1. IL MALANNO DEL SIGNOR LEE-2

2285 Words
“Sì, so cosa vuoi dire con ‘massaggio delicato’. Se è questo il problema, perché non chiedi a tuo zio di fartelo? Perché scegliere una ragazza?” “Lo sai il perché, non mi piace avere le mani di un uomo addosso, te l’ho spiegato altre volte, ma va bene, se ti dà fastidio, non farò il massaggio”. “Guarda che non ti sto dicendo che non puoi andare! Santo cielo, non posso mica fermarti! Comunque sia, come dici tu, dicono che sia piuttosto brusca e potrebbe fare più male che bene. Penso che sarebbe più saggio non andarci finché non avremo avuto notizie da tua zia, tutto qui”. “Sì, d’accordo, probabilmente hai ragione. Non mi hai ancora detto dove sono i ragazzi”. “In realtà, non ne sono sicura, pensavo che a quest’ora sarebbero tornati … Sono usciti insieme per vedere qualcosa per una festa di compleanno che hanno questo fine settimana, o qualcosa del genere”. I Lee avevano due figli, un maschio e una femmina, e si ritenevano fortunati, perché ci avevano provato per dieci anni prima che venisse concepito il maschio. Ora avevano rispettivamente venti e sedici anni, quindi il Signore e la Signora Lee avevano rinunciato da un pezzo ad averne altri. Avevano smesso di provarci anni fa. I due erano bravi ragazzi, ubbidienti e rispettosi, e rendevano orgogliosi i genitori, o, per lo meno, quello che sapevano di loro li rendeva orgogliosi, perché erano esattamente come qualsiasi altro adolescente che si rispetti: novanta percento buoni, ma con qualche dispetto e pensiero segreto che i loro genitori non avrebbero approvato. Il Signorino Lee, il figlio, di nome Den, o conosciuto anche come Giovane Lee, aveva appena compiuto vent’anni e aveva finito la scuola da quasi due. Lui, così come la sorella, aveva avuto un’infanzia felice, ma aveva iniziato a rendersi conto che suo padre aveva pianificato una vita molto dura per lui, benché avesse sempre lavorato sia prima che dopo la scuola. Però, prima c’era anche tempo per il calcio, il ping pong e le ragazze al ballo della scuola. Ora era tutto finito, così come era finita la sua prospettiva di avere una vita sessuale, non che ci fosse mai stato molto di cui vantarsi, a parte qualche raro bacio e qualche toccatina. Da circa due anni, però, non era più riuscito a ottenere nulla. Den sarebbe partito per una città in un batter d’occhio, se solo avesse saputo cosa fare quando sarebbe arrivato là, ma non aveva alcuna aspirazione, tranne che avere un mucchio di donne. I suoi ormoni lo stavano scombussolando a tal punto che persino qualche capra gli sembrava molto attraente, cosa che lo preoccupava da morire. In fondo, ma non troppo, sapeva che avrebbe dovuto sposarsi se avesse voluto avere rapporti regolari con una donna. L’idea del matrimonio cominciava a sembrare decisamente seducente, anche se gli sarebbe costato qualche figlio. La Signorina Lee, meglio conosciuta come Din, era una bella ragazza di sedici anni, la quale aveva lasciato la scuola durante l’estate, studiando, perciò, due anni in meno del fratello, cosa abbastanza comune da quelle parti. Non perché fosse meno brillante, ma perché i genitori e le ragazze stesse ritenevano che prima si creavano una famiglia, meglio era. Inoltre, era più facile trovare marito quando una ragazza aveva meno di vent’anni piuttosto che qualche anno in più. Din aveva accettato questo ‘sapere’ tradizionale senza troppe domande, malgrado i dubbi della madre. Anche lei aveva sempre lavorato sia prima che dopo la scuola e, con tutta probabilità, più duramente del fratello, anche se lui non se n’era mai accorto, dato che, praticamente, le ragazze da quelle parti venivano indirettamente viste come schiave. Tuttavia, Din a volte fantasticava: sognava un romantico intrico, nel quale il suo innamorato l’avrebbe rapita e portata a Bangkok, dove lui sarebbe diventato un medico e lei avrebbe fatto shopping tutto il giorno con le sue amiche. Anche i suoi ormoni non le davano pace, ma la cultura locale le vietava di ammetterlo, soprattutto a se stessa. Suo padre, suo fratello e persino sua madre, probabilmente l’avrebbero rinchiusa se l’avessero beccata anche solo sorridere a un ragazzo che non fosse appartenente alla famiglia. Lei lo sapeva e accettava anche questo senza troppe domande. Era suo il piano di cominciare a cercare marito immediatamente, un compito al quale sua madre si era offerta di aiutare, perché entrambe sapevano che prima veniva portato a termine, meglio era, anche per evitare di portare vergogna alla propria gente. In fin dei conti, i Lee erano una famiglia tipica del posto ed erano contenti di esserlo. Andavano avanti con le proprie vite tra i vincoli dei costumi locali e il pensiero di ciò che fosse giusto e corretto, anche se i figli covavano il sogno di scappare e raggiungere la grande città. Il problema era che la mancanza di ambizione che era stata coltivata dalla popolazione delle montagne per secoli e secoli li tratteneva, e questa era una buona cosa per il governo, altrimenti tutti i giovani sarebbero scomparsi dalle campagne molti anni prima per poter raggiungere Bangkok e da lì paesi stranieri come Taiwan e Oman, dove gli stipendi erano migliori. Ad ogni modo, la libertà dal rigido condizionamento dei pari era affascinante. Molte ragazze erano partite alla volta di Bangkok. Alcune avevano trovato un lavoro decente, ma la maggior parte era finita nel giro della prostituzione delle grandi città; altre si erano trasferite all’estero, addirittura anche fuori dall’Asia. C’erano parecchie storie orribili per poter dissuadere le ragazzine e avevano funzionato sia su Din sia su sua madre anni prima. Al Signor Lee piaceva la sua vita e amava la sua famiglia, anche se non lo avrebbe mai ammesso fuori dai confini della sua abitazione. Non voleva perderli a causa di qualche malattia che poteva aver cominciato a crescere dentro di lui quando era ancora un ragazzo. Il Vecchio Signor Lee, sebbene sapesse che qualche ragazzetto del villaggio poco rispettoso lo chiamasse Lee il Vecchio Caprone, fu un idealista in giovane età e si era arruolato per combattere con il Vietnam del Nord non appena aveva finito la scuola. Vivevano vicinissimo al confine con il Laos, perciò il Vietnam non era così lontano; inoltre, sapeva delle bombe che gli americani avevano lanciato in quei territori e lui voleva dare il proprio contributo per porre fine alla guerra. Aveva sposato la causa comunista ed era partito per l’addestramento militare in Vietnam non appena glielo permisero. Molte delle persone con cui si esercitava erano esattamente come lui, in parte cinesi, ma stanchi di potenze straniere che si immischiavano nel futuro dei propri compatrioti. Non riusciva a capire il motivo per cui agli americani, che vivevano a migliaia di chilometri di distanza, importasse chi fosse al governo nella sua piccola parte di mondo. Non si era mai preoccupato di chi fosse il presidente che avevano eletto. In ogni caso, il destino volle che Heng non avesse mai l’opportunità di sparare un colpo per sfogare la sua rabbia, poiché venne colpito dal frammento di una bomba americana mentre veniva trasportato dal campo di addestramento al campo di battaglia durante il suo primo giorno. Le ferite erano molto dolorose, ma non misero a rischio la sua vita; queste furono, però, sufficienti a farlo congedare per invalidità non appena fu in grado di lasciare l’ospedale. Fu colpito sulla parte superiore della gamba sinistra dal pezzo più grande, ma alcuni più piccoli colpirono l’addome; questi potevano essere la causa del suo malessere attuale. Da qui, nacquero anche tutte quelle dicerie sulla pallottola che lo aveva colpito. Era tornato a casa zoppicante e con un risarcimento abbastanza buono da poter comprare una piccola fattoria; invece, oltre alla fattoria si comprò un gregge di capre per allevarle e venderle. Un anno dopo, la gamba era tornata come nuova, aveva una masseria ed era sposato con una bella ragazza del posto che conosceva da quando era un ragazzo e che proveniva da una famiglia di agricoltori, con la quale visse una vita povera, ma felice. Da allora, tutti i giorni della settimana, tranne la domenica, il Signor Lee portava il suo gregge a pascolare sulle montagne e durante l’estate spesso passava la notte in uno dei bivacchi sparsi qua e là che aveva imparato a costruire nell’esercito. Ricordava quei tempi con nostalgia, come giorni felici, sebbene allora non li avrebbe proprio definiti così. Sulle montagne i predatori erano scomparsi, a parte gli uomini, poiché tutte le tigri erano state uccise tempo addietro per essere utilizzate nella medicina cinese. Il Signor Lee su questo aveva sentimenti contrastanti: da una parte sapeva che era un’infamia, ma dall’altra non aveva alcun desiderio di difendere le capre dalle tigri ogni notte. Prima che la malattia lo colpisse, all’incirca una settimana prima, era stato un capraio per quasi trent’anni, infatti conosceva le montagne come le sue tasche. Sapeva sia quali zone evitare, poiché ancora ricche di mine e di pacchetti di stricnina lasciati dagli americani negli anni Settanta, sia quali zone erano state liberate, anche se gli artificieri ne avevano mancate una o due, come aveva scoperto una delle sue capre un mesetto prima. Fu una scena tremenda: un sasso, balzando dal suolo, innescò la mina che fece saltare in aria il povero animale, portandogli via la testa. Fortunatamente, morì immediatamente e il suo corpo non andò sprecato, infatti, il Signor Lee era troppo lontano da casa per trascinare la carcassa fino là, perciò decise di passare qualche giorno tra le montagne, abbuffandosi, mentre la sua famiglia era a casa preoccupata da morire. Il Signor Lee era un uomo soddisfatto. Gli piaceva il suo lavoro e la vita all’aperto, e ormai aveva accettato il fatto che non sarebbe mai stato ricco né avrebbe mai più viaggiato. Per questo, lui e sua moglie erano contenti di aver avuto solo due figli. Li amava entrambi in ugual modo e voleva il meglio per loro, ma era anche contento che avessero lasciato la scuola, così potevano lavorare a tempo pieno nella fattoria, aiutando la madre a coltivare erbe e verdure, e a mantenere tre maiali e qualche dozzina di galline. Heng pensava a quanto avrebbe potuto espandere la fattoria con un aiuto ulteriore. Magari avrebbero potuto gestire un’altra dozzina di galline, qualche maiale in più e un campo di granturco. Si risvegliò da questo sogno a occhi aperti: “E se fosse grave, Mad? Non l’ho detto a nessuno prima, ma sono svenuto due volte questa settimana e ci sono andato vicino altre tre”. “Perché non me lo hai detto?” “Beh, sai, non volevo farti preoccupare e, comunque, non potevi farci niente, no?” “No, non personalmente, ma ti avrei portato prima da tua zia e forse avrei cercato di trascinarti da un dottore”. “Ah, mi conosci, Mad. Ti avrei detto, ‘Aspettiamo di sapere cosa dice Zia Da prima di spendere tutti quei soldi’. Ammetto di sentirmi un po’ strano a volte e sono un po’ spaventato da quello che potrebbe dirmi la zietta domani”. “Sì, anche io. Ti senti davvero così male?” “Ogni tanto, ma il fatto è che non ho alcuna energia. Ero solito correre e saltare con le capre, ma adesso mi sento stanco anche solo a guardarle! “C’è qualcosa, ne sono sicuro”. “Senti, Paw”, disse, chiamandolo con il nomignolo meno fantasioso che potesse trovare, in quanto significava ‘papà’ in thailandese, “i ragazzi sono al cancello. Vuoi includerli in tutto questo proprio ora?” “No, hai ragione, non c’è motivo di farli preoccupare adesso, ma penso che Zia Da mi manderà a chiamare domani nel tardo pomeriggio, quindi di’ loro che faremo una riunione di famiglia all’ora del tè e dovranno esserci. “Ora penso che andrò a letto, mi sento di nuovo stanco. Lo sputacchio della zia mi ha tirato su per un po’, ma l’effetto è esaurito. Di’ ai ragazzi che sto bene, ma chiedi a Den se può portare le capre fuori al posto mio domani, va bene? Non c’è bisogno che le porti lontano, basta giù al fiume, così possono mangiare l’erba e bere … Non gli farà male per un giorno o due. “E poi, quando hai dieci minuti, potresti farmi un po’ di quel tuo tè speciale, per favore? Quello con lo zenzero, l’anice e il resto … mi tirerà su di morale ... Oh, e qualche seme di melone o di girasole … Magari puoi chiedere a Din di raccoglierli per me?” “Che ne dici della zuppa? È la tua preferita …” “Sì, va bene, ma se mi sono addormentato lasciala sul tavolo, la berrò fredda più tardi. “Ciao, ragazzi, vado a letto presto stasera, ma non voglio che vi preoccupiate, sto bene. Vostra madre vi darà più dettagli. Ho preso solo qualche tipo di infezione, penso. Buonanotte a tutti”. “Buonanotte, Paw”, risposero, osservandolo ansiosamente. Poi si guardarono l’uno con l’altro; Din sembrava alquanto preoccupata. Appena il Signor Lee si distese nella tranquilla oscurità, sentì le tempie pulsare ancora più forte, come quando un dente cariato sembra fare più male la notte nel letto, ma era così spossato che si addormentò prima che gli furono portati il tè, la zuppa e i semi. Fuori, seduti attorno al tavolo nella penombra, il resto della famigliola discuteva sottovoce il malanno di Heng, anche se nessuno avrebbe potuto sentirli se avessero parlato a voce alta. “Paw morirà, mamma?”, chiese Din quasi in lacrime. “No, mia cara, certo che no”, ripose, “almeno … non credo”.
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