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Jessica
Ero legata al tavolo, e l’unica cosa che potevo fare era guardare la Custode Egara mentre scriveva furiosamente sul suo tablet. Lottai provando a liberarmi, ma sapevo che le miei azioni erano inutili. Ogni volta che il tablet riceveva un nuovo messaggio, la Custode si accigliava ancora di più, le sue dita si muovevano più velocemente con gesti veloci, spasmodici, come se avesse voglia di prendere a pugni chiunque le stesse parlando attraverso quelle distanze siderali.
Durante i miei anni nell’esercito e poi come reporter investigativa avevo imparato la pazienza nel peggiore dei modi. Potevo inseguire la mia preda per giorni, senza mai stancarmi. Sapevo quando aspettare e quando sparare per prima. Ma, in questo scenario, l’aggressione non mi avrebbe fatto guadagnare punti, specialmente essendo legata, anche se la mia frustrazione era così grande che volevo strappare le cinghie dal tavolo come l’Incredibile Hulk.
“Custode, la prego, mi dica cosa sta succedendo.”
Sì, avevo un tono calmo. Urrà per me.
La Custode si morse il labbro, e d’improvviso aveva proprio l’aspetto della giovane ventenne che era. Le sue spalle erano piegate, come se sentisse il peso di una responsabilità enorme che gravava su di lei. E forse era così. Il suo lavoro era assicurarsi che tutte le donne – a prescindere dal motivo – fossero abbinate con successo e che raggiunsero sane a salve la loro destinazione, qualunque fosse nell’universo. Quando alla fine sollevò la testa per guardarmi direttamente, dalla nube oscura del suo sguardo, capii che non aveva buone notizie, almeno non per me.
Una paura oscura mi invase le budella.
“Hanno rifiutato te in modo specifico, non tutti i trasporti della Terra.” Sospirò, e io mi sentii come se mi avesse detto che ero la ragazza più brutta di tutta la classe. Sì, mi sentivo proprio così. Era una sensazione che avevo già provato, molte volte, quando era a me che veniva negato qualcosa. Amici, amanti, lavori, famiglia. Avrei dovuto esserci abituata, ma non era così. E questo mi rendeva stupida, mi faceva sperare. Non mi ero accorta di quanto desiderassi essere abbinata a qualcuno, qualcuno che era adatto a me fino a quando non venivo rifiutata. Come al solito.
“Adesso sta avvenendo un altro trasporto in Asia, proprio in questo momento, quindi non capisco cosa succeda. Per qualche ragione, non ti è permesso di partire. Il messaggio è stato inviato dal Prime in persona.”
Il Prime? Che diavolo era un prime?
“Intende il mio compagno?”
Scosse la testa in modo assente. “No. Il Prime. Il sovrano del pianeta. Il sovrano di Prillon Prime.”
Il titolo di questo tizio derivava dal nome stesso del pianeta, ed era lui che mi aveva rifiutata. Ottimo.
“Il loro re?” Cazzo. Il loro re non mi permetteva di rivendicare il mio compagno? Non avevo mai incontrato il guerriero a cui ero stata abbinata, ma si supponeva fosse mio, e ora mi veniva negato. E quel piccolo gheriglio di speranza, sì, di speranza, che avevo nel pezzo si era appassito ed era morto. Faceva male.
“Sì. È il sovrano di diversi pianeti, a dire il vero, e il comandante dell’intera flotta interstellare”, mormorò guardando dall’altra parte, incapace di sostenere il mio sguardo.
Feci una smorfia dentro di me, le sue parole mi fecero venire la nausea. Ero stata rifiutata dal re alieno di un intero pianeta? Ero tanto male? Ero un po’ prepotente e forse ogni tanto ero un po’ rompipalle. Ero un po’ intensa come donna, ma a quale donna non piaceva sparare e combattere i cattivi? Cazzo. Il Prime voleva l’elegante Miss Perfettina da abbinare a Prillon. Doveva essere così. Lo era?
Avevo lo sguardo annebbiato, e chiesi l’unica domanda che potevo fare. “Perché? È perché pensano che sia una spacciatrice?”
Preferivo essere rifiutata perché mi ritenevano una spacciatrice piuttosto che un maschiaccio.
“Signorina Smith, non pensano che lei sia una spacciatrice. Sanno che lei è stata arrestata per spaccio. Ma no, in passato abbiamo inviato delle assassine. Non so perché lo stanno facendo.”
Scosse la testa tristemente e premette una serie di pulsanti sul tablet. Venni sollevata fuori dall’acqua. Mi guardai il corpo e vidi che non avevo più peli. La testa mi faceva un male cane a causa dei nuovi impianti, e la mente mi ronzava, era come il gracchiare elettrico degli speaker.
Il mio corpo fu riposto sulla sedia, e la Custode Egara mi coprì con una coperta asciutta. “Mi dispiace, Jessica. Non è mai successo prima. Dovrò inviare una richiesta ufficiale alla Coalizione Interstellare per capire cos’è successo.”
Ero nuda, dell’acqua bluastra gocciava dal mio corpo, mi ricopriva una coperta nuda, ed ero ancora legata a questo stupido tavolo. La situazione poteva ancora peggiorare? “Quanto tempo ci vorrà?” Il ronzio che avevo nella testa aumentò.
“Diverse settimane, almeno.” Le sue parole fioche risuonarono come attraverso un megafono posto a un centimetro dai miei timpani e mi fecero trasalire.
Inclinò la testa quando mi spaventai e uscì per un momento, ritornando con una siringa. Me la premette sul collo facendomi sobbalzare.
Valse la pena sopportare quella puntura di un secondo, perché il mal di testa cominciò subito ad affievolirsi.
“Mi scuso per il disagio. La maggior parte delle spose dorme durante il processo di inserimento dei neuro-stimolatori.” Mi guardava, i suoi occhi erano soffici e rotondi, più gentili del solito. Sbattei le palpebre, e poi capii che quello che lei mi offriva non era preoccupazione, ma pietà. Non riuscivo nemmeno a farmi mandare su un altro pianeta senza avere problemi.
“Che cos’è un neuro-stimolatore?”
“È un impianto neuronale che permette alla sua mente di adattarsi alle nuove lingue e alle nuove usanze. Adesso sarà in grado di comprendere e parlare qualunque lingua nel giro di pochi minuti, inclusi tutti i linguaggi della Terra. Questa tecnologia è utilizzata solo su quelli che lasciano il pianeta, ma, visto che lei dovrà rimanere, è un bel vantaggio.”
Sbattei le palpebre e provai a capire quello che mi stava dicendo. Un vantaggio? Era questo il mio premio di consolazione, l’abilità di parlare altre lingue? “Qualsiasi lingua?”
Annuì, chiaramente compiaciuta dalla tecnologia, ma anche confusa e delusa per il mio rifiuto. “Assolutamente sì. Terrestri o della coalizione.”
Del momento che non andavo più su un pianeta della coalizione, non avevo pensato che mi avrebbe giovato. Avevo una specie di super-chip nella testa che mi avrebbe permesso di comprendere i programmi televisivi in lingua straniera o i turisti all’aeroporto. Ottimo. Quello che avevo sempre sognato. Avrei preferito che mi regalassero una macchina o un viaggio alle Hawaii. O un po’ di soldi.
Ma la cosa migliore sarebbe stata essere trasportata e vivere la mia vita da sogno, proprio come quella simulazione dove due uomini potenti mi ricoprivano il corpo, mi scopavano come se fossi la donna più attraente che avessero mai conosciuto, facendomi sentire bellissima. Desiderata. Amata.
No. Però avevo quello stupido traduttore nel cervello.
Avevo deluso i miei amici all’agenzia giornalistica, deluso i miei amici nelle forze di polizia, fallito nel provare la mia innocenza in tribunale, e ora non era nemmeno degna di un maschio alieno così disperato per avere un po’ di figa bagnata e calda che avrebbe accettato anche una ladra o un’assassina come compagna. E non avevano nemmeno bisogno di vederla, prima. Negli ultimi anni centinaia di donne – di criminali – erano state inviate al Programma Spose Interstellari. Le donne che erano state arrestate e processate provenivano da ogni estrazione sociale. Drogate e traditrici. Ladre e assassine.
Tutte quelle donne avevano viaggiato attraverso le stesse cose, avevano trovato una nuova casa e una nuova vita con dei maschi alieni che smaniavano per ottenere le loro spose. A quelle donne era stato concesso un nuovo inizio. Tabula rasa.
E a me? No, a me no. Avevo rifiutato una mazzetta, mi avevano incastrata per un crimine che non avevo commesso, e ora ero stata rifiutata non solo dal compagno a cui mi avevano abbinato, ma anche da quel cazzo di re!
Non esattamente la mia giornata migliore.
“E adesso io che faccio?”
La Custode Egara aveva inclinato la testa e aveva sospirato. “Beh, offrirti come volontaria al programma spose era l’unica cosa che ti si richiedeva. Dal momento che nessuno prima d’ora era mai stato rifiutato, ti ritrovi in un vuoto amministrativo che molto probabilmente verrà presto colmato. Ma, per ora, non ci sono regole riguardo una punizione alternativa, e quindi hai soddisfatto tutti i requisiti della tua condanna.”
“Vuol dire –”
“Signorina Smith, è libera di andare.”
Sollevò il bordo della coperta e mi pulì diverse gocce di liquido blu dall’angolo dell’occhio, dove avevano cominciato a raccogliersi e a colarmi lungo la guancia come lacrime.
Ero libera. Nessuna condanna. Niente prigione. Nessun bonazzo da un altro pianeta.
“Vada a casa.”
Non volevo andare a casa. Non ce l’avevo, una casa. Non avevo un lavoro, né amici, né un futuro. Siccome dovevo andare in una galassia lontana, lontana, il mio conto in banca era stato cancellato e avevo venduto la casa. Quando una donna veniva spedita su un altro pianeta col programma spose, i suoi averi venivano divisi come se fosse morta. Morta e sepolta, senza possibilità di ritorno. Non avevo nessuno a reclamare il mio tostapane o il mio divano lacero, e quindi pensavo che avessero donato tutto in beneficienza.
Ero la prima sposa in assoluto a essere rispedita a casa, come un cagnolino con la coda in mezzo alle gambe, indegna di un compagno alieno.
E cosa sarebbe successo se fossi uscita fuori dalle porte del centro elaborazione e mi fossi fatta vedere in giro? Beh, i tipi che mi avevano incastrata mi avrebbero mandato i loro scagnozzi contro per finire quello che avevano cominciato. Se avessero saputo che ero ancora sulla Terra, mi avrebbero messo una taglia sulla testa nel giro di un’ora.
Ma comunque non ero una principessa viziata. Avevo uno zaino per le emergenze, dei vestiti e del denaro contante che uno dei miei amici dei servizi segreti oltremare mi aveva convinto fosse necessario per sopravvivere. Grazie a Dio gli avevo dato retta. Tutto quello che dovevo fare era raggiungere il mio armadietto segreto e ricominciare tutto daccapo. Ero libera. Da sola. Triste. Ferita. Ma libera di fare quello che volevo… come espormi a un gruppo di poliziotti e politici corrotti.
Quei subdoli bastardi pensavano che ormai me ne fossi andata su un altro pianeta. Non ero più un loro problema. Forse questa era l’unico colpo di fortuna che avrei avuto oggi.
Mi misi con i piedi penzoloni sul tavolo e sorrisi, improvvisamente riempita da una gioia inaspettata. Forse non ero abbastanza buona per scopare con un alieno, ma certo ero bravissima con la macchina fotografica. La ritenevo il mio personale fucile da cecchino. Una foto perfetta era tutto quello che ci voleva per distruggere qualcuno, mettere a nudo le sue bugie, rovinargli la vita. Se la mia fotocamera fosse stata un’arma, allora avevo una lista di uccisioni portate a segno lunga un chilometro. E, se mentre lo facevo ero un fantasma, una persona che non doveva nemmeno essere sulla Terra, allora tanto meglio.
Balzai giù dal tavolo stringendo la coperta, ma dovetti ripensare a questo gesto repentino quando la stanza mi girò attorno. La Custode Egara subito distese le braccia per afferrarmi e io la ringraziai con un cenno del capo.
Era tempo di andare, ma la mia parte masochista voleva sapere una cosa prima. Se dovevo abbandonare la mia opportunità di andare su un altro pianeta, allora lo volevo sapere. “Come si chiama?”
La Custode Egara si accigliò. “Chi?”
“Il mio compagno.”
Esitò, come se dovesse condividere dei segreti di stato, e poi fece spallucce. “Principe Nial. Il figlio maggiore del Prime.”
Mi misi a ridere. Se avessi lasciato la Terra, sarei diventata per davvero una principessa. Abbinata a un principe alieno, indossando vestiti per il ballo e scarpe ridicole, i miei lunghi capelli biondi legati non in una normale coda di cavallo, ma con spille gemmate ed elaborate trecce beneficio del mio status regale. Dio mi aiuti, avrei dovuto mettermi il mascara e il rossetto, perché la mia carnagione pallida era lungi dall’essere bella quand’ero struccata.