CAPITOLO SEI

1586 Words
CAPITOLO SEI Gwendolyn, in sedia a rotelle, Guwayne in braccio, si teneva pronta mentre i servitori aprivano le porte e Thor la spingeva nella stanza della madre malata. Le guardie della regina chinarono la testa e si fecero da parte e Gwen strinse più forte il bambino mentre accedevano alla buia camera. La stanza era silenziosa, soffocante, senza aria. Le torce baluginavano cupamente su tutte le pareti. Si percepiva la morte nell’aria. Guwayne, pensò. Guwayne. Guwayne. Ripeté silenziosamente il nome nella propria mente, cercando di concentrarsi su qualsiasi altra cosa ma non sulla madre morente. Mentre ci pensava, il nome del bimbo le portò conforto e la riempì di calore. Guwayne. Il bambino del miracolo. Amava quel bimbo più di quanto potesse dire. Gwen voleva che sua madre lo vedesse prima di morire. Voleva che sua madre fosse orgogliosa di lei, voleva la sua benedizione. Doveva ammetterlo: nonostante il loro passato difficile, Gwen voleva la pace e la risoluzione nel loro rapporto prima che lei morisse. Ora di trovava lei stessa in uno stato fragile e il fatto di essersi affezionata di più a sua madre nelle scorse lune la faceva sentire ora ancora più sconvolta. Si sentì stringere il cuore quando le porte si chiusero alle sue spalle. Si guardò attorno nella stanza e vide una decina di servitori che si trovavano al capezzale della madre: uomini della vecchia guardia che lei stessa conosceva e che erano soliti sorvegliare suo padre. La stanza era piena di gente. Era una veglia funebre. Al fianco di sua madre ovviamente si trovava Hafold, la servitrice fedele fino alla morte, che la vegliava senza permettere a nessuno di avvicinarsi troppo, come aveva fatto per tutta la vita. Quando Thor spinse Gwendolyn accanto al letto di sua madre, Gwen avrebbe voluto alzarsi in piedi, chinarsi su sua madre, abbracciarla. Ma il suo corpo le doleva ancora e in quella condizione non riuscì a fare nulla di ciò che desiderava. Allungò invece una mano e prese il polso di sua madre. era freddo. In quel momento sua madre, stesa lì priva di conoscenza, aprì lentamente un occhio. La guardò sorpresa e compiaciuta al vederla. Poi aprì entrambi gli occhi e aprì anche la bocca per parlare. Fece per pronunciare delle parole, ma emise solo dei sospiri. Gwen non riuscì a capirla. Sua madre si schiarì la gola e fece un cenno verso Hafold. Hafold si chinò immediatamente verso di lei, porgendo l’orecchio verso la bocca della regina. “Sì, mia signora?” chiese. “Manda tutti fuori. Voglio stare sola con mia figlia e Thorgrin.” Hafold diede una rapida occhiata a Gwen, risentita, poi rispose: “Come desiderate, mia signora.” Hafold fece immediatamente cenno a tutti di uscire velocemente dalla porta, poi tornò al capezzale e si riprese posto accanto alla regina. “Da sola,” le ripeté la regina con sguardo fermo. Hafold abbassò gli occhi sorpresa, poi guardò Gwen con gelosia e uscì un fretta e furia dalla stanza, chiedendo con fermezza la porta alle proprie spalle. Gwen rimase lì con Thor, sollevata dal fatto che tutti se ne fossero andati. Nell’aria era sospesa una pesante coltre di morte. Gwendolyn la percepiva, sapeva che sua madre non sarebbe rimasta a lungo con lei. Sua madre le strinse la mano e Gwen ricambiò la stretta. La regina sorrise e una lacrima le scivolò lungo la guancia. “Sono felice di vederti,” le disse. Le parole uscirono come un sussurro, appena udibili. Gwen ebbe ancora voglia di piangere, ma cercò di essere forte e di trattenere la lacrime per il bene di sua madre. eppure non poté fare molto: le lacrime iniziarono improvvisamente a scendere e lei scoppiò a piangere. “Madre,” disse. “Mi spiace. Mi spiace così tanto. Per tutto.” Gwen si sentì assalita dal dolore per non esserle stata più vicina in vita. Le due non si erano mai pienamente comprese. Le loro personalità si erano sempre scontrate e non erano mai riuscite a vedere le cose allo stesso modo. Gwen era dispiaciuta per la loro relazione, anche se non si biasimava per questo. Avrebbe voluto, guardando indietro, aver potuto dire o fare qualcosa per cambiare le cose. Ma erano semplicemente state da due parti diverse in ogni cosa nella loro vita. E sembrava che nessuno sforzo da nessuna delle due parti avrebbe mai potuto cambiare nulla. Erano solo due esseri umani molto diversi, incastrate nella medesima famiglia, incastrate in una difficile relazione madre-figlia. Gwen non era mai stata la figlia che lei aveva voluto e la regina non era mai stata la madre che Gwen avrebbe desiderato. Gwen si era chiesta più volte perché fossero state destinate a stare insieme. La regina annuì e Gwen vide che capiva. “Sono io che mi scuso,” le rispose. “Sei una figlia straordinaria. E una regina straordinaria. Una regina molto migliore di quella che sono stata io. E una sovrana molto migliore di quanto sia stato tuo padre. Ne sarebbe orgoglioso. Ti saresti meritata una madre migliore di me.” Gwen cacciò indietro le lacrime. “Sei stata una brava madre.” La regina scosse la testa. “Sono stata una brava regina. Una moglie devota. Ma non sono stata una brava madre. Non per te, almeno. Credo di aver visto molto di me stessa in te, e questo mi ha spaventata.” Gwen le strinse la mano, piangendo, desiderando di poter avere più tempo da trascorrere con lei, desiderando di aver potuto parlare a quel modo molto tempo prima. Ora che era regina, ora che il tempo era passato per entrambe, ora che lei aveva un bambino, Gwen voleva sua madre lì. Voleva poter rivolgersi a lei per dei consigli. Eppure ironicamente il momento in cui più desiderava averla con sé era anche il momento in cui non poteva averla. “Madre, voglio che tu conosca il mio bambino. Mio figlio. Guwayne.” La regina sgranò gli occhi per la sorpresa e sollevò la testa dal cuscino per vedere, per la prima volta, il piccolo Guwayne tra le braccia di Gwen. La regina sussultò, si mise a sedere e scoppiò in singhiozzi. “Oh, Gwendolyn, le disse. “È il bambino più bello che abbia mai visto.” Allungò una mano e accarezzò Guwayne, mettendo le punte delle dita sulla sua fronte, quindi pianse con maggiore intensità. La regina lentamente si voltò a guardare Thor. “Sarai un bravo padre,” gli disse. “Mio marito ti adorava. Ora capisco perché. Mi sono sbagliata sul tuo conto. Perdonami. Sono felice che tu stia con Gwendolyn.” Thor annuì solennemente, allungò una mano e strinse la spalla della regina. “Non c’è nulla di cui chiedermi scusa,” le disse. La regina si voltò di nuovo verso Gwendolyn e i suoi occhi si fecero più duri. Gwen vide qualcosa cambiare in essi, percependo la vecchia regina di un tempo. “Devi affrontare molte questioni ora,” le disse. “Le ho considerate tutte io stessa. Ho ancora tutta la mia gente ovunque. Temo per te.” Gwendolyn le accarezzò la mano. “Madre, non preoccuparti per questo ora. Non è il momento per affari di stato.” La regina scosse la testa. “È sempre il momento per gli affari di stato. e ora soprattutto. I funerali, non dimenticarlo, sono affari di stato. non sono eventi di famiglia, ma occasioni politiche.” Sua madre tossì a lungo, poi fece un respiro profondo. “Non ho molto tempo, quindi ascolta attentamente le mie parole,” le disse con voce debole. “Imparale a memoria, anche se non vorresti udirle.” Gwen si avvicinò di più e annuì solennemente. “Qualsiasi cosa, madre.” “Non fidarti di Tiro. Ti tradirà. Non fidarti della sua gente. Quei MacGil non fanno parte di noi. Appartengono alla nostra famiglia solo di nome. Non dimenticarlo.” La regina ansimò, cercando di prendere fiato. “Non fidarti neanche dei McCloud. Non pensare di poter fare la pace.” La regina rantolò ancora e Gwen rifletté sulle sue parole, cercando di coglierne il senso più profondo. “Tieni in forze il tuo esercito e consolida le tue difese. Più ti renderai conto che la pace è un’illusione, più pace ti assicurerai.” Sua madre ansimò nuovamente, a lungo, chiudendo gli occhi e Gwen sentì spezzarsi il cuore vedendola in quello stato e constatando lo sforzo che stava facendo. Da una parte Gwen pensò che quelle erano parole giuste nella bocca di una regina che stava morendo e che era da tempo stanca. Eppure, da un altro punto di vista, non poteva fare a meno di ammettere che c’era una certa saggezza in quel discorso, una saggezza che forse lei stessa non voleva riconoscere. Sua madre aprì gli occhi di nuovo. “Tua sorella Luanda,” sussurrò. “La voglio al mio funerale. È mia figlia. La mia primogenita” Gwendolyn sussultò sorpresa. “Ha fatto cose terribili meritandosi l’esilio. Ma concedile questa grazia, solo una volta. Quando mi metteranno sottoterra la voglio qui. Non rifiutare la richiesta di una madre morente.” Gwendolyn sospirò, combattuta. Voleva accontentare sua madre, ma allo stesso tempo non voleva permettere a Luanda di tornare, non dopo quello che aveva fatto. “Promettimelo,” le chiese sua madre, stringendole con forza la mano. “Promettimelo.” Alla fine Gwendolyn annuì, rendendosi conto di non poter dire di no. “Te lo prometto, madre.” La regina sospirò e annuì, soddisfatta, poi si riadagiò tra i suoi cuscini. “Madre,” disse Gwen schiarendosi la gola. “Voglio che tu dia la tua benedizione a mio figlio.” La regina aprì debolmente gli occhi e la guardò, poi li richiuse e scosse lentamente la testa. “Quel bambino ha già tutte le benedizioni che un bambino potrebbe desiderare. Ha la mia benedizione, ma non ne ha bisogno. Lo capirai, figlia mia: tuo figlio è molto più potente di te o di Thorgrin o di chiunque altro prima o dopo di voi. È stato tutto profetizzato anni fa.” La regina ansimò a lungo e proprio quando Gwen pensava che fosse tutto finite, proprio quando si stava preparando ad andarsene, sua madre aprì gli occhi un’ultima volta. “Non dimenticare ciò che tuo padre ti ha insegnato,” le disse con voce debole, quasi incapace di parlare. “A volte un regno è più in pace quando si trova in guerra.”
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