CAPITOLO QUATTRO

1954 Words
CAPITOLO QUATTRO Lucio fece roteare la lama sopra alla spalla, esultando per come luccicava alla fioca luce un istante prima di andare a trafiggere il vecchio che aveva osato metterglisi davanti. Attorno a lui altri paesani morivano per mano dei suoi uomini: quelli che avevano osato opporre resistenza, e abbastanza stupidi da trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Sorrideva mentre le grida riecheggiavano attorno a lui. Gli piaceva quando i contadini cercavano di combattere, perché dava ai suoi uomini la scusa di mostrare loro quanto deboli fossero veramente in confronto ai loro superiori. Quanti ne aveva uccisi ormai in assalti come quello? Non si era preoccupato di tenerne il conto. Perché avrebbe dovuto sprecare anche un briciolo di attenzione per una cosa del genere? Lucio si guardò attorno mentre i paesani iniziavano a scappare e fece cenno a qualcuno dei suoi uomini che si misero ad inseguirli. Correre era quasi meglio che combattere, perché c’era una sfida nel dare loro la caccia come fossero delle prede. “Il vostro cavallo, vostra altezza?” chiese uno degli uomini conducendo lo stallone di Lucio. Lucio scosse la testa. “L’arco direi.” L’uomo annuì e passò a Lucio un elegante arco ricurvo di frassino bianco misto a corno e decorato d’argento. Mise in posizione una freccia, tirò la corda e scoccò il colpo. In lontananza uno dei contadini in fuga cadde a terra. Non ci furono altri combattimenti, ma questo non significava che avessero ancora finito. Non per un po’. Aveva scoperto che i contadini che si nascondevano potevano essere divertenti come quelli da rincorrere e combattere. C’erano così tanti modi diversi di torturare quelli che sembravano avere dell’oro, e molti altri di uccidere coloro che potevano avere delle simpatie per i ribelli. La ruota ardente, la forca, il cappio… quale avrebbe usato oggi? Lucio fece cenno a un paio dei suoi uomini di buttare giù le porte a calci. Di tanto in tanto gli piaceva dare fuoco a quelli che si nascondevano, ma le case valevano più dei loro abitanti. Una donna uscì correndo e Lucio la prese, gettandola a caso verso uno dei mercanti di schiavi che avevano iniziato a seguirlo da un po’, come gabbiani dietro a un peschereccio. Entrò nel tempio del villaggio. Il sacerdote era già a terra con il naso rotto, mentre gli uomini di Lucio raccoglievano oggetti d’oro e d’argento mettendoli in un sacco. Una donna vestita da sacerdotessa si portò davanti a lui. Lucio notò una ciocca di capelli biondi uscire da sotto il cappuccio e un certo aspetto raffinato che lo fece esitare. “Non puoi fare questo,” insistette la donna. “Siamo in un tempio!” Lucio la afferrò e le tolse il cappuccio per poterla guardare. Non era bella come Stefania – nessuna donna di basso rango avrebbe mai potuto esserlo – ma lo era abbastanza da poter essere tenuta per un po’. Almeno fino a che non si fosse stufato. “Mi manda il vostro re,” disse Lucio. “Non cercare di dirmi cosa non posso fare!” Troppe persone avevano tentato di farlo nella sua vita. Avevano cercato di imporgli dei limiti, quando lui invece era la persona dell’Impero sulla quale non avrebbero dovuto esserci limitazioni. Ci avevano provato i suoi genitori, ma un giorno lui sarebbe stato re. Sarebbe stato re, nonostante quello che aveva trovato nella biblioteca quando il vecchio Cosma pensava fosse troppo stupido per capire. Tano avrebbe imparato qual era il suo posto. La mano di Lucio si strinse attorno ai capelli della sacerdotessa. Anche Stefania avrebbe capito qual era il suo posto. Come aveva osato sposare Tano a quel modo, come se fosse il principe più desiderabile? No, Lucio avrebbe trovato un modo di sistemare tutto. Avrebbe diviso Tano e Stefania allo stesso modo in cui apriva in due le teste di coloro che gli si mettevano tra i piedi. Avrebbe ottenuto Stefania in sposa, sia perché era di Tano, sia perché sarebbe stata un ottimo decoro per qualcuno del suo rango. Avrebbe goduto di questa cosa, e fino a quel momento la sacerdotessa che aveva catturato sarebbe stata una degna sostituta. La spinse verso uno dei suoi uomini perché la sorvegliasse e uscì a vedere quali altri divertimenti ci potessero essere nel villaggio. Quando fu all’esterno vide due dei suoi uomini che legavano uno degli abitanti in fuga a un albero con le braccia allargate. “Perché l’avete lasciato in vita?” chiese Lucio. Uno di loro sorrise. “Tor qui mi stava raccontando di una cosa che fanno quelli del nord. Lo chiamano l’aquila di sangue.” A Lucio piacque quel suono. Stava per chiedere di cosa si trattasse quando udì il grido di una delle vedette che sorvegliava i ribelli. Lucio si girò, ma invece di vedere un’orda di gentaglia in avvicinamento, scorse una singola figura a cavallo che aveva a grandi linee la sua stazza. Lucio riconobbe l’armatura all’istante. “Tano,” disse. Schioccò le dita. “Bene, pare che oggi sarà una giornata ancora più interessante di quanto pensassi. Ridatemi il mio arco.” *** Tano spronò il suo cavallo quando vide Lucio e ciò che stava facendo. Qualsiasi dubbio sospeso riguardo l’abbandonare Stefania a letto si dissolse nel calore della sua rabbia quando vide gli abitanti morti, i mercanti di schiavi, l’uomo legato all’albero. Vide Lucio fare un passo e sollevare l’arco. Per un momento Tano non poté credere che l’avrebbe fatto, ma del resto perché no? Lucio aveva già tentato di ucciderlo prima. Vide la freccia partire dall’arco e sollevò lo scudo giusto in tempo. La punta colpì il metallo dello scudo prima di cadere a terra. Seguì una seconda freccia, e questa volta gli passò accanto a pochi centimetri dal viso. Tano spronò il cavallo a galoppare più veloce mentre una terza freccia lo sfiorava. Vide Lucio e i suoi uomini tuffarsi di lato mentre lui sfrecciava in mezzo a loro. Si girò e sguainò la spada proprio mentre Lucio si rimetteva in piedi. “Tano, così veloce. Si direbbe che non vedevi l’ora di vedermi.” Tano puntò la spada contro il cuore di Lucio. “Adesso falla finita, Lucio. Non ti permetterò di uccidere altre persone del nostro popolo.” “Il nostro popolo?” ribatté Lucio. “Questo è il mio popolo, Tano. E posso farci quello che voglio. Permetti che te lo dimostri.” Tano lo vide sguainare la spada e dirigersi verso l’uomo legato all’albero. Tano si rese conto di ciò che il suo fratellastro aveva intenzione di fare e mise in moto il suo cavallo. “Fermatelo,” ordinò Lucio. I suoi uomini ubbidirono e scattarono. Uno andò verso Tano puntandogli una lancia in faccia. Tano la deviò con lo scudo tagliando la punta dell’arma con la sua spada e poi dando un calcio all’uomo, facendolo cadere in terra. Ne trafisse un altro che correva verso di lui, colpendolo sulle spalle, tra le lamine dell’armatura, ed estraendo poi di nuovo la sua spada. Si costrinse ad avanzare attraverso i pressanti avversari. Lucio stava ancora avanzando verso la vittima prescelta. Tano fece roteare la spada contro uno dei malviventi di Lucio e avanzò poi velocemente mentre il colpo sprigionava un suono metallico. Lucio afferrò il suo scudo. “Sei prevedibile, Tano,” gli disse. “La compassione è sempre stata la tua debolezza.” Tirò con forza tale che Tano si trovò trascinato giù dalla sella. Rotolò in tempo per evitare un colpo di spada e liberò il braccio dallo scudo. Prese la propria spada con due mani mentre gli uomini di Lucio lo accerchiavano di nuovo. Vide il suo cavallo scappare, e questo significava che ora aveva perso il vantaggio dell’altezza. “Uccidetelo,” disse Lucio. “Diremo che sono stati i ribelli.” “Sei bravo a provarci, vero?” ribatté Tano. “È un peccato che tu non sia abbastanza bravo a finire il tuo lavoro.” Uno degli uomini di Lucio lo attaccò facendo roteare una mazza chiodata. Tano avanzò nell’arco del tiro tagliando diagonalmente, poi ruotò con la spada tesa per tenere a bada gli altri. Arrivarono rapidi, come se sapessero che nessuno di loro poteva sperare di sconfiggerlo singolarmente. Tano lasciò loro terreno mettendo la schiena contro il muro della casa più vicina in modo che i suoi nemici non potessero circondarlo. Ora c’erano tre uomini vicino a lui, uno con un’ascia, uno con una spada corta e uno con una lama curva simile a una falce. Tano teneva vicina la sua spada, guardandoli e non volendo dare a nessuno di quei mercenari la possibilità di colpire la sua spada in modo che gli altri scivolassero avanti. L’uomo alla destra di Tano cercò di colpire con la sua spada corta. Tano lo parò in parte, sentendo il tintinnio della sua armatura. Un certo istinto lo fece ruotare e abbassare, giusto in tempo perché l’ascia dell’uomo alla sua sinistra gli passasse sopra alla testa. Tano colpì ad altezza di caviglia per far cadere l’avversario, poi girò la lama e colpì all’indietro, sentendo il grido del primo uomo che vi finiva contro. Quello con la lama curva attaccò con maggior cautela. “Attaccatelo! Uccidetelo!” gridava Lucio, ovviamente impaziente. “Oh, lo faccio da me.” Tano parò il colpo del principe quando si unì al combattimento. Dubitava che Lucio l’avrebbe fatto se non ci fosse stato un altro uomo lì ad aiutarlo, e forse ce ne sarebbero stati altri nel corso della lotta. A dire il vero tutto ciò che Lucio doveva fare era tardare le cose, e Tano avrebbe potuto trovarsi sommerso da un considerevole numero di soldati. Quindi Tano non aspettò. Invece attaccò. Tirò un colpo dopo l’altro, alternandosi tra Lucio e il mascalzone che Lucio si era portato dietro, costruendo così una sorta di ritmo. Poi improvvisamente fece una pausa. L’uomo con la falce parò un colpo inesistente. Tano si lanciò nello spazio rimasto e la testa dell’uomo volò. Fu addosso a Lucio in un istante, lama contro lama. Lucio gli tirò un calcio, ma Tano si spostò di lato allungandosi verso l’elsa della spada di Lucio e afferrandola. Tano tirò verso l’alto e strappò la spada dalla mano di Lucio, poi colpì lateralmente. La sua spada andò a sbattere contro il pettorale di Lucio. Lucio sguainò un pugnale e Tano spostò la spada nell’altra mano facendola roteare in basso con dalla parte dell’elsa in modo che la guardia si impigliasse dietro al ginocchio di Lucio. Tano tirò e Lucio cadde a terra. Tano diede un calcio al pugnale che teneva in mano facendolo volare con forza. “Dimmi di nuovo questa storia della compassione che è la mia debolezza,” disse Tano tenendo la punta della sua spada sospesa sulla gola di Lucio. “Non lo farai,” disse Lucio. “Stai solo cercando di spaventarmi.” “Spaventarti?” chiese Tano. “Se pensassi che spaventarti funzionasse, ti avrei spaventato a morte anni fa. No, ho intenzione di mettere fine a questa faccenda.” “Mettere fine?” disse Lucio. “Questa faccenda non può finire, Tano. Non fino a che non avrò vinto.” “Dovrai aspettare un sacco allora,” gli assicurò Tano. Sollevò la spada. Doveva farlo. Lucio doveva essere fermato. “Tano!” Tano si girò sentendo la voce di Stefania. Con suo stupore la vide avvicinarsi, avanzando a rapido galoppo. Era vestita da amazzone, in modo ben diverso dal suo stile solitamente così elegante, e da come gli abiti apparivano stropicciati si intuiva che doveva esserseli messi addosso in fretta e furia. “Tano, no!” gridò mentre si avvicinava. Tano strinse la spada con maggior forza. “Dopo tutto quello che ha fatto, non pensi che lo meriti?” “Non si tratta di cosa meriti o meno,” disse Stefania smontando da cavallo e portandosi acanto a lui. “Qui parliamo di cosa meriti tu. Se lo uccidi, ti faranno fuori per questo. Funziona così, e io non ho intenzione di perderti a questo modo.” “Ascoltala Tano,” disse Lucio, sempre steso a terra. “Taci,” disse Stefania. “O vuoi incitarlo ad ucciderti?” “Bisogna fermarlo,” disse Tano. “Non così,” insistette Stefania. Tano sentì la sua mano sul proprio braccio che spingeva via la spada. “Non facendoti ammazzare tu stesso. Hai giurato che saresti stato mio per il resto della nostra vita insieme. Pensavi davvero che potesse essere così breve?” “Stefania,” iniziò Tano, ma lei non gli permise di concludere il discorso. “E io?” gli chiese. “In che pericoli mi troverò se mio marito uccide l’erede al trono? No, Tano. Fermati. Fallo per me.” Se qualsiasi altra persona gliel’avesse chiesto, Tano avrebbe potuto anche andare avanti con la sua intenzione. C’era troppo in ballo. Ma non poteva mettere a rischio Stefania. Conficcò la spada in terra, mancando la testa di Lucio di un centimetro. Lucio stava già rotolando via e si mise subito a correre verso un cavallo. “Te ne pentirai!” gridò Lucio. “Ti prometto che te ne pentirai!”
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