Chapter 3

3108 Words
3 SAWYER Due giorni dopo «È un incubo, cazzo,» mormorò Huck, spostandosi per appoggiarsi alla parete. Ci trovavamo nel backstage del centro sociale, in attesa del nostro turno per farci chiamare sul palco e farci mettere all’asta. Indossavamo tutti i nostri stracci migliori, ovvero dei jeans puliti e delle camicie stirate. Thatcher mi lanciò una mentina per poi infilarsene una in bocca lui stesso. Huck avrebbe preferito scappare verso le colline piuttosto che starsene lì e sapevo che era solamente la furia di Alice a trattenere lui—e me—dal farlo. «Amico, hai visto tutte le donne là fuori?» domandò Thatcher, andando a sbirciare dietro l’angolo per scrutare il pubblico. Lui sembrava molto più entusiasta. Diamine, poteva prendersi anche il mio appuntamento e probabilmente quello di Huck. Sulle pareti di cemento rimbombavano gli applausi e le grida delle signore. Un altro uomo era andato incontro alla sua fine. C’erano più partecipanti di quanti mi fossi mai immaginato. Quell’edificio veniva usato per tutto, dal basket al nuoto ai programmi per gli anziani, ed era inoltre progettato per gestire ogni genere di evento paesano, ma un’asta di scapoli era una novità. Dovevano esserci almeno un centinaio di donne là fuori e i livelli di estrogeno erano alle stelle. Circa quindici uomini erano stati costretti a scambiare un appuntamento per una donazione in beneficienza. Ne conoscevamo personalmente un paio perché eravamo cresciuti insieme e ci eravamo visti in città, ma gli altri dovevano essere stati trascinati lì dal resto della contea. A giudicare dalle offerte per le quali erano stati “venduti” i primi tre ragazzi, era palese quanto alcune donne fossero impazienti di aiutare il programma giovani. O di accaparrarsi un appuntamento. Thatcher si avvicinò e mi diede una pacca sulla spalla. «Non ti sei ancora ripreso?» Sogghignò ed io lo guardai male. Huck sorrise. «Amico, sei cotto.» Era vero. Avevo passato gli ultimi due giorni a pensare alla bellissima donna dai capelli rossi che mi aveva rifiutato. «Devo sapere che cosa ho fatto. Cosa ho detto per aizzarla,» dissi loro. Di nuovo. «Devi stare alla larga dalla gente pazza,» mi disse Huck. «Vuoi uscire con lei?» replicò Thatcher, scrutandomi. «Non ho idea di cosa voglio fare con quella donna,» risposi. Uscirci? Non ne avevo la minima idea. Forse avevo colpito la testa quando mi aveva mandato al tappeto perché per quale cazzo di motivo avrei dovuto voler rintracciare una donna che chiaramente non voleva avere nulla a che fare con me? Che mi detestava. Era una sfida? Era pazza? Lo ero io? La mia risposta non fece che far ridere Huck, il che era la prima volta che succedeva da quando eravamo entrati al centro sociale. «Solo tu vorresti rivendicarti una donna con delle palle più grosse delle tue.» Rivendicarla. Quell’idea non era poi così male. Però dovevo ancora trovarla. Dovevo sapere. Si scaldava facilmente, il che non fece che farmi chiedere se si scaldasse anche di passione con altrettanta facilità. L’ultima cosa che volevo era turbarla. Feci una smorfia, sperando che quando mai l’avessi rivista, sarei stato in grado di sistemare le cose. Un uomo più saggio si sarebbe tenuto alla larga, il che faceva di me un grandissimo idiota. «Sarà difficile sistemare la cosa se uscirai con un’altra donna,» disse Thatcher, accennando al palco con la testa. Io lo guardai in cagnesco. «Chiunque mi comprerà non otterrà più di un caffè da me. Con Kelsey voglio…» Smisi di parlare perché non avevo la minima idea di cosa volessi fare con lei. Be’, lo sapevo, ma perché? «Qualunque cosa tu faccia, mettiti il preservativo,» scherzò Huck e Thatcher gettò indietro la testa ridendo, dandosi perfino una pacca sulla coscia. Era così fottutamente carina. Minuta con curve infinite. Non era appariscente come Delilah e Tracy con i loro stracci firmati e le ciglia finte mentre guardavano le loro bambine giocare. L’abbigliamento semplice di Kelsey non aveva fatto che accentuare la sua pelle chiara, quelle labbra piene. Il rigonfiamento delle sue tette piccole, ma sode. La macchia di vernice sulla sua maglietta aveva dimostrato che non le dispiaceva sporcarsi e il modo in cui aveva parlato con gentilezza con la futura diva Tamara diceva che era una cazzo di rock star con i bambini. Nel giro di cinque minuti, avevo scoperto di volerla. Avevo bisogno di farla passare da col cazzo proprio a dammi il tuo cazzo, ti prego. Dal tirarmi una ginocchiata nelle palle allo stringermele nel palmo mentre mi succhiava l’uccello. Ed eccomi lì nel backstage, pronto ad uscire con qualche donna per beneficienza, e stavo perdendo la testa. Per una maestra d’asilo. Mi passai una mano sul viso, guardando un altro uomo affrontare il proprio turno. Merda. Io non volevo un appuntamento qualunque. Io volevo Kelsey. Mi passai una mano tra i capelli, che, secondo le istruzioni di Alice, erano ordinatamente pettinati. «Manning, il prossimo sei tu,» esclamò il reverendo Abernathy per poi fare capolino con la sua testa mezza pelata dalla tenda. «Oh, fantastico, ci siete tutti e tre. Chi di voi vuole andare per primo?» Io, Huck e Thatcher ci scambiammo un’occhiata. Huck si picchiettò il naso, poi lo fece Thatcher nel nostro solito gioco in cui a chiunque se lo toccasse per ultimo spettava il compito. In quel caso, vendersi all’asta ad un gruppo di donne chiassoso e turbolento. Sospirai, rassegnandomi a ciò che stava per succedere. «Vado io.» Il prete scomparve. «Facciamola finita,» borbottai per poi seguire l’uomo di Dio sul palco. KELSEY Avevo atteso la telefonata di Irene che mi dicesse che ero stata licenziata. Dopo essermene andata dall’asilo il giorno prima, ero andata in una lavanderia a gettoni per lavare la piccola pila d’abiti che avevo nel baule della mia auto. Mentre davo di matto. Poi ero andata al centro sociale, dove avevo pianto come una bambina nella doccia del camerino delle donne per ciò che avevo fatto. Poi ero andata al supermercato per comprare dei pasti surgelati. Quando avevo sbloccato la porta sul retro dell’asilo con la mia chiave così da poter riscaldare la mia cena nel microonde e dormire un po’, avevo quasi pianto di sollievo. Non che Irene avrebbe fatto cambiare le serrature, ma avevo avuto irrazionalmente paura che Sawyer Manning avesse voluto farmi mandare via. O licenziare. Non l’avrei biasimato. Il mio comportamento era stato peggiore di quello di Tamara. Sawyer non doveva aver fatto nulla, perché erano passati due giorni da quando gli avevo tirato una ginocchiata nelle palle e non avevo sentito dire nulla al riguardo. Sarah Jane non aveva detto una parola e, quando avevo lavorato con Irene quella mattina, lei mi aveva solamente chiesto con la sua solita preoccupazione come me la stessi cavando nel mettere da parte i soldi per la mia caparra. Era come se quell’incontro non ci fosse mai stato. Ovviamente, Claire non era più venuta da allora, per cui non mi ero più imbattuta in lui. C’era sempre la prossima settimana, il che mi spaventava ancora. Quando Sarah Jane mi aveva invitata ad un’asta di scapoli—ciò che, a detta sua, era l’evento dell’estate—mi ero incontrata con lei ed Irene all’auditorium. Fu allora che mi resi conto finalmente che, per chiunque altro a parte me e Sawyer Manning, non era successo nulla. Dovevano esserci un centinaio di donne, lì, tutte sedute a dei tavoli rotondi, che ridevano e applaudivano, fischiavano e acclamavano mentre un uomo dopo l’altro veniva venduto all’asta. Io non possedevo un centesimo, per cui non avevo alcuna intenzione di comprarmi un appuntamento. Irene era sposata, per cui anche lei era lì solamente per divertirsi. Sarah Jane aveva la mia età ed era single e ci offriva una cronaca dettagliata di ogni uomo e di ogni donna che vi faceva una puntata. Era cresciuta lì e conosceva ogni singolo pettegolezzo succoso. Per questo, aveva detto che probabilmente non avrebbe puntato su nessun uomo, sebbene fosse disposta a contemplare quella possibilità tanto per stare sicuri. Io ero grata della loro amicizia. Della gentilezza di Irene vista la mia situazione. Il prete—una scelta strana come presentatore di un’asta di scapoli—annunciò un altro uomo. Lui salì sul palco con un grosso sorriso nervoso. «Owen Zerwig. Andavo a scuola con sua sorella,» disse Sarah Jane. La stanza era così chiassosa che non aveva bisogno di parlare a bassa voce. In effetti, doveva alzarla per farsi sentire da me. Il ragazzo aveva i capelli biondo cenere ed era di bell’aspetto. Robusti stivali da lavoro, Wrangler stirati e una camicia a quadri. Aveva i capelli folti e, a giudicare da ciò che stava dicendo il prete, possedeva una casa e un lavoro ben pagato. Un ottimo partito. «È un brav’uomo,» aggiunse Irene, accennando col mento ad Owen. «Anche bello. Perché non fai una puntata su di lui?» chiese a Sarah Jane. Lei scosse la testa, il suo adorabile caschetto che le ondeggiava sulle guance. «Ho visto il suo pene.» Spalancai la bocca mentre lei rispondeva una cosa del genere come se mi avesse chiesto di passarle il sale. Irene strabuzzò gli occhi. «Avevamo quattro anni e stavamo giocando nella piscina dei bambini, ma in ogni caso, l’ho visto.» «Sono certa che ce l’abbia… più grosso, adesso,» commentò Irene, cercando molto duramente di mantenere un’espressione neutra. Sarah Jane ed io ci scambiammo un’occhiata per poi scoppiare a ridere. «Oh, guarda, Delilah sta puntando,» disse Irene. Io e Sarah Jane ci voltammo nel sentir accennare alla madre dell’asilo. Era tanto composta come il giorno prima al parco giochi, sebbene avesse una maglia un po’ più attillata e il trucco sugli occhi un tantino più marcato. «Non è sposata?» domandai io, prendendo il mio bicchiere di plastica per bere. Era un evento senza alcol, per cui c’erano boccioni d’acqua ai quattro angoli della stanza. Loro scossero la testa. «Non ha mai pronunciato i voti,» commentò Sarah Jane. «Probabilmente si tratterrà per uno dei Manning,» aggiunse Irene, lanciando un’occhiata al proprio cellulare per poi posarlo sul tavolo. Il mio cuore ebbe un tuffo a quel nome ed io tossii strozzandomi col sorso che avevo appena bevuto. Lei mi scrutò preoccupata, ma proseguì. «Ricchi e bellissimi. Fanno doppiamente gola a Delilah.» «Alla maggior parte delle donne,» aggiunse Sarah Jane. «Ho sentito dire che anche loro saranno messi all’asta questa sera.» Irene annuì. «Sono bravi ragazzi. Sono amica della loro governante. Li ha convinti tutti e tre a partecipare all’evento. Avrei voluto essere stata una mosca per assistere al momento in cui gliel’ha detto.» Io pensai a Sawyer Manning. A quanto fosse grosso. Bello. «Sono in tre?» Sarah Jane si fece aria con la mano. «Già. Sawyer, Huck e Thatcher. » «Da Mark Twain?» chiesi io. Irene annuì. «Bravissima. Non tutti colgono la cosa. Alla loro mamma piacevano i suoi libri.» «Sono tutti ugualmente bellissimi,» aggiunse Sarah Jane per poi mordersi un labbro. «Potrei dover puntare su uno di loro. Non saprei quale.» «Moro, biondo o rosso?» le chiese Irene con un ghigno malizioso. Sarah Jane ci rifletté picchiettandosi il mento. «Vorrei che i Manning fossero come palline di gelato ed io potessi averli tutti e tre.» Ero del tutto confusa per cui posai il bicchiere e sollevai una mano. «Aspettate. Uno di loro è il padre di Claire Manning.» Loro annuirono. «Ma non può partecipare all’asta. È sposato.» «Venduto!» urlò il prete e le signore applaudirono. Owen arrossì e sogghignò dal palco. La donna che se l’era aggiudicato—non Delilah—si alzò e lui scese i gradini per andarle incontro. Io li guardai, ma non prestai loro alcuna attenzione. La mia mente era concentrata sul fatto che ci fossero tre fratelli Manning. Se gli altri fossero assomigliati a Sawyer… wow. «No. Huck non è sposato. Non sono sicura quale sia la storia, ma--» Io afferrai il braccio di Sarah Jane, fissandola ad occhi sgranati. «Huck?» Lei si accigliò, abbassando lo sguardo sulla mia presa. «Sì. Huck Manning è il padre di Claire.» Io mi leccai le labbra improvvisamente secche. «Allora… allora chi è Sawyer Manning?» Piegando la testa di lato, lei mi guardò dopodiché i suoi occhi si illuminarono. «Il più grande. Oh, l’hai conosciuto all’uscita dall’asilo l’altro giorno. È lo zio di Claire.» Zio. Non padre. «Ed è… scapolo?» squittii. Irene rise. «Tutti e tre lo sono. Huck non si è mai sposato. Alice vuole che si accasino.» Porca puttana. Sawyer Manning era single. Non era sposato. Ed era appena stato chiamato sul palco dal prete. Le signore applaudirono, un paio fischiò mentre il cowboy alto, scuro e bellissimo usciva sul palco. La mia pressione sanguinea schizzò alle stelle al solo fissarlo. Già, quello era il tizio a cui avevo tirato una ginocchiata nelle palle. Senza alcun motivo. Oh mio Dio. «Cosa ne pensate voi signore di quest’ottimo scapolo?» chiese il prete alla folla e loro risposero ancora più forte applaudendo e urlando. Io ero completamente d’accordo con loro. Era un esemplare sbalorditivo di cowboy focoso. Sawyer Manning, con indosso dei jeans, degli stivali lucidi da lavoro e un’elegante camicia blu, si tolse lo Stetson e si passò una mano sulla nuca. Per quanto stesse sorridendo, non sembrava troppo entusiasta di tutte quelle attenzioni. Né impaziente di accaparrarsi un appuntamento come Owen prima di lui. Sawyer era interessato a me il giorno prima. Oh mio Dio. Mi aveva chiesto di uscire. Io gli avevo dato una ginocchiata all’inguine. Dovevo scusarmi. Sistemare le cose. «Cominciamo con l’asta?» Quando gli applausi scemarono, il prete disse, «Cominciamo con cinquanta dollari.» Le puntate cominciarono, rapide e frenetiche, una dietro l’altra. «È il più grande dei tre,» commentò Sarah Jane. «L’ho incontrato una volta. Gentilissimo. Non sono sicura se sceglierei lui o Thatcher. Lui è quello coi capelli rossi. Sarà il prossimo o l’ultimo, suppongo.» Io annuii vagamente, ma osservai le donne puntare in tutta la stanza, compresa Delilah. Il mio sguardo tornò su Sawyer. Se ne stava lì alto e… immenso, tenendosi lo Stetson al petto. Guardarlo in quel momento mi provocò lo stesso brivido del giorno prima. Il mio cuore batteva all’impazzata. Avevo l’acquolina in bocca. C’era qualcosa in lui che mi attirava. Che mi rendeva vogliosa. Ogni volta che Delilah faceva una puntata, lui aveva un tic alla mascella. Per quanto avesse una posa casual, non potei non notare il modo in cui le sue dita si stringevano per poi rilassarsi. Non era felice. «Questo potrebbe essere il modo per farle ottenere l’appuntamento che ha sempre desiderato,» disse Sarah Jane, indicando Delilah. Stava sorridendo con un luccichio predatorio negli occhi che non potei non notare perfino dall’altra parte della stanza. «Il fatto che debba pagare per riuscirci la dice lunga.» «Hai ragione,» le dissi io. «L’ho sentita parlare di lui l’altro giorno all’uscita.» Sarah Jane si accigliò. «Non sarebbe divertente per Sawyer.» Sawyer mi aveva detto che non gli piaceva. Aveva detto di averla conosciuta per tutta la sua vita, che non gli era mai piaciuta sin dall’inizio. Se aveva ragione nel sostenere che Tamara avesse preso da sua madre… un appuntamento con Delilah sarebbe stato terribile. E se lei avesse messo i suoi artigli smaltati su di lui… Non era giusto. «Trecento!» esclamò Delilah, alzando l’offerta di altri cinquanta dollari. Il prete si guardò attorno in attesa di altri partecipanti. Le puntate avevano rallentato fino ad esaurirsi a quella grossa somma per un appuntamento. Sawyer rimase immobile, il corpo teso. Si era offerto lui volontario per quella cosa, aveva concesso il proprio tempo gratuitamente per una buona causa. Centinaia di dollari al programma giovani erano fantastici, ma per quanto sarebbero provenuti dal conto in banca di Delilah, a Sawyer sarebbe costato molto passare del tempo con quella donna che non gli piaceva. «Trecento e uno.» Non potevo lasciare che accadesse. «Trecento e due.» Lo dovevo a Sawyer Manning per ciò che avevo fatto. «Cinquecento dollari,» urlai. Tutti quanti si voltarono a guardarmi. Irene sussultò e Sarah Jane mi fissò ad occhi sgranati. Spalancò perfino la bocca. Le avevo colte di sorpresa e lo stesso sembrava valere per ogni altra persona nell’auditorium. Lo sguardo di Sawyer Manning si spostò di scatto su di me. Incrociò il mio. Lo sostenne. Mi vennero subito duri i capezzoli. «Venduto!» Tutti applaudirono, ma io non lo sentii mentre fissavo Sawyer. Avevo il cuore in gola e le mani sudate. «Um, Kelsey,» mormorò Sarah Jane per poi scuotermi un braccio. Io non avevo intenzione di spostare lo sguardo per nulla al mondo. «Cosa… perché… hai appena vinto Sawyer Manning.» «Lo so,» dissi, tanto entusiasta quanto nel panico. Cos’avevo fatto? «Tesoro, so che abbiamo detto che era attraente e tutto, ma i soldi…» disse Irene, lasciando in sospeso la frase. Era l’unica a conoscere la mia situazione. Perfino Sarah Jane non sapeva che dormivo all’asilo. Facevo molta attenzione, tenendo le mie cose come uno spazzolino in una borsa e infilandola in una delle credenze più alte. Il lettino nella stanza sul retro dell’asilo lo tenevo sempre ben fatto. I miei effetti personali che quella stronza della mia ex coinquilina non mi aveva rubato erano nascosti in un piccolo deposito ai margini della città. I miei abiti erano nel bagagliaio della mia auto. Ciò che mi stava ricordando Irene—perché io avevo chiaramente perso la testa—era che non avevo i soldi per pagare l’asta. Non le importava che avessi acquistato uno scapolo, ma si preoccupava del fatto che avessi reso palese la mia situazione non essendo in grado di concludere l’affare. Sarebbe stato imbarazzante per me e per Sawyer. All’organizzazione sarebbero mancati dei soldi che qualche altra donna, perfino Delilah, avrebbe dato volentieri. Annuii per poi ammettere, «Lo so, non ho riflettuto.» Irene ridacchiò. «Tesoro, non sei la prima donna ad aver perso la testa per un Manning.» Sawyer balzò giù dal palco, saltando i gradini e avvicinandosi con andatura rilassata—già, era così che un cowboy sexy mi si avvicinava—senza guardare da nessuna parte se non nella mia direzione. Io mi leccai le labbra e deglutii con forza, incapace di distogliere lo sguardo da lui. «Ma perché? A parte l’ovvio,» si chiese Sarah Jane. «Gli ho dato una ginocchiata nelle palle,» ammisi io, senza guardare nessuna delle mie amiche. Irene continuò direttamente a ridere. «Tu cosa?» urlò praticamente Sarah Jane, ma io non avevo intenzione di rispondere perché Sawyer era al mio fianco, che si rimetteva il cappello in testa. Dovetti piegare il mento all’indietro per sollevare lo sguardo su di lui. Mi porse una mano ed io la presi. Lui mi strattonò leggermente e mi tirò in piedi per poi chinarsi. Prima che potessi anche solo domandarmi cosa avesse intenzione di fare, lui mi gettò in spalla e mi trascinò fuori dalla stanza.
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