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RILEY
«Hai mai sentito l’espressione stare tra i piedi?» chiese Kady, dimenandosi.
Io allungai un braccio dietro di lei sul bordo del divanetto, sporgendomi verso di lei. Era seduta accanto a me, così vicina che riuscivo a vederle le lentiggini sul naso, sentire il suo profumo. Limoni? Cazzo, era lo shampoo o la crema per il corpo? Gemetti tra me al pensarla tutta bella rosea e umida dopo la doccia, che si passava la crema profumata su tutta la pelle. Meno male che la mia erezione era nascosta dal tavolo.
«Intendi stare addosso a qualcuno? Invadere il loro spazio?»
Ci trovavamo in uno dei ristoranti del posto, uno dei più tranquilli dove era più importante il cibo che il bar. Barlow, in Montana, era piccola, con circa diecimila abitanti. Non c’era un singolo negozio di alimentari che appartenesse ad una catena, piccola o grande che fosse. C’era solamente un pittoresto Viale Principale. Era un paesino semplice e la vita era stata altrettanto semplice per me e Cord fino a quando Aiden Steel non si era intromesso dalla tomba.
Cinque figlie bastarde, tutte con il ranch in eredità. Incredibile. Quel tizio non se l’era tenuto nelle mutande. Mentre le tre figlie che avevamo contattato non avevano mai conosciuto il padre, lui aveva saputo della loro esistenza. Quel poco che bastava, almeno, da saperne i nomi. Non le aveva mai contattate neanche una volta, quantomeno stando a ciò che riportavano i file di mio padre. Avevo incontrato Aiden Steele un paio di volte, ma mai in qualità di suo avvocato.
Sebbene avessi tecnicamente assunto quel ruolo alla morte di mio padre, Aiden non mi aveva mai contattato per avvalersi dei miei servizi. Fu solamente quando divenni esecutore testamentario della sua tenuta alla sua morte che conobbi quell’uomo. E il suo passato di follie.
Quando avevo aperto il testamento – per la prima volta il giorno dopo la sua morte – avevo emesso un gemito e mi ero passato una mano sulla faccia, sapendo che la mia vita sarebbe stata risucchiata tutta da quel singolo cliente. E che ne sarei stato generosamente ricompensato, stando a quanto disposto nel testamento. Non c’erano dubbi al riguardo. Il testamento sarebbe stato messo in discussione solamente se fosse stata messa in dubbio la sanità mentale del defunto. Per quanto Aiden Steele fosse stato ben accorto e astuto per quanto riguardava gli affari legati al ranch a detta di chiunque lo avesse conosciuto, a quanto pareva non aveva mai preso in considerazione l’idea di sistemarsi. Nè tantomento di diventare monogamo.
Ecco perchè mi aveva lasciato nella merda fino al collo.
E Kady Parks. La bellissima, dolce e innocente donna sexy che era ormai al centro di ogni mio pensiero. E di ogni fantasia e*****a.
Eravamo andati a prenderla alle sei in punto e lei si era fatta trovare pronta. Non ero certo se fosse perchè non vedeva l’ora di vederci, aveva una fame da lupi o fosse disperatamente annoiata. Speravo si trattasse della prima ipotesi, avremmo risolto facilmente la seconda e avremmo assolutamente potuto aiutarla con la terza. C’erano così tanti modi in cui avrei voluto scoparmela che non saremmo riusciti a prendere fiato per due settimane. Come minimo.
«Tra i piedi? È questo che insiegni ai tuoi bambini di seconda elementare?» mi chiese Cord. Per essere un tizio possente con un sacco di asperità, le rivolgeva un sorriso dolce che raramente gli vedevo in volto.
Ci trovavamo ad un tavolo d’angolo, per cui Kady stava tra me e la parete, comodamente seduta su un divanetto. Cord era di fronte a noi. Avevamo appena ordinato la cena e speravamo di non essere più disturbati fino all’arrivo dei piatti. Non ci interessava condividerla con nessuno. Avremmo dovuto portarcela a casa nostra per una tranquilla cenetta da soli, ma non volevamo spaventarla. Eravamo abbastanza furbi da sapere che non dovevamo farle pressioni. Di alcun genere.
Lei annuì, ravviandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Dio, era bellissima quando era nervosa. Quei fantastici riccioli rossi le cadevano sulle spalle, scompigliati esattamente come prima. Le stavamo addosso come dei maledetti e non avevamo intenzione di lasciarle alcuno spazio personale. Avrei preferito trovarmi a letto con lei, col pene affondato tra le sue gambe, ma non era il momento... non ancora. Volevamo che ci desiderasse tanto quanto la volevamo noi e ciò significava dimostrarle che eravamo interessati. Certo, avrei aspettato giorni, settimane, mesi se non fosse stata pronta, ma non mi sembrava che fosse quello il caso. Proprio no.
Le posai le dita sulla spalla più lontana, accarezzandole dolcemente la pelle nuda. Era così maledettamente morbida. Essermi trovato nel mio fuoristrada assieme a lei era già stato abbastanza difficile. Sicurezza voleva dire cinture, e la console centrale a separarci ci aveva tenuto fin troppo a distanza. E avevo dovuto tenere gli occhi sulla strada, non su di lei. Ora potevo dedicarle tutta l’attenzione che avrei voluto mostrarle sin da quando Cord mi aveva portato per la prima volta il suo file.
Niente marito, niente fidanzato. Nessuno – e niente – a frapporsi tra noi e lei.
Le avevamo promesso una cena ed era quello che avrebbe avuto. Ma adesso non solo sapeva che le avevamo messo gli occhi addosso, ma lo sapeva anche tutto il ristorante. La stavamo rivendicando, diamine.
«Voi due non avete mai imparato cosa fosse lo spazio personale, vero?» domandò, agitandosi di nuovo, un sorriso a tirarle le labbra mentre si rendeva conto che non le avremmo concesso alcuno spazio.
«Con te? No,» dissi io, posando una mano sopra alla sua sul tavolo.
«Non riesco nemmeno a vedere gli altri clienti del ristorante.»
«Bene,»aggiunsi, sfregando pigramente il pollice sul dorso della sua mano. Non riuscivo a smettere di toccarla. Il mio corpo le bloccava la visuale da un lato e quello di Cord le nascondeva il resto. «Sei qui con noi. Non devi preoccuparti di nessun altro.»
Con lei, ero egoista. Non volevo che nessun altro uomo – a parte Cord – la vedesse nel suo bel vestitino. Questo le arrivava fino ad appena sopra il ginocchio ed era di un materiale fluente che si attorcigliava su se stesso avvolgendole le cosce e i fianchi, stuzzicandomi all’inverosimile. Aveva una profonda scollatura a V che metteva in mostra le curve del suo seno. Non era volgare. No, la nostra non era quel tipo di ragazza. E non si vestiva come una donna del Montana. Per lei, niente jeans e stivali. No, sembrava essere appena uscita da una festa in giardino. Non aveva idea di quanto fosse attraente ed era questo che la rendeva così fottutamente eccitante. A meno di essere ciechi, qualunque uomo avrebbe visto quanto era bella e l’avrebbe voluta tutta per sè. Be’, peccato. Era già stata rivendicata.
«Hai dato un’occhiata alla casa questo pomeriggio? Ti sei riposata? Hai chiamato gli amici?» chiese Cord, cambiando argomento. Dopo essercene andati, eravamo tornati in ufficio e non avevamo concluso nulla prima che io mi fossi arreso e fossi tornato a casa a cambiarmi per fare una corsa. Dovevo bruciare un po’ del desiderio che provavo per lei, altrimenti, una volta che fossi riuscito ad averla sotto di me, sarei stato decisamente troppo brutale. Per fortuna, mi ero fatto una sega sotto la doccia – facile, col pensiero della sua v****a che mi stringeva forte il cazzo invece della mia mano – prima di passarla a prendere, altrimenti sarei venuto dentro i pantaloni al solo vederla sulla veranda. Tutta gambe lunge, labbra piene e tette perfette.
«Mi sono guardata attorno, ho disfatto le valigie dopodichè mi sono addormentata.» Prese il suo bicchiede di vino e ne trasse un sorso.
«La camera da letto padronale ha una bellissima vista, non trovi?» chiese Cord.
Una settimana dopo la morte di Aiden Steele, avevo dovuto fare un inventario della casa come parte di una valutazione della tenuta e Cord mi aveva aiutato. Ormai conoscevamo entrambi la casa dentro e fuori, fino al numero di posate d’argento nei cassetti.
«Oh, um. Immagino di sì. Ho scelto una stanza più piccola per dormire. Quella con le gronde.»
«La camera della vecchia governante?» chiese Cord, con un sopracciglio sollevato per la sorpresa.
«Oh, um. Può darsi.» Fece spallucce. «Non sembrava la stanza di una governante. Ha delle tende morbide, un bel tappeto centrale e il letto ha una trapunta rosa chiaro. È... accogliente, specialmente in una casa così grande dove mi ritrovo tutta sola.»
Era una casa enorme per una persona sola, specialmente per qualcuno che sapevo non essere cresciuto nel lusso. La casa del ranch non era lussuosa, ma gridava comunque ricchezza. Ricchezza del Montana. Grandi stanze, soffitti alti, un sacco di travi e di pavimenti lucidi. Abbastanza teste di animali alle pareti da far venire gli incubi a un bambino.
Sapevo che Kady viveva nella casa che era appartenuta ai suoi genitori, quella in cui era stata cresciuta, una semplice casa a due piani in un quartiere della classe media. Era andata al college per fare l’insegnante, per cui sapeva che non avrebbe mai fatto tanti soldi con quella professione e si era accontentata. Ma adesso? I soldi non importavano. Era una donna ricca. Eppure aveva scelto la stanza più piccola, aveva volato in seconda classe nonostante le avessi comprato un biglietto per la prima. Quando avevo scoperto che l’aveva cambiato, mi era venuta voglia sculacciarla fino a farla diventare rossa, ma mi ero reso conto che fosse solamente fatta così. Non si dava al lusso.
Meno male. Nemmeno a me e Cord piaceva il lusso. Avevamo dei soldi da parte – non avevamo bisogno di lei, nè volevamo approfittarne in tal senso - avevamo tutto ciò che ci serviva. Una casa, delle auto, cose materiali. Ma erano cose. Avevamo tutto tranne lei.
Il suo cellulare squillò e lei prese la borsetta che teneva accanto e la mise sul tavolo, estraendone il telefonino. Lesse il display. Non riuscii a capire dall’espressione sul suo volto se fosse emozionata o timorosa. Si morse un labbro mentre il telefono continuava a squillare. «Scusate, di solito non sono così scortese da rispondere ad una telefonata durante un appuntamento, ma è mia sorella. Potrebbe essere successo qualcosa. Potrebbero aver-»
Cord sollevò una mano. «Non preoccuparti. Rispondi, ti prego.»
Lei rivolse ad entrambi un sorriso sollevato. «Ciao, Beth.» Si interruppe per lasciar parlare la sorella. «Sì, sono nel Montana. Davvero? Ti spiace attendere un attimo? Sì, sono in un ristorante. Sì, un appuntamento.»
Arrossì fortemente e lanciò un’occhiata ad entrambi. Aveva già usato la parola “appuntamento” due volte e la cosa era fottutamente rassicurante. Non aveva detto “cena col suo avvocato” o “con amici”. Eravamo degli appuntamenti. Gli appuntamenti avevano del potenziale e mi facevano rizzare il pene.
«Sì, so dove ti trovi. Non ho-» Sospirò. «Sì, ascolterò come ti è andata la giornata, ma aspetta un secondo, okay?»
Abbassò il cellulare, sussurando, «Mi scusereste un minuto?»
Io uscii dal divanetto e le porsi una mano per aiutarla ad alzarsi. «Grazie,» replicò lei mentre si metteva in piedi di fronte a me. Con un’ultima occhiata contrita, si diresse verso il corridoio che portava ai bagni, riportandosi il telefono all’orecchio.
Io tornai a sedermi e bevvi un sorso della mia birra. «Pensavo che sua sorella fosse in riabilitazione,» commentai, rigirandomi la pinta tra le dita.
«Lo è. Non ho sentito dire il contrario dal mio investigatore a Philadelphia.» Cord fece spallucce. «Immagino non abbiano restrizioni in fatto di telefonate.» Posò gli avambracci sul tavolo e si sporse in avanti. «Sua sorella è un problema. Hai visto la faccia di Kady?»
Sospirai. «Sì, preoccupazione e senso di colpa. Sembra che sua sorella ci stia facendo leva. Tutta la stronzata del “io sono in riabilitazione mentre tu te la spassi ad un appuntamento”.»
Cord si accigliò e tornò ad appoggiarsi allo schienale della sua sedia. «Sua sorella è una donna adulta. Deve assumersi le proprie responsabilità,» replicò.
Io sollevai una mano. «Sono d’accordo, ma spero che anche Kady lo pensi.»
Restammo in silenzio per un minuto dopodiché Cord disse, «Quel vestito.» Trasse un lungo sorso di birra, come se ciò lo avrebbe aiutato a placarsi. Niente avrebbe funzionato a parte una nuotata nel fiume rinfrescato dalla neve che si scioglieva dalle montagne o una nottata di follie con Kady tra noi due.
Ridacchiai. Non c’era bisogno che dicesse altro perchè sapevo esattamente cosa intendesse. Quel vestito addosso a lei era modesto, casto e insieme provocante e maledettamente sexy. Proprio come la donna che lo indossava.
Lanciai un’occhiata ai bagni e poi di nuovo a Cord. «Ogni cosa che la riguarda è del tutto ridicola e inadatta alla vita in un ranch,» dissi, sporgendomi e abbassando la voce. «Cioè, hai visto le sue scarpe?»
«Sì, fottutamente sexy,» replicò Cord, scuotendo lentamente la testa.
«Esatto. Fottutamente. Sexy.» Mi agitai sul divanetto, il pene che mi dava fastidio costretto nei jeans. Non avrei trovato sollievo tanto presto.
«Quindi ti stai lamentando?» mi chiese lui, le dita che tamburellavano sul tavolo di legno.
Gli lanciai un’occhiataccia. «No, sto solamente dicendo. Va in un ranch con i tacchi, le sue unghie sono ben smaltate di rosa e scommetto che non sa nemmeno distinguere il muso dal sedere di un cavallo.»
Cord rise. Tornò a sporgersi verso di me così che nessun altro potesse sentirci. «Ha anche dei bei fianchi da poterle afferrare durante una scopata. Tette che riuscirebbero a riempirmi le mani.» Le sollevò per mimare il gesto.
Il pensiero dei seni di Kady mi fece indurire solamente di più. Imprecai tra i denti.
«Già, cazzo,» replicò lui. «Ci ritroviamo con una ragazzina bella, dolce, gentile e per bene che vogliamo rivendicare. Non me ne frega un cazzo se sia adatta alla vita da ranch. Una volta che sarà nostra, non vivrà nel ranch, vivrà con noi. In città.»
«Esatto, diamine,» aggiunsi io.
Kady svoltò l’angolo uscendo dai bagni e noi ci alzammo.
«Va tutto bene?» le chiesi mentre la lasciavo riprendere posto sul divanetto prima di sedermi accanto a lei. Questa volta, quando mi misi tra i piedi, non disse nulla. Vista la leggera increspatura che aveva sulle labbra, sua sorella doveva averle detto qualcosa che l’aveva turbata.
Ci rivolse un sorriso falso. «Cosa vi ha detto il vostro investigatore su Beth? Sapete che si droga.»
Cord annuì. Il suo volto assunse l’espressione seria a cui ero abituato. Potevamo pensare che Kady fosse fuori luogo nel Montana, ma non pensavamo che fosse stupida. Nessuno di noi aveva intenzione di trattarla con condiscendenza.
«È in riabilitazione. Quattro mesi, giusto?»
Kady bevve l’ultimo sorso del suo vino ed io sollevai una mano per indicare al cameriere di portargliene dell’altro.
«Sì. Inizialmente non le era permesso fare telefonate, ma adesso può farlo. Sa che mi trovo qui e, be’, non ne è felice. La chiamata era per farmelo sapere.»
Non mi piaceva sapere che sua sorella, l’unico parente che avesse in vita, si comportasse da stronza con Kady. Mi sentivo estremamente protettivo nei suoi confronti.
«Quindi si stava lamentando del fatto che te ne fossi andata in vacanza mentre lei era bloccata in riabilitazione. Non è colpa tua se si trova lì.»
«Lo so, e in fondo forse lo sa anche lei. Ma vede tutto questo-» Agitò la mano nell’aria- «come un esempio di come il mondo ce l’abbia con lei. Lei non è diventata milionaria da un giorno all’altro. Io sì.»
«Esatto. Tu non potevi farci nulla. Lei ha una scelta, può controllare il proprio abuso di droghe,»aggiunse Cord, allungando una mano e posandola sulle sue sopra il tavolo.
Lei trasse un profondo respiro e lo lasciò andare. «Lo so. Lo so da anni. È solo che è difficile. Ho provato più e più volte ad aiutarla. Lei si rifiuta semplicemente di aiutare se stessa mentre, allo stesso tempo, dà la colpa a me. Ecco perchè mi trovo qui.»
La nostra ragazza era maledettamente coraggiosa. E sola. Perdere i suoi genitori e trovarsi con una sorella che sprofondava nelle droghe. Aveva così tante cose da gestire, il peso doveva essere non indifferente per le sue spalle esili, ma lo faceva con un maledetto sorriso sul volto.
«Sei qui per prenderti una pausa o per restare?» domandai, posando di nuovo il braccio sullo schienale del divanetto, accarezzandole la spalla con le dita. «Hai un lavoro, una casa, una vita in Pennsylvania a cui tornare. O stai cercando di ricominciare da zero, in un posto in cui poter dare dello spazio a tua sorella per occuparsi dei suoi problemi da sola?»
L’idea che tornasse da dove era venuta non ci andava a genio, specialmente nel caso in cui sua sorella fosse uscita dalla riabilitazione e si fosse ridata alle droghe. Sin da quando avevo preso il suo biglietto aereo, sapevo che Kady sarebbe rimasta per la maggior parte dell’estate. Avevamo tempo per lavorarcela, per dimostrarle che stare con noi sarebbe stato meglio di qualunque cosa ci fosse ad est.
Lei abbassò lo sguardo sul tavolo, poi tornò a guardare me. «Sì, volevo prendermi una pausa. Prima di arrivare qui, non riuscivo davvero a credere che fosse tutto vero, che ci fosse veramente un padre di cui avevo sempre ignorato l’esistenza, un ranch nel Montana. Sembra uscito da un film o qualcosa del genere. Sono una semplice insegnante delle elementari.»
Era tutto meno che semplice, ma non avevo intenzione di dirglielo in quell’istante. Adesso era il momento di ascoltare.
«Avete sentito parte della chiamata. Con Beth e tutto il resto, volevo solamente fuggire.»
«E ora che ci credi che il ranch sia reale, che sei una miliionaria?»
Lei roteò gli occhi e ci rivolse un sorriso incerto. «Visto? Incredibile. Io, una milionaria.» A quel punto rise, ancora sopraffatta dall’idea.
Cord si sporse in avanti. «E se ti dicessimo che siamo interessati a te, che ti troviamo bellissima? Perfetta.»
Lei arrossì e distolse lo sguardo. «Penserei che foste pazzi. Guardatemi.»
«Lo stiamo facendo,» le dissi io, la voce calma. Piatta. Lenta. Le mie dita continuavano ad accarezzarle delicatamente la pelle setosa.
Attendemmo, lasciando che il silenzio parlasse da solo.
Dopo un minuto, lei sollevò lo sguardo, posando le dita ai bordi del tavolo così da mettere in mostra quelle bellissime unghie smaltate. «Allora cosa, vorreste avere una... storiella con me? Entrambi?»
«Entrambi, sì,» disse Cord. «Una storiella? Diamine, no.»
«Allora cos’è che volete? La mia eredità?» Spalancò gli occhi come se non avesse riflettuto sulle proprie parole finchè non le erano uscite di bocca. «Dio, non so nulla della vita in questo posto, ma non sono un’ingenua.»
Cord assottigliò gli occhi e strinse la mascella. «Non ci conosci, Kady, per cui chiuderemo un occhio su questa insinuazione. Non siamo qui con te per mettere le mani sulla tua eredità. A me non frega un cazzo e sono certo che Riley vorrebbe che Aiden Steele fosse ancora vivo così da non ritrovarsi invischiato fino al collo con questa storia dell’esecutore testamentario. Ma sappi questo, se insulterai di nuovo noi o te stessa, ti prenderò sulle ginocchia e ti sculaccerò quel bellissimo sedere che ti ritrovi fino a farlo diventare rosa come lo smalto delle tue unghie.»
Lei spalancò la bocca. «Non intendevo-»
«Sì, invece. Ci hai insultati non solo quando hai pensato che fossimo dietro ai tuoi soldi, ma anche quando hai pensato che non fossimo abbastanza furbi nel ritenerti bellissima.»
Lei richiuse di scatto la bocca e spostò lo sguardo tra noi due.
«Dunque non volete i miei soldi. Cos’è che volete, esattamente?»
«Te.» Rispondemmo entrambi nello stesso momento. La stavamo guardando molto intensamente. Non c’era modo che potesse maleinterpretare. Che potesse avere dubbi sul fatto che volessimo qualcun’altra. Affatto.
«Sotto di noi, tra di noi,» le dissi io. «Che mi cavalchi mentre Cord ci guarda. In ginocchio davanti a noi. Vogliamo scoparti, Kady, farti dimenticare tutto tranne le sensazioni che ti faremo provare. Essere al centro del tuo mondo.»
Lei ci fissò di rimando, si leccò le labbra mentre le sue guance arrossivano. Riuscivo a vederle pulsare freneticamente la vena sul collo, vidi il modo in cui i seni si alzavano e abbassavano ad ogni rapido respiro. Cazzo, i capezzoli le si indurirono sotto l’abito davanti ai miei occhi.
Per quanto riguardava me, il pene mi era diventato duro come una roccia dentro ai pantaloni. Volevo farle tutto quello che avevo detto e altro ancora.
Schiarendosi la gola, lei disse. «Non ho più fame. Mi piacerebbe che mi riportaste al ranch, ora.»
Lanciai un’occhiata a Cord, che aveva l’aria delusa quanto me. Avevamo rovinato tutto. Avevamo mandato tutto all’aria. Diamine, l’avevo spaventata con le mie parole dirette. Era stata tutta verità e solo una piccola parte di tutte le cose sporche che avrei voluto farle, ma ciò non significava che avrei dovuto dirlo ad alta voce. Lei era alla ricerca di gentiluomini ed io avevo rovinato tutto.
Nessuno di noi due era tipo da romanticismo, lume di candela o stronzate alla luce della luna. Ci eravamo posti in modo dannatamente troppo rude. Forte. Grezzo. Bastava guardarla, vedere le delicate perle dei suoi occhi, il suo lucidalabbra rosa, il vestitino estivo. Era una donna seducente e dolce. Le nostre parole rozze e l’atteggiamento spavaldo non erano ciò che desiderava e non avevamo fatto altro che spaventarla.
Annuii una volta, mi alzai e le porsi una mano per aiutarla a uscire dal divanetto. Cord gettò un paio di banconote sul tavolo per coprire il conto mentre la seguivamo fuori dal ristorante.
Fantastico. Fottutamente fantastico. Dovevamo guardarci il suo bellissimo culo ondeggiarci davanti e non potevamo farci niente. Non era interessata. Era finita.