui nuda dalla vita in giù.
Oleg mi afferrò entrambe le gambe e mi tirò giù dal letto. Era un amante aggressivo, diversissimo da come me lo immaginavo, ma lo adoravo. Voglio dire, mi calzava come un guanto. Mi morse e baciò il nucleo ma, per qualche ragione, trattenne la lingua. Forse gli faceva schifo leccare laggiù. S’infilò invece una delle grandi dita all'interno della guancia per inumidirla e poi strofinò il mio ingresso.
Ero già bagnata per come mi aveva trattata, e il dito scivolò dentro. Di solito non mi piaceva essere scopata con le dita. Erano troppo piccole. E non abbastanza morbide. Troppo sottili.
Ma il dito di Oleg era enorme. Grande come il cazzo di un ragazzo normale. E accidenti se sapeva usarlo. Spinse un paio di volte, poi inserì un secondo dito e iniziò ad accarezzarmi la parete interna.
Aprii bocca per il piacere quando trovò quello che doveva essere il mio punto G. Le cosce mi si contrassero e sbatterono contro le sue spalle larghe. Accarezzò e girò intorno al fascio di nervi fino a quando non fui che un pasticcio tremante, poi iniziò a scoparmi con le dita in modo duro e veloce.
«Oh Dio» ansimai, afferrandogli il braccio libero come alla disperata ricerca di qualcosa a cui aggrapparmi in quella corsa selvaggia.
Infilò la mano sotto la mia canottiera e spinse giù la coppa del reggiseno. Fui scioccata quando mi pizzicò il capezzolo, forte. I miei fianchi si staccarono dal letto in risposta, portandogli le dita più in profondità. Sbattei la testa sul letto; c’ero quasi…
Emise un verso con la parte posteriore della gola e mi scopò più velocemente. Il suo pollice mi costeggiò il clitoride mentre pompava con le dita e io venni come un petardo, esplodendo nel piacere e nel mio primo e unico orgasmo da dita.
«Oh mio Dio!» Ripetei, i muscoli ancora tremanti, tutti spasmi.
Ero sbalordita.
«È stato pazzesco. Bellissimo.» Gli strofinai il rigonfiamento del cazzo nei pantaloni. «Sono decisamente pronta. Sono stati i migliori preliminari della mia vita.»
Ma Oleg si allontanò dal letto e scosse la testa.
«Oh mio Dio! Davvero?» Mi alzai e lo seguii, per lo più nuda com’ero. «Perché no? Perché ho bevuto? Mi è passata.» Era pazzesco implorare per il sesso. Non era il mio solito scenario. Neanche lontanamente.
Uscì dalla camera da letto per dirigersi nella zona giorno. Aprì gli armadietti finché non trovò un bicchiere, che riempì d'acqua e mi porse.
Mi lasciai andare a uno scherno di protesta, ma accettai perché era incredibilmente... dolce. Ma era almeno un ragazzo vero?
Tanta dolcezza era molto in contrasto con la sua brutalità a letto: una combinazione che trovavo inebriante. Come sale e cioccolato. Non si pensa che si sposino bene finché non si provano, e a quel punto ci si chiede perché non aromatizzino tutto con sale e cioccolato. Volevo di più da Oleg. Lo volevo tutto.
Guardò il bicchiere poi sollevò il mento, incrociando le braccia sul petto.
«Quella posa da prepotente non funziona con me» gli dissi, sforzandomi di non sorridere. Avrei voluto dimostrarmi esasperata, ma non ci riuscivo. Il mio stalker russo era tanto rispettoso e protettivo quanto me l’ero immaginato. Scolai l'acqua e posai il bicchiere sul bancone. Abbassò un sopracciglio come per dire: «Vedi?»
Alzai gli occhi al cielo. «Siamo a posto? Vuoi tornare in camera da letto?»
Scosse la testa, ma si mosse verso di me. Le mie membra si allentarono, la sua vicinanza mi trasformò in gelatina. Ma poi mi gettò sulla sua spalla, sculacciandomi il culo nudo mentre mi riportava in camera.
«Ooh!» Risi. «Sculacciami, paparino.»
Si chinò per scostare le coperte, poi mi sdraiò con tanta cura che mi venne quasi voglia di piangere. Il culo mi formicolava per la sculacciata.
Ma chi era quel ragazzo?
Ma perché non me l’ero portato a casa prima?
Scostò le coperte e mi infilò dentro, poi mi sfiorò con la parte posteriore delle dita la guancia, fissandomi con la stessa intensità con cui mi guardava esibirmi. Come se fossi l'unico essere umano in tutto il mondo. Quando ero sul palco, alimentava la mia performance. Ma in quel momento mi faceva battere il cuore più forte. Era troppo intimo. Leggermente terrificante.
Ma poi finì tutto, perché se ne andò. Sapevo che non poteva parlare, ma non fece un cenno né un saluto. Se ne andò e basta. Sentii la porta d'ingresso aprirsi e chiudersi. Fui certa, anche senza controllare, che aveva girato il lucchetto sulla maniglia prima di chiuderla, per assicurarsi che fossi al sicuro.
Tirai le coperte più vicino e mi accucciai tra i cuscini. «Pazzo russo» sussurrai a me stessa, sorridendo. Tutto il corpo mi ronzava per il nostro piccolo interludio.
Volevo di più da lui. Molto di più. Ma ero anche delusa dal fatto che avessimo rotto il sigillo sulla nostra relazione, perché sapevo per esperienza che non sarebbe durata a lungo. Ero il tipo che non si affezionava. Fuggivo non appena le cose diventavano serie. Non sapevo perché. Provavo ansia in fondo allo stomaco. La consideravo la mia guida interiore, quella che mi diceva quando era ora di interrompere le cose. Così non finivo distrutta dall'amore, come era sempre successo a mia madre.
Che lo era tuttora.
La cosa si sarebbe consumata nel giro di poche settimane, come facevano tutte le mie relazioni, e poi sarebbe finita. E poi non sarei mai più potuta tornare al piacere di esibirmi a un concerto con Oleg fra gli spettatori. A crogiolarmi nel calore del suo sguardo addosso a me per tutta la notte.
Sapendo che c'era almeno una persona tra la folla che era pazza di me.
Vabbè. Era stato bello finché era durato.