III - SOLITUDINE

1756 Words
III - SOLITUDINE Il bambino restò immobile sullo scoglio, lo sguardo fisso sul mare. Non chiamò, non si lamentò; nonostante la sorpresa, rimase in silenzio. Nell'imbarcazione c'era un silenzio simile. Non un grido del bambino verso gli uomini, non un grido di addio degli uomini verso il bambino. Da ambo le parti si accettava in silenzio che quella distanza tra loro aumentasse. Era come la separazione delle ombre dei morti sulla riva dello Stige. Il bambino, come inchiodato alla roccia che l'alta marea stava iniziando a bagnare, guardò la nave allontanarsi. Si sarebbe detto che avesse capito. Cosa? Cosa capiva? L'ombra. Un momento dopo l'orca arrivò allo stretto della rada che portava all’uscita. Si poteva scorgere la punta dell’albero stagliarsi sul cielo ancora chiaro sopra i macigni spezzati fra i quali lo stretto serpeggiava come tra due muraglie. La punta errava alta sopra le rocce e sembrava sprofondare in quella. Poi scomparve. Era finita. L’imbarcazione aveva preso il mare. Il bambino assistette a questa sparizione. Era meravigliato, ma pensieroso. Il suo stupore era come complicato da un'oscura osservazione della vita. Sembrava come se in quel bambino ci fosse già un’esperienza. Forse era già in grado di esprimere dei giudizi. Quando le dure prove della vita arrivano troppo presto, a volte capita che queste costruiscano all’intelligenza inconscia dei bambini, una sorta di formidabile equilibrio dove queste povere, piccole anime, pesano Dio. Sentendosi innocente, non si oppose. Neanche un lamento. Chi è irreprensibile non rimprovera. Questa sua improvvisa eliminazione non gli strappò nemmeno un gesto. In lui c’era una sorta di regalità interiore. Non si piegò sotto questo improvviso assalto del destino che minacciava di mettere fine alla sua esistenza quasi prima del suo inizio. Quel fulmine non lo atterrò. Visto che quello stupore non lo aveva abbattuto, era evidente che tra quelli che lo avevano abbandonato nessuno lo amava, e che lui non amava nessuno. Pensieroso, si era dimenticato del freddo. Improvvisamente l'acqua gli bagnò i piedi, la marea stava salendo; un alito di vento gli passò tra i capelli, era la tramontana che si stava levando. Rabbrividì. Fu attraversato dalla testa ai piedi da quel brivido tipico del risveglio. Si guardò intorno. Era solo. Fino a quel giorno per lui non c'erano stati sulla terra altri esseri umani che quelli che in quel momento stavano sull'orca. Quegli uomini erano appena fuggiti. Inoltre, strano a dirsi, i soli uomini che conosceva erano per lui degli sconosciuti. Non avrebbe saputo dire chi fossero quelle persone. La sua infanzia era trascorsa in mezzo a loro, senza che lui avesse la coscienza di essere uno di loro. Stava con loro, niente di più. Ora si erano dimenticati di lui. Non aveva denaro, era senza scarpe, solo qualche straccio addosso e neanche un pezzo di pane in tasca. Era inverno; era sera. Bisognava fare a piedi parecchie leghe prima di raggiungere un'abitazione umana. Non sapeva dove fosse. Non sapeva nulla, se non che quelli venuti con lui sulla riva di quel mare, se n'erano andati senza di lui. Si sentiva escluso dalla vita. Si sentiva abbandonato dall’uomo. Aveva dieci anni. Era come in un deserto, tra profondità da dove vedeva salire la notte, e profondità dove sentiva il rimbombo delle onde. Stirò le piccole braccia magre, e sbadigliò. Poi, d’un tratto, come uno che prenda una decisione coraggiosa, si sgranchì tutto e con l'agilità di uno scoiattolo - o forse di un clown - voltò le spalle alla rada e cominciò a salire lungo la scogliera. Scalò il sentiero, lo abbandonò e vi fece ritorno muovendosi con molta cautela. Si muoveva spedito e sembrava che seguisse un itinerario, anche se non stava andando da nessuna parte. Non aveva nessun motivo per affrettarsi in quel modo, era come qualcuno che voglia sfuggire al suo destino. Salire è proprio dell'uomo, arrampicarsi della bestia; lui saliva e si arrampicava. I dirupi di Portland sono esposti a sud, e sul sentiero non c'era quasi neve. D’altra parte, il freddo intenso aveva ridotto quella neve in una polvere fastidiosa per chi camminava. Il bambino se la cavava. La giubba da uomo, troppo larga, gli rendeva tutto difficile e lo intralciava. Di tanto in tanto su un dirupo o una discesa si imbatteva in una lastra di ghiaccio che lo faceva cadere. Allora, dopo essere rimasto per qualche istante sospeso sul precipizio, si aggrappava a un ramo secco o a una sporgenza della roccia. Una volta finì in una vena di breccia che gli franò sotto i piedi trascinandolo con sé. Queste frane di breccia sono sempre infide. Il bambino scivolò per qualche secondo come una tegola su un tetto, precipitando fino all'orlo estremo del precipizio; si salvò aggrappandosi all’ultimo istante a un ciuffo d'erba. Non gridò davanti a quell’abisso, come non aveva gridato davanti agli uomini; si rinsaldò sulle gambe e ricominciò a salire in silenzio. La scarpata era alta. Corse altri pericoli simili. L’oscurità che sopraggiungeva peggiorava la sua situazione. Quella roccia scoscesa sembrava non finire mai. Sembrava spostarsi davanti al bambino allontanandosi sempre più in alto man mano che lui saliva. Mentre si arrampicava non perdeva d'occhio quel pianoro nero, messo come una barriera tra lui e il cielo. Finalmente arrivò. Saltò sul pianoro. Si potrebbe quasi dire che approdò, perché era uscito dal precipizio. Appena fu al sicuro cominciò a tremare. Sentì in faccia il morso del vento di tramontana da nord-ovest. Si strinse al petto la rozza giubba da marinaio. Era un buon vestito. Nel gergo marinaro si chiama suroît , perché è fatto con una stoffa impermeabile alle piogge del sud-ovest. Il bambino dunque, arrivato sul pianoro, si fermò, puntò i piedi sul terreno ghiacciato, e si guardò intorno. Aveva dietro il mare, davanti a sé la terra, un cielo sopra il capo. Ma un cielo senza stelle. Una nebbia opaca mascherava lo zenit. Arrivato in cima alla parete rocciosa, trovandosi rivolto verso terra, la osservò attentamente. Davanti a lui c’era a perdita d’occhio una bassa distesa ghiacciata e coperta di neve. Qualche ciuffo d’erba rabbrividiva scosso dal vento gelato. Non si intravedeva nessuna strada. Niente. Nemmeno la capanna di un pastore. Qua e là si vedeva qualche bianco turbinio di polvere di neve sottile sollevata dal vento. All’orizzonte si intravedevano ondulazioni del terreno la cui vista si confondeva con l’orizzonte. Le grandi pianure opache si perdevano sotto la nebbia bianca. Silenzio profondo. La vastità dell’infinito taceva come una tomba. Il bambino si voltò verso il mare. Il mare era bianco come la terra: questa era bianca per la neve, quello per la spuma sulle onde. Non c’è niente di più triste della luce prodotta da questo doppio candore. Certe luci notturne hanno qualcosa di molto rigido e nitido; il mare sembrava di acciaio, le scogliere di ebano. Dall’altura dove si trovava il bambino, la baia di Portland appariva come disegnata su una carta geografica, livida nel suo semicerchio di colline. Quel paesaggio notturno aveva qualcosa di onirico, un cerchio pallido incastonato in una mezza luna oscura; capita a volte che la luna abbia un aspetto siffatto. Da un capo all'altro, per tutta la costa, non si poteva vedere neanche un luccichio che potesse far pensare a un focolare acceso, una finestra rischiarata, una casa abitata. Nessuna luce in terra come in cielo, non una lampada in basso, né una stella in alto. Le larghe spianate delle onde si sollevavano qua e là improvvisamente. Il vento turbava e sconvolgeva quella distesa. L'orca in fuga era ancora visibile nella baia. Era un triangolo nero che scivolava su quel lividore. In lontananza, l’acqua si agitava confusamente nel sinistro chiaroscuro dell'immensità. La Matutina filava veloce. Rimpiccioliva di minuto in minuto. Niente sparisce più rapidamente di una nave nelle lontananze del mare. A un certo punto nell’imbarcazione fu acceso il fanale di prua; è possibile che quella oscurità che aumentava tutto intorno stesse diventando inquietante, e che il timoniere avesse avvertito la necessità di illuminare le onde. Quel punto luminoso che si poteva vedere anche da lontano, aderiva in modo lugubre alla figura alta e lunga dell’orca. Sembrava un lenzuolo in movimento, dritto in mezzo al mare, sotto il quale si aggirasse qualcuno con in mano una stella. Nell’aria c’era il presentimento di una tempesta. Il bambino non se ne rendeva conto, ma un marinaio avrebbero tremato. Era quell'ansia che si prova quando sembra che gli elementi stiano per assumere un volto e si stia per assistere alla misteriosa trasfigurazione del vento in aquilone. Il mare a momenti diventa oceano, le forze della natura sembrano acquisire una sorta di volontà; quello che prima sembrava una cosa ora sembra avere un’anima. Stiamo per vederlo. Ecco perché siamo invasi dall’orrore. L'anima umana teme questo confronto con l'anima della natura. Il caos stava per arrivare. Il vento, squarciando la nebbia e accatastando indietro le nuvole, preparava la scenografia per quel terribile dramma dei flutti e dell'inverno chiamato tempesta di neve. Il primo sintomo lo diedero le navi che rientravano in porto. Solo pochi minuti dopo la rada non era più deserta. A ogni istante sbucavano da dietro i promontori imbarcazioni che rientravano frettolosamente. Alcune doppiavano il Portland Bill, altre il Saint-Albans Head. Sembrava una gara a chi arrivasse prima in porto. A sud l'oscurità si addensava e le nuvole cariche di notte si avvicinavano al mare. La gravità della imminente tempesta aveva placato lugubremente le onde. Non era il momento di partire. Tuttavia, l'orca era partita. Aveva girato la prua a sud. Era già fuori dal golfo, in alto mare. All’improvviso si alzarono violente raffiche di tramontana; la Matutina , che si poteva ancora distinguere all’orizzonte, spiegò tutte le vele, come decisa ad approfittare dell'uragano. Era il noroit , un tempo chiamato “galerna”, una specie di tramontana subdola e rabbiosa. Cominciò subito ad accanirsi sull'orca. La colpì di fianco e la fece inclinare, ma l’imbarcazione non si fece intimidire e continuò la sua corsa verso il largo. Si trattava, dunque, più di una fuga che di un viaggio. La paura del mare era inferiore a quella della terra, c'era più preoccupazione per l'inseguimento degli uomini che per la furia dei venti. L’immagine dell’orca si rimpiccioliva sempre più, fino a sprofondare nell’orizzonte; la piccola stella, che trascinava nell'ombra, divenne pallida; e dopo essersi amalgamata sempre di più con la notte, scomparve. Questa volta per sempre. Anche il bambino sembrò rendersene conto e smise di scrutare il mare. Il suo sguardo si rivolse alle pianure, alle lande, alle colline, verso quegli spazi dove forse avrebbe potuto incontrare qualcuno. E si mise in cammino verso quei luoghi sconosciuti.
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