Sage
Camminai acquattata nel sentiero dell’abbazia, i miei passi coperti dal canto delle donne all’interno dell’orfanotrofio—le suore, che in quel momento erano intente a recitare i Vespri. Alle mie spalle, il Sole stava scendendo dietro le grandi rocce tutte intorno.
Mentre salivo le scale verso il sentiero nascosto, un movimento catturò la mia attenzione. Normalmente non sarei andata oltre le mura dell’abbazia, perché era sempre stata la mia casa sin da quando ero bambina, e tutto ciò che conoscevo si trovava dentro quelle mura. Ma quel pomeriggio c’era stato qualcosa che mi aveva richiamato fuori da lì. Allungando il collo, mi alzai sulle punte dei piedi e guardai oltre la roccia per vedere meglio.
Un enorme uomo barbuto era fermo sul bordo del campo, poco nascosto dagli alberi. Era così fermo che quasi avrei potuto scambiarlo per uno di quegli stessi alberi. Un’altra figura si avvicinò al suo fianco, una creatura dal folto pelo marrone e grigio. Un cane—ma sembrava molto più grande e molto più selvaggio. Non un cane, quindi. Un lupo.
Mi tirai indietro, nascondendomi dietro una colonna, sperando che il guerriero non mi avesse vista. Le mura intorno all’abbazia erano state abbastanza per tenere lontani possibili visitatori ma, nell’ultimo anno, delle figure alte e scarne erano venute molto spesso. Si muovevano come guerrieri, e parlavano a stento. Le mie amiche, orfane come me, ed io avevamo spesso pensato che fossero persone ingaggiate dal frate per tenerci sotto controllo.
Ma quell’uomo barbuto non sembrava affatto come loro. Era fermo con i piedi puntati per terra, i muscoli tirati e una giacchetta di pelle addosso, una mano sull’ascia attaccata alla sua cintura. Un guerriero vero, come non ne avevo mai visti prima.
Quando provai a guardare di nuovo, sia il guerriero che il lupo non c’erano più.
Nervosa, camminai velocemente verso lo stesso sentiero che avevo già percorso, ed entrai all’interno delle cucine. Un gridolino mi fece fermare.
«Oh, Sage, mi hai fatto prendere un colpo.»
La giovane donna, pressappoco della mia stessa età, era ferma dietro un’enorme pentola piena di stufato, il viso arrossato dal calore. La sua mano era pressata sul suo petto ampio.
«Perdonami, Laurel» mi rilassai io immediatamente.
«Cammini sempre così silenziosamente» esclamò la donna dai capelli scuri, un sorrisetto ad illuminare quel piccolo viso adorabile. Risposi con uno anche io, fino a quando lei disse, «Stai cercando di scappare via dal frate?»
«Mi sta cercando?» chiesi, forzando il mio tono a rimanere neutrale.
«Urlava il tuo nome poco fa» fece una smorfia lei. La maggior parte delle ragazze sapeva che ero la preferita del frate, ma poche sapevano come ero arrivata ad essere considerata tale. Avevo detto la verità soltanto alla mia amica Willow, perché sapevo che lei non avrebbe mai parlato. Laurel doveva averlo semplicemente capito.
«È meglio che vada da lui, allora.»
«Sei sicura?» chiese lei, abbassando la voce. «Potrebbe essere meglio restare nascosta. Puoi restare qui dentro se vuoi… sto cucinando il cavolo, e lui non sopporta l’odore.»
«No, è meglio che vada da lui.» Non ero in grado di cambiare il suo umore, però riuscivo a far calmare la sua ira abbastanza da proteggere le altre ragazze. Quando vidi lo sguardo compassionevole di Laurel, decisi di cambiare argomento. «Le suore lo sanno che ti sei cambiata d’abito per cucinare la cena?»
L’abito della giovane donna era completamente tirato davanti, a causa dei suoi seni prosperosi. «Qui dentro fa troppo caldo per tenere addosso tutti quei vestiti.» Scosse la testa con una sicurezza che non possedeva quando usciva da quelle cucine.
«Io ho la bocca cucita se ce l’hai anche tu.» Avrei sorriso, se solo non mi fossi sentita davvero così preoccupata. «Però promettimi che starai attenta.»
«Le suore non mi punirebbero mai se questo significasse far arrivare la cena in ritardo al frate. Potrebbero provare a farmi digiunare un’altra volta» disse, alzando gli occhi al Cielo. «Ma l’ultima volta che ci hanno provato non è andata proprio come speravano, non è così?» S’indicò quel corpo pieno di curve che le faceva sempre vincere tantissime occhiate dagli uomini giù al villaggio, ogni volta che andavamo a raccogliere erbe per creare le spezie. Si vociferava che tutti gli uomini del villaggio l’avessero proclamata la donna più bella in giro. Beh, tutti quanti—tranne quegli uomini dai volti sempre grigi, che non parlavano affatto. Però, a loro discolpa sembravano meno uomini e più spaventapasseri, i loro volti sempre privi di espressione, come se non fossero neanche vivi.
«Il che mi ricorda» disse Laurel mentre mescolava il cavolo con una mano ed afferrava un piatto coperto con l’altra. «Ho preparato qualcosa da mangiare per te.»
Le feci cenno di metterla via, e lei strinse le labbra. «Lo vedo, sai, che tu e Rosalind non toccate cibo quando il frate decide di prendersela con qualcuna delle più piccole e ordina loro di non mangiare. Ma ultimamente sta dando queste punizioni un po’ troppo.» Alzò un sopracciglio, sfidandomi ad andarle contro. «Specialmente da quando Hazel è scomparsa.»
«Sh!» sussurrai, prendendo il piatto per farla calmare. «Non parlare di questo discorso ad alta voce.»
«Ma—» Doveva avermi visto provare a cacciare indietro le lacrime, perché d’un tratto si fermò e si limitò ad annuire. «D’accordo… D’accordo.» Avevamo sofferto tutte delle punizioni a causa della scomparsa di Hazel, che il frate chiamava peccati—ma più dei suoi peccati, la cosa peggiore era che di lei non si sapeva più niente. Era semplicemente scomparsa, e nessuno sapeva dirci quando e se sarebbe tornata. «Manca anche a me.»
«Lo so.» Avrei voluto dirle di più, ma non volevo rischiare di essere sentita da qualcuno che non avrebbe dovuto sentirci. Il muro oltre la cucina portava all’ufficio del frate. Sotto la gonna portavo ancora i segni della sua ultima sfuriata. Non sapevo cosa fosse successo ad Hazel, ma l’abbazia non era più un posto sicuro. Forse non lo era mai stato, e solo adesso ero riuscita ad accorgermene.
«Dai questo piatto a chiunque tu voglia. Però mangia anche tu» mi disse con voce materna, nonostante non fosse neanche più grande di me.
«Lo darò a Willow. È andata al mercato, oggi, e fra poco ci sarà la Luna Piena… è arrivato il suo turno.» La mia voce si fece più bassa e sommessa, ma Laurel sapeva benissimo a cosa mi stessi riferendo. Tutte le ragazze più grandi, dentro l’abbazia, si sentivano richiamate dal canto della Luna ogni volta che diventava piena, allo stesso modo in cui i pescatori si sentivano richiamati dall’acqua, da ciò che viveva all’interno. Come loro, la nostra vita dipendeva da Lei.
«D’accordo… Willow può avere la maggior parte del piatto, ma non tutto. Promettimelo, Sage. Promettimi che ne mangerai anche solo un po’.»
Le scoccai un sorriso lieve, ma non promisi. Il mio stomaco era tutto aggrovigliato al pensiero di ciò che avrebbe portato la notte. Le guardie silenti in giro per l’abbazia erano arrivate proprio intorno al momento in cui Hazel era sparita, ma non prima di dirci che era arrivata una strana ragazza che il frate aveva fatto rinchiudere sulla torre. E poi, sia Hazel, che la strana ragazza, che quelle guardie silenti erano scomparse. Il tutto aveva portato il frate a perdere la testa, ed essendo la sua orfana preferita, io ero diventato il bersaglio prediletto di quella follia.
«Sage…» Laurel strinse i pugni sui fianchi, imitando una delle suore più severe all’interno dell’abbazia.
«Farò quello che posso.»
«Laurel!» urlò il frate dall’altro lato del muro. «Willow è con te?»
Laurel mi spinse in un luogo nascosto alla vista prima di urlare di rimando, «Willow è al mercato, signore, ricorda?»
«Ah» lo sentì mugolare. «Sarebbe dovuta già essere qui. Mandala da me quando torna.»
«Certamente, padre» trillò lei, facendo una smorfia verso. Le feci cenno di rimettersi addosso la gonna, ma lei scosse la testa. Le mie mani si strinsero sul tavolo. Se l’avesse vista mezza vestita… trattenni una mezza risata-mezzo pianto dentro. L’unica orfana che lui voleva vedere senza vestiti ero io. Laurel, in effetti, non aveva nulla da temere.
Per un attimo mi ritrovai ad odiarla, e poi me ne vergognai subito.
«Cavolo stasera, un’altra volta?» chiese il frate, che si stava avvicinando. Sentimmo i suoi passi farsi fermi.
«Sì, signore. Però ho preparato anche la carne per lei. E il vino.»
«Bene, allora. Fai venire Sage da me con la cena.»
«Sì, signore» ripeté Laurel, poi fece una linguaccia alla porta chiusa.
I passi pesanti del frate si fecero sempre più lontani.
«Vedi? Te l’ho detto. Lui odia il cavolo.»
«Grazie.» Pressai la mano sul mio stomaco, sentendolo brontolare.
«Vai a cercare Willow. Per quanto odi ammetterlo, il frate ha ragione: sarebbe già dovuta tornare. Ma se quando vai da lui gli dici che era già tornata prima che facesse buio, lui a te crederà di sicuro.»
Mi limitai ad annuire prima di andare via. All’inizio camminai in punta di piedi, per evitare di farmi sentire da qualche passante, ma non trovai nessuno vicino all’unica entrata dell’abbazia. Le suore non avevano nessun motivo di avvicinarsi, e le orfane non ne avevano il permesso.
Ripensai all’uomo e al lupo fermi all’inizio della foresta, proprio oltre la strada che portava al villaggio. Sembravano aspettare qualcosa… o qualcuno. Willow sarebbe passata proprio da quella parte.
Dovevo avvisarla. Corsi, i miei passi a riecheggiare dentro la sala, e trovai Willow dentro il santuario, intenta a fissare la statua di Madre Maria.
«Willow» la chiamai, e lei sbatté le palpebre come se l’avessi svegliata. Le sue guance erano arrossate, e le sue braccia vuote.
«Hai finito con i tuoi compiti?» le chiesi, rilassandomi quando mi mostrò il cesto. Il frate avrebbe richiesto le prove dei soldi che avevamo accumulato. Le orfane facevano il duro lavoro, ma tutti i soldi li teneva sempre lui.
Willow mi sembrava un po’ pallida, se non fosse stato per quelle due chiazze rosse sulle guance. Volevo chiederle se avesse visto il guerriero, ma sembrava già scossa da qualcosa e non volevo causarle altro stress. Eravamo tutte sempre sull’attenti, da quando Hazel era scomparsa. «Ci vieni, ai Vespri?»
«No, non posso. È quasi Luna piena.» Lo sguardo di Willow cadde sui suoi piedi. La febbre ormai le veniva regolarmente. Hazel ed io avevamo cominciato a soffrirne pure, ma a intervalli irregolari. Willow, invece, ne soffriva ogni volta con l’arrivo della Luna.
«Tieni.» Mi avvicinai a lei, dandole il pasto che Laurel aveva avvolto per me.
Lei prese il cestello senza dire una parola e, pensai, senza nessuna voglia di mangiare. Quando sarebbe arrivata la febbre, non avrebbe avuto nessun altro pensiero in testa che uno solo, e quello non sarebbe stato il cibo.
«Devo comunque andare dal frate» disse poi.
«Ci vado io» risposi subito, prendendo il cesto.
«È arrabbiato da quando Hazel è scomparsa.»
«Starò bene, non devi preoccuparti» risposi, fingendo un coraggio che in realtà non mi apparteneva.
Willow prese l’orlo della mia manica e lo alzò in alto. Io non abbassai lo sguardo per seguire il suo; sapevo cosa ci avrebbero trovato i suoi occhi. Non c’era nulla che avessi potuto fare a riguardo.
Il frate sceglieva una ragazza preferita diversauna volta ogni paio d’anni. Le preferiva con i capelli biondi e il visino un po’ da bambina. La prima era stata Sari. Poi era venuto il turno di Rosalind. E adesso c’ero io. Lo avevo già visto adocchiare una delle più piccole, Aspen, una ragazzina bionda dagli occhi azzurrissimi. Rosalind ed io eravamo intenzionate a far sì che lui non spostasse mai la sua attenzione da noi. Rosalind in particolar modo, perché Aspen era sua sorella. Avremmo fatto qualsiasi cosa per proteggere le altre. Almeno fino a quando anche noi non saremmo sparite.
Per mio sollievo, Willow decise di non dire nulla sui segni.
Lasciò andare la mia manica e disse, «Il proprietario del negozio mi ha fatto un buon prezzo per le erbe. E mi ha chiesto di avere un po’ più di quella soluzione che crei per i mal di testa.»
«Glielo farò sapere.» Quei soldi sarebbero stati abbastanza per placare il frate, almeno per quella sera. «Grazie, Willow.»
Ma la sua mente era già lontana, i suoi occhi sulla statua in un’espressione persa.
Me ne andai via in silenzio, lasciandola ai suoi pensieri.
Trovai il frate nel suo ufficio, la porta chiusa con forza per tenere lontano l’odore del cavolo. Laurel gli aveva già dato la cena, e lui a malapena alzò lo sguardo dal piatto quando entrai.
Poggiai il cesto vicino a lui. Non avevo neanche guardato dentro.
«Che cosa è?» mormorò.
«Willow è tornata» gli dissi. «L’ho mandata a finire il suo lavoro e le ho portato il ricavato.»
Lui mise una grossa mano dentro il cesto, e non perse tempo a tirar fuori tutte le monete all’interno, contandole.
«L’aspettavo di ritorno molto prima» si lamentò. «Ha perso tempo a farsi corteggiare come una puttana?»
Non risposi.
«Non hai niente da dire?» ridacchiò. Io mi rilassai un po’ a quel suono. Forse sarebbe stato clemente con me, quella sera. Forse non era arrabbiato.
«Calmati, ragazza. Non ti menerò, per questa sera. Va tutto bene.»
Il ricavato doveva averlo soddisfatto abbastanza. Eppure, nonostante questo, io feci comunque un passo indietro, cercando una scusa per andare via.
«Vuole un altro po’ di vino?» gli chiesi, facendo un cenno verso il suo bicchiere.
«No, non stanotte. Ma torna da me più tardi, Sage.»
Io feci un piccolo inchino, poi me ne andai. Il mio stomaco prese a fare le capriole dentro il mio corpo ancora e ancora, e fui contenta di aver deciso di non mangiare.