Capitolo uno-1
Capitolo uno
Leti avanzò ondulando lentamente nella gabbia di vetro per offrire uno spettacolo migliore agli ospiti dell'imperatore, che passavano sotto una pioggia di luci colorate. Oscillava il culo nudo, pavoneggiandosi negli stivali neri alti fino alle cosce – l’unica cosa che indossava, senza contare il collare nero abbinato e le ciglia finte lunghe più di due centimetri.
Abbigliamento standard da animaletto domestico a Jujo.
Non prestava affatto attenzione al guerriero gigante viola e con antenne che girava silenziosamente dietro le gabbie dell'intrattenimento.
Sta venendo per me.
L'aveva mandato la sua amica Mina. Mina era entrata nel palazzo con due guerrieri della sua specie, dalla pelle color lavanda e pieni di muscoli. Leti non riusciva a ricordare il nome della specie. Gliel'aveva mai detto? La sua amica lo sapeva? Mina aveva creduto, perché glielo aveva detto Dorhock, di essere l'unica rimasta nella galassia. Era solito vantarsi di possedere una femmina di una specie estinta. Diceva che gli avrebbe fatto guadagnare una fortuna, se avesse mai deciso di venderla. Peccato per lui, si era soffocato con un frutto prima di poter vendere uno dei suoi preziosi animaletti domestici. Lei e Mina erano state vendute all'asta per quasi nulla con il resto dei suoi beni.
Per coprire il guerriero viola e per evitare di mostrare la morsa della paura e dell'eccitazione che le scorrevano dentro, Leti premette i seni nudi contro il vetro e si abbassò, poi si voltò dondolò il culo abbastanza velocemente da infuocare la platea. Solo mesi di esperienza nel ballo con gli scomodi stivali dai tacchi alti le impedirono di cadere sul culo.
Il maschio era scomparso dalla sua vista. Stava venendo per lei, no? No, lei lo sapeva. Doveva essere così per forza. L'apparizione di Mina era stata la prima cosa positiva accadutale dall’arrivo nell'inferno di Jujo.
Tzatzu, l'imperatore di Jujo, trattava i suoi animaletti domestici molto peggio di Dorhock. Puniva Leti duramente e la nutriva solo quando riteneva la sua performance abbastanza buona. Ogni sera veniva concessa a un ospite diverso. A volte a più di uno.
Erano affari, per Tzatzu. In realtà non era attratto dalle schiave che possedeva. Non sapeva bene se qualcuno dei jujo lo fosse, il che significava che la sua unica arma, l'unica arma posseduta da un’umana in cattività, lì non funzionava.
Non poteva fare sesso con loro.
Ma ora aveva una via d'uscita. E con il guerriero viola… la storia sarebbe stata diversa. Aveva visto come si era aggiustato guardandola ballare. Ben addestrato e controllato, il viso non aveva mostrato nulla ma il cazzo non poteva mentire.
Le luci principali si spensero e una raffica di fumo esplose davanti alla sua cella. Le scintille colorate brillavano ancora nella stanza, illuminando le nuvole di grigio in una danza inquietante.
Ci siamo! Si voltò e corse verso la porta della gabbia. La barriera elettrica ronzò e scomparve e lei si lanciò fuori, solo per sbattere contro l'enorme guerriero che stava entrando. I seni colpirono il suo petto nello stesso momento in cui quelle mani le si strinsero intorno alle braccia come catene di ferro.
Anche se si aspettava l’arrivo del maschio, il respiro le si bloccò in gola e soffocò per le sue dimensioni e la potenza.
Il profumo.
Speziato e maschile, con una sfumatura di fumo e pietra focaia.
Con un unico movimento fluido la prese in braccio, si voltò e la lasciò cadere a terra di qualche metro, saltando giù dietro di lei. Lo aspettò, ma lui le prese ancora una volta il braccio, come se avesse paura che scappasse. No, in realtà per trascinarla con sé perché, accidenti, correva veloce.
Uscirono da un ingresso sul retro di cui non conosceva l’esistenza, tenendosi vicino al muro a cupola. Il guerriero le schiaffò una piccola maschera d'aria sul viso e la tirò indietro contro la sua figura solida, la testa inclinata come in ascolto. Desiderò che il cuore impazzito le rallentasse, respingendo la paura di essere scoperta. Avrebbe comportato la morte, per lei.
E il guerriero che la stava rapendo non le aveva detto una parola. Aveva ragione a fidarsi ciecamente di lui? Solo perché era entrato con Mina?
Una dozzina di ospiti di alcune specie minuscole passarono di lì a poco mentre loro aspettavano nell'ombra.
Fece piccoli respiri nella maschera, non sapendo se contenesse gas avvelenato o ossigeno. Aveva un odore di pulito, ma il fatto che il guerriero non la usasse la metteva a disagio. No, l'aveva mandato Mina. Aveva già fatto la sua scelta: tutto ciò che poteva fare ora era fidarsi.
Se anche Mina fosse stata ormai la schiava di uno della sua stessa specie, Leti avrebbe preferito essere ridotta in schiavitù con un’amica piuttosto che ritrovarsi nella fogna di Jujo. Ma l’amica non sembrava soggiogata. Era vestita come una principessa con abiti regali e sembrava... dannatamente felice.
Il cazzo del guerriero si contorse contro alla parte bassa della sua schiena, ricordandole la correttezza della sua precedente valutazione. Quel maschio, volendolo, avrebbe potuto influenzarlo. Apprezzava la sua forma umana. E lei sapeva come servirne la virilità. O almeno, lo sapeva se era simile alle mazze di altre varie specie che aveva succhiato nel corso degli anni.
«Brava ragazza. Grazie per essere rimasta in silenzio» le mormorò nell'orecchio, e il sangue le corse all'apice delle gambe.
Apparentemente anche lei poteva essere influenzata dal sesso. Questa era una novità. Era quella voce vellutata e profonda? O erano le impressionanti dimensioni e la statura?
Avrebbe dovuto stare attenta con quel maschio. Avrebbe perso la partita se fosse diventata avida del suo affetto. L'aveva visto accadere più e più volte con gli animali domestici di Dorhock. Non era mai finita bene. Ecco perché aveva una regola personale che le imponeva di non attaccarsi mai emotivamente. Le dava solo un altro modo di soffrire.
Prese in prestito la maschera e prese una boccata di ossigeno, poi la rimise a posto e le strinse di nuovo il braccio, spingendola in avanti finché non si infilarono nell'ingresso posteriore di un hangar.
All'interno c’erano decine di navicelle attraccate fianco a fianco. Le inclinò il corpo dietro il suo, avvicinandosi rapidamente a una. Nonostante le enormi dimensioni, i suoi stivali si muovevano silenziosamente sul pavimento di pietra.
Il suono di una trasmissione di comunicazione nelle vicinanze lo fece fermare di nuovo; le schermò il corpo con il suo.
«Tutte le guardie non di pattuglia nell'atrio» ordinò una voce.
Si erano accorti della sua scomparsa.
«Sì, capitano» rispose la guardia che poteva essere a pochi passi da loro, proprio dietro l'angolo.
Il guerriero la tenne ferma finché non sentirono la porta chiudersi, poi la spinse su per la rampa su una navicella nuova di zecca. Parlò nell’unità di comunicazione. «Femmina recuperata in sicurezza, è sulla navicella.»
«Bel lavoro» rispose un'altra profonda voce maschile. «Resta lì con lei. Possiamo gestire le cose qui.»
«Ricevuto.» Chiuse la trasmissione e si voltò verso di lei. Spostò lo sguardo sui seni nudi e poi lo abbassò sul sesso nudo, liberato dai peli con il laser.
Finse di esaminargli il corpo come lui studiava suo, lasciando che lo sguardo si posasse sull'enorme rigonfiamento dei pantaloni.
Lui si accigliò come odiando ciò che vedeva, ma lei aveva abbastanza esperienza da riconoscere lo sguardo. Pensava di non poterla avere. Aveva fatto il suo dovere salvandola e ora pensava di essere bloccato a farle la guardia con un'erezione abbastanza dura da rompere il marmo.
Prenditene cura e sii amichevole. Questa era la sua seconda regola per sopravvivere come schiava. Premia il maschio che ti ha salvata, mantieni alto il suo interesse finché hai bisogno che ti protegga.
Attivò tutte le sue armi. Gli avvolse le braccia intorno al collo, strofinando i seni contro l’ampio petto mentre ondeggiava i fianchi in una lenta danza.
Il suo corpo si irrigidì, le antenne si indurirono. «Cosa fai?» farfugliò. Il cazzo le spinse contro la pancia, duro e di dimensioni impressionanti.
Continuò a ondeggiare, avvicinando le labbra alla zona di pelle sopra il suo colletto. «Grazie» sussurrò. «Per avermi salvata.»
Non aveva problemi a giocarsi ogni carta in suo possesso, in merito a debolezza e sottomissione femminile.
«Allontanati» gridò a denti stretti.
Qualcosa in quell’irritazione la rese ancora più determinata a sedurlo. Si alzò in punta di piedi e gli mordicchiò l'orecchio.
«Basta, femmina» ringhiò. Allungandosi dietro il suo collo, le afferrò un polso per allontanarglielo dalla nuca. In due secondi netti, le schiaffò un paio di manette ai polsi e li magnetizzò sul muro di fronte a lei.
La mano enorme le batté sul culo.
Il duro colpo le andò dritto al nucleo. La figa le si strinse, l'eccitazione le risuonò lungo l'interno coscia. Era saltata all'impatto, ma si rimise in posizione per lui.
Ancora, ti prego.
Azzeccatissimo, per il suo gioco. L'atto di punire poteva essere erotico per un maschio. E non c’entrava mica nulla il fatto che volesse che lui continuasse per via della propria eccitazione.
Nulla.
No, creare un legame, di qualsiasi tipo fosse, con il padrone era la chiave di un'esistenza da schiava più facile. A volte anche per la sopravvivenza.
Sembrò funzionare. La mano colpì ripetutamente, i forti schiaffi echeggiarono sulle pareti metalliche della nave, i respiri aspri tradirono l'effetto che aveva su di lui.
Cercò di ignorare l'effetto che lui aveva su di lei, ma ogni schiaffo le trasmetteva un nuovo sfrigolio di eccitazione lungo il corpo. Contrasse le cosce insieme per alleviare il pulsare nel clitoride.
Si fermò e le strinse bruscamente una delle natiche inalando rumorosamente. «Sei eccitata.» Sembrò sorpreso. «Quindi è vero che le umane godono per il dolore?»
Lottò per riprendere fiato. «Dipende.»
~.~
Alcune. Paal respinse l'accecante bisogno di scopare la piccola umana finché non avesse urlato. Era quello che voleva. Aveva cercato di prenderlo in giro, strofinandogli quei capezzoli tesi su tutta l’uniforme. Che gioco stava facendo?
Ma non riuscì a resistere, e le fece scorrere le dita tra le gambe per sentire l'eccitazione che aveva annusato. Del nettare glorioso gocciolava dalle pieghe gonfie. Il polso aumentò di tre tacche.
Lei sussultò ma rimase ferma al tocco, come quando l'aveva sculacciata. Inalando respiri profondi e misurati, appoggiò la fronte contro alla fredda superficie metallica.
Stelle, era bellissima. Non poteva negare quello che gli aveva provocato la sua resa, anche se una parte di lui si ribellava per non cadere nella sua trappola. Di qualsiasi tipo fosse quella trappola. Non gli piacevano le femmine che usavano l’astuzia per intrappolare un uomo. Le femmine come sua madre.
«Dipende dalla donna o dipende dal dolore?» Riconobbe a malapena la sua stessa voce.
«Sì.» La risata rauca andò dritta al cazzo già duro. «Da entrambi.»
Poiché toccarle la figa gocciolante lo aveva fatto impazzire, si allontanò e le schiaffeggiò di nuovo il culo.
Sacra stella zandiana, non aveva idea che sculacciare una donna potesse essere così soddisfacente.
Dannazione.
Schiaffeggiò di nuovo. Ogni schiocco di pelle su pelle, ogni respiro acuto che lei inspirava gli provocava vertigini di lussuria. La traccia delle impronte rosse sulla sua pelle caramellata luccicava, attestandone la proprietà.
Kazo, quanto avrebbe voluto una schiava tutta sua. Peccato che il sovrano, il principe Zander, non permettesse più il possesso di schiavi da quando si era accoppiato e aveva liberato la sua umana.
«Perché non mi metti in ginocchio, padrone?» La voce trasudava sesso intessuto in tentazione. «Ti mostrerò i miei ringraziamenti.»
Le afferrò una treccia e ringhiò: «Non sono il tuo padrone.»
Che sfortuna, kazo.
Nonostante l’affermazione, smagnetizzò le manette dal muro e gliele bloccò dietro alla schiena. Quindi si sedette su un sedile vicino e spinse Leti in ginocchio davanti a lui. Perché, diavolo, si era offerta lei, no? E anche se un guerriero più intelligente l'avrebbe rinchiusa in una cabina della navicella per evitare ogni tentazione, moriva dalla voglia di sapere come si sarebbe sentito con quella bocca lussureggiante intorno al cazzo duro.
E – oh, stelle – quella femmina sapeva esattamente cosa stava facendo! Era stata perfettamente addestrata, perché si sedette sui tacchi degli stivali e aprì le cosce per dargli la piena visione del sesso rugiadoso proprio prima di chinarsi in avanti e aprire la bocca generosa.
Le labbra carnose si chiusero intorno alla cappella e i suoi occhi rotearono all'indietro nella testa.
Bisogno.
Desiderio.
Lo prese più a fondo: la lingua gli accarezzò la parte inferiore del membro duro come la roccia.
Kazo, sì!
Afferrò i due chignon appuntati ai lati della testa, quelli che le tenevano ferme le trecce, e la strattonò in avanti per tutta la lunghezza dell’asta.
Le colpì la parte posteriore della gola. Gli occhi dell'incredibile femmina si spalancarono, ma non soffocò nemmeno. Lo inghiottì, fino in fondo, finché le labbra lucide non toccarono la base.
Kazo. Sì.
«Leti» trasalì. «È il tuo nome?»
Sollevò gli occhi castano-fulvi verso i suoi: le lunghe ciglia finte una cornice ridicola a una bellezza naturale così squisita. Sfilò il cazzo e si leccò le labbra. «Leticia, sì. Leti, abbreviato.» Non appena finì di rispondergli, inghiottì di nuovo il cazzo nel suo delizioso calore umido.
Ma che diavolo stava facendo? Era stato inviato dal principe Zander per proteggere la risorsa più preziosa della specie, una donna zandiana in età fertile, ed eccolo qui sulla navicella a farsi succhiare il cazzo da una schiava umana.
Una schiava umana bella, talentuosa e pericolosa.
Pericolosa perché stava tramando qualcosa, di sicuro. E il luccichio negli occhi gli disse che capiva esattamente quanto potere esercitava con quella bocca piena di talento, perfetta e succhiacazzi.
Il bisogno di toglierle il controllo, di dominarla completamente, lo attraversò come una potente droga.
La prese per la gola e la spinse indietro, lontana dal cazzo. La fece girare e le sollevò il culo nudo e il sesso in aria.
Così. Sì.
L’inebriante fervore aumentò alla vista del culo roseo. Aveva bisogno di qualcosa di più di quello.
La sculacciò, forte e costante. La posizione non era buona, quindi si spostò per mettersi a cavalcioni su di lei, rivolto dall'altra parte, in modo da potersi chinare per schiaffeggiare i glutei rotondi. Sapeva di sculacciarla forte e, stelle, la ragazza non aveva davvero fatto niente per meritarselo, ma non poteva farci niente. Era bellissimo, kazo.
Iniziò a emettere minuscoli lamenti e il sedere si contrasse, come per evitare il dolore.
«Kazo, mi piace sculacciarti, femmina.» Non aveva intenzione di ammetterlo ad alta voce, ma probabilmente si meritava una spiegazione.
Gli piaceva così tanto che immaginò di frustarla con una cinghia di cuoio. Che tipo di strisce avrebbe lasciato? Che rumore avrebbe fatto? Avrebbe pianto? E se l’avesse frustata con quella cinghia di cuoio proprio tra le gambe?
Oh stelle. La testa vagava.
Le sculacciò la figa con la mano, alleggerendo l'intensità del movimento.
Lei urlò.
Kazo sì.
La sculacciò di nuovo lì. E di nuovo.
«Fa male, padrone» piagnucolò.
Le palle si strinsero. Tornò sulle natiche paffute, sculacciandole più forte. Se continuava a chiamarlo padrone con quella sua vocina addolorata, le sarebbe venuto sul culo.
Ma la pelle le divenne di una calda tonalità di rosso sotto al palmo e la coscienza lo attanagliò.
«Mi dispiace, piccola schiava» mormorò massaggiandole rapidamente il culo. «Ti ho sculacciata forte, vero? Preferisci che ti scopi?»
Per un secondo non gli rispose, e lui dovette affrontare il senso di colpa e la delusione che aleggiavano. Perché non si sarebbe imposto con lei se non lo avesse voluto. Poteva anche essere una schiava, ma non era la sua.
Ma poi emise un sospiro. «Sì.»
Grazie, kazo.
Si inginocchiò dietro di lei e abbassò i pantaloni da volo per liberare ulteriormente la palpitante virilità. Sapeva già quanto fosse bagnata, quindi entrò in lei senza preparazione.
Emise un ringhio di piacere nell'affondare nel suo calore umido. «Ti avverto, umana, ho intenzione di scoparti forte.»
Non si trattenne. Il bisogno di rivendicarla, di possederla, di rovinarla, kazo, precipitò dentro di lui come una navicella lanciata a tutta velocità.
Spinse dentro e fuori. «Umana cattiva, mi hai tentato.» Spinse in profondità, schiaffeggiandole il culo caldo con i lombi a ogni colpo. «Schiava cattiva, hai cercato di sedurmi. Ma perché hai dovuto farlo?»
Non rispose – non che si aspettasse risposta. E come avrebbe potuto, visto che la usava in modo così spietato? Continuò a scoparla, afferrandole i fianchi per tenerla immobile per le veloci spinte.
«Cattiva, cattiva piccola femmina, mi hai fatto venire voglia di venire sul tuo bel viso.» Si allungò e le prese a coppa uno dei seni, stringendolo forte. «Su questi seni perfetti.»
Entrava e usciva, tutto il pensiero razionale scomparve, sostituito solo dal bisogno di rivoltare la piccola femmina.
Avrebbe voluto che andasse avanti per sempre.
Non avrebbe potuto trattenersi un altro secondo.
Era troppo calda. Troppo stretta. Troppo succosa. Troppo docile, kazo.
Il ruggito echeggiò sulle pareti della navicella mentre la solcava in profondità e rimase lì, riempiendola del suo seme zandiano.
In quanto schiava del sesso, era stata alterata per non concepire.
Idea che non avrebbe dovuto farlo incazzare, ma lo fece.
Non avrebbe mai voluto tirarsi fuori, così raccolse Leti sulle ginocchia, la schiena contro il suo petto, la mano stretta intorno alla gola.
«Umana, mi hai appena mandato in cortocircuito la mente» le ringhiò nell'orecchio, indietreggiando lentamente e poi picchiettando di nuovo sul dolce culo. «Vorrei poterti scopare tutta la notte.»
Tremava, il sudore le colava lungo la schiena, il respiro le faceva ondeggiare i seni rotondi.
La accarezzò con il pollice lungo il suo battito frenetico. «Stai bene, piccola?»
Quando lei non rispose, si tirò fuori. «Rilascia le manette» aprì con un comando vocale le manette, che caddero sui polpacci. Si mosse rapidamente, prendendola per la vita e appoggiandosi alla sedia.
La sistemò in grembo, le labbra trovarono la sua spalla. Non sapeva quasi nulla delle femmine, ancor meno delle umane. Non aveva mai nemmeno scopato prima, ma era stato un primo tentativo fulmineo. E quello che aveva visto nei vecchi ologrammi zandiani non somigliava affatto a quello che aveva appena fatto. No, avevano condiviso qualcosa di molto più bestiale e crudo. Qualcosa che facevano le altre specie.
Accarezzò la schiena di Leti. «Sono stato troppo duro. Perdonami, bellezza.»
«Sto bene» disse, ma la voce le tremava e tentò di alzarsi dal suo grembo.
No. No, no, no, no. La tenne stretta. Non gli piaceva per niente. Stava scappando da lui? Sperava tanto, per l'unica vera sella zandiana, di non aver traumatizzato quella bellissima creatura. Non aveva intenzione di essere così crudele, ma ferirla lo aveva reso delirante di lussuria.
Il che poteva significare qualcosa di terribile.
O poteva essere solo il modo in cui faceva sentire il sesso. Non aveva ammesso che alcune femmine umane trovavano il dolore sensuale?
«Guardami.» Non conosceva nemmeno quel lato di sé. Quello del maschio che improvvisamente aveva bisogno di calmare la situazione. Non era stato abbastanza possedere il corpo della piccola umana? Adesso ne voleva anche l’anima?
Quando lei lo guardò, lui inarcò un sopracciglio con aria comprensiva. «È più di quanto ti aspettassi?»
La piccola orgogliosa sollevò il mento. «Ovviamente no.»
Non riuscì a fermare il sorriso che gli tirò le labbra. La sua tempra gli fece venire voglia di farsi un secondo giro. Cosa ci sarebbe voluto per spezzare la bellissima creatura?
No, non voleva spezzarla.
Sì, invece.
Kazo. Lo voleva davvero.