3. Sage

1631 Words
Sage Il dormitorio per noi orfane aveva venti letti. Le ragazze—perché non c’era nessun ragazzo—dormivano in due o in tre in uno stesso letto. Io ero seduta su quello che condividevo con Willow, sulle gambe un vestito rovinato che stavo cercando di ricucire meglio che potessi sotto quella luce soffusa. Le candele non erano molte a disposizione per noi orfane, ma Rosalind aveva il permesso di accenderne una sola per assicurarsi che le orfane fossero a letto al sicuro. L’aveva posizionata tra me e Fern e poi era andata a fare di guardia alla porta, per avvertirmi se le suore fossero venute a controllarci. «Non so come sia successo» disse Aspen, la sorella più piccola di Rosalind, in piedi di fronte a me con il labbro inferiore tra i denti e le mani strette l’una all’altra. «Ivy mi ha sfidata a scalare un piccolo albero, ma sono stata così attenta…» «Non ti preoccupare» mormorai io, stringendo gli occhi verso il vestito. «Lo aggiusterò e mi assicurerò che non si veda nulla. Non sono brava come Fern, ma ci posso riuscire.» «Beh, lo avrei chiesto a Fern, però lei sta ricucendo quello di Ivy…» Alzai gli occhi e sorrisi a Fern, una ragazza dolce con capelli del colore delle foglie d’autunno. Ivy, che aveva la stessa età di Aspen, era ferma vicino a lei, la fronte aggrottata in dispiacere. Come Aspen, aveva una mano poggiata sul suo petto. «Ecco qui. Come nuovo.» Controllai la linea perfetta della cucitura e poggiai sul letto il vestito. «E adesso controlliamo le mani.» La mano sinistra di Aspen lasciò andare la destra. La vidi assottigliare lo sguardo e fare una smorfia quando presi a controllare il suo palmo arrossato, e le chiesi di allungare le dita. «Le frustate sulle mani sono la punizione preferita di Sorella Anne» dissi, girando la mano di Aspen dall’altro lato per controllare. «Ha per caso visto il vestito strappato, oppure ha assistito ad una delle tue piccole bravate?» «Ci ha viste salire sull’albero e cadere, ma non ha guardato i vestiti.» «E allora non avrà motivo di punirvi ancora» le dissi, stringendole la mano buona, che non era più stretta all’altra. «Tanto il vestito non è più rovinato. Ma promettetemi di non provare a salire sugli alberi un’altra volta.» «Sorrel lo fa tutto il tempo.» «Sorrel è per metà scoiattolo.» Uno sbuffo si levò da un angolo lontano, dove Sorrel, una giovane ragazza dalla pelle scura, era seduta con le gambe incrociate intenta ad assottigliare le punte delle frecce che aveva creato lei stessa come kit di sopravvivenza personale. «Parte scoiattolo e parte volpe» mi corressi subito. «E forse parte pesce, se nuota bene come sale sugli alberi.» «Quella non sono io» disse Sorrel. «Io mi limito a scalare alberi. Quella a cui piace nuotare è Willow.» Aspen ridacchiò. «Okay, è arrivato il momento di andare a letto. Lavatevi il viso prima, e chiedi a tua sorella se può darti un bicchiere di acqua fredda per la tua mano. Per domani mattina, vedrai che dovrebbe essere nuova proprio come il vestito.» «Mi aiuterai a lavarmi?» «Non posso, devo fare delle cose.» Aspen accettò la mia risposta, ma Sorrel mi guardò con uno sguardo appuntito. «Dov’è Willow?» chiese quest’ultima poi, a voce alta. «Sh!» scattò Rosalind, a voce altrettanto altra. «Willow sarà di ritorno a momenti. È andata al mercato, e il frate ha voluto vederla.» Ed era tutto vero, ma Rosalind sapeva tanto quanto me che Willow non sarebbe tornata al dormitorio quella notte. Si era andata a nascondere dentro una botola poco lontana dall’abbazia, dove sarebbe rimasta fino a quando il peggio della febbre non sarebbe passato. «Devo andare dal frate anche io. Le dirò che hai chiesto di lei» dissi. Sarei andata a controllare Willow dopo aver placato il frate, quindi non avevo davvero mentito. Avevo soltanto omesso alcuni dettagli. Rosalind ed io avevamo concordato che sarebbe stato meglio tenere alcune cose segrete, ma nessuna delle due voleva davvero mentire in maniera diretta alle altre. Eravamo l’unica famiglia che ognuna di noi avesse. L’aria fresca della notte mi si gettò sul viso quando uscii dal dormitorio per tornare velocemente nelle cucine e verso l’ufficio del frate. Forse sarei riuscita ad evitare le sue mani fino a quando non si sarebbe addormentato, poi sarei scappata e avrei dormito fuori. Willow ed io tenevamo alcune coperte dentro la botola, ma con la febbre, lei non ne avrebbe usata alcuna. Io, invece, ne avrei prese due e mi ci sarei rintanata dentro, passando la notte sotto le stelle. A respirare aria pulita. Oppure sarei rimasta vicino a Willow, dandole acqua quando le sarebbe servita, facendole compagnia durante la sofferenza, e distraendo chiunque sarebbe potuto passare vicino alla botola cercandola. Passare la notte lontane dall’abbazia era rischioso, ma ancora più rischioso era essere scoperte dal frate nel pieno della nostra febbre. Perché tutte le altre ragazze che erano state scoperte erano scomparse. «Sage» sibilò qualcuno dietro di me. Io per poco non mi sentii morire. «Sorrel?» La ragazzina che sembrava più un ragazzaccio uscì fuori dalle ombre, un’espressione arrabbiata in viso. «Tu e Rosalind non riuscite a prendere in giro nessuno. Dimmi la verità. Che cosa sta succedendo?» Sorrel era arrivata in orfanotrofio molto piccola. Le suore l’avevano chiamata, come ad ognuna di noi che era arrivata lì troppo piccola per poter avere un nome, come una pianta. Un’erba selvatica. Era di qualche anno più piccola di me, Willow e Rosalind, e non era ancora arrivata la sua febbre. Non sapeva neanche cosa fosse, perché lo tenevamo nascosto. «Devo sbrigare delle cose per il frate, Sorrel. Devo andare da lui adesso.» «Non mentirmi. Lo so che stai tramando qualcosa. Tu e le altre.» Si morse il labbro, guardando da un’altra parte per un momento, come se stesse provando a cacciare indietro le lacrime. Una sorpresa—non avevo mai visto Sorrel piangere. Anche quando prendeva le punizioni dalle suore, cosa che capitava molto spesso grazie a quella sua natura selvaggia. «Lo so che Hazel è scomparsa per un motivo.» «Io non c’entro niente con quella discussione—» «Lo so! Ma non posso aiutarti a combattere se non so—» «D’accordo» dissi, spingendola di nuovo verso l’oscurità. «D’accordo! Prima di scomparire, Hazel è venuta da noi e ci ha detto che il frate sta mentendo. Non è vero che cerca mariti a cui darci in sposa. Sta tramando qualcosa. È per questo che Sari è scomparsa, e adesso è andata via anche Hazel. Non so cosa stia succedendo, ma il frate sta prendendo le ragazze—letteralmente prendendo—per venderle a qualcuno, e loro non vengono più viste.» «Lo sapevo» sussurrò lei. «È per questo che ci sono le guardie.» Io sbattei le palpebre. «Cosa?» «Quelle guardie pallide?Sono certa che tu le abbia viste, almeno una volta. Quelle che continuano a camminare in giro, con quella pelle strana e grigia. Non parlano molto, ma quando lo fanno il suono sembra più un sibilo che qualcosa di umano.» Io rabbrividii. «Sì, le ho notate.» «Non sono qui per tenerci al sicuro. Sono qui per assicurarsi che restiamo qui. Ma perché?» continuò, dando voce ai miei pensieri. «Che cosa vogliono da noi?» «Ehi?» disse una piccola voce dalle tenebre. Sorrel ed io scattammo dalla paura, ma da noi arrivò solo una piccola ragazza. Una delle bambine. «Torna a letto, Violet» disse Sorrel. «Non riesco a dormire» rispose lei, accarezzandosi le braccia. Mi tolsi lo scialle che avevo sulle spalle, mettendolo sulle sue. «Ti fa male la pancia?» «No. Ho sognato voci nel buio e il rumore di armi che si infrangevano l’una contro l’altra.» «È stato solo un brutto sogno» le disse Sorrel, mentre io le accarezzavo i capelli per calmare il suo corpo scosso dai tremiti. «Mi riaccompagni di nuovo in camera?» mi chiese Violet. Io mi morsi il labbro. Il frate mi stava aspettando davvero. «Vai da lui» sospirò Sorrel, sciogliendo le sue braccia e allungandone uno verso la piccola. «La porto io. Ma questa conversazione non è finita. Voglio sapere ciò che sai anche tu.» I suoi occhi si strinsero nei miei oltre la testa di Violet. «Ti dirò tutto» sussurrai. «Te lo prometto. Solo… non stanotte.» Aspettai di vederle sparire oltre il muro prima di continuare a camminare. I miei passi riecheggiavano nel corridoio di pietra. A metà strada verso le cucine, mi fermai. La notte ormai era calata, e sarebbe dovuta essere piena del canto degli uccelli. Ma da fuori, quella notte,non giungeva alcun suono. Era strano. Laurel era ancora dentro la cucina, a pulire le pentole. «Sage» disse quando mi vide, raddrizzando la schiena e asciugandosi le mani. «Urla il tuo nome da un po’. Gli ho dato la carne migliore, molto pesante. Dovrebbe addormentarsi presto. E dagli questo» mi disse, passandomi una brocca di vino. «Grazie» risposi soltanto, andando avanti per non guardare la sua espressione compassionevole. Due parole sarebbero state sufficienti a farmi correre via piangendo, cercando riparo da qualsiasi altra parte, o via verso Willow all’interno di quella botola. O via. E basta. Presto. Sarei andata via presto. Con il cuore a martellare dentro il petto, mi fermai di fronte la porta del frate e bussai. «È Sage» dissi da fuori. La chiave scattò e la porta si aprì. Il frate mi fece accomodare dentro. Le monete che Willow aveva riportato dal villaggio erano ancora sparpagliate sul tavolo. Gli passai il vino e ritornai verso la porta. «Vieni qui, piccola bambina» mi disse però prima di poter scappare via, la sua mano a sbattere contro la sua coscia. Il mio stomaco si restrinse immediatamente. Era così che la sua violenza cominciava. Sempre. Ma fu in quel momento che sentimmo l’urlo. Brutto e violento. Uno squarcio in una notte altrimenti tranquilla.
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