Un suono assordante interrompe il mio bellissimo sogno. Ci metto un po' a capire che il suono proviene da quell'aggeggio infernale più comunemente conosciuto con il nome di sveglia.
Vorrei lanciarla contro la parete, ma mia madre farebbe lo stesso con me, e l'idea non mi entusiasma per niente.
Spengo la sveglia e mi giro dalla parte opposta, sperando di riuscire a riaddormentarmi. Poi mi ricordo di che giorno si tratta.
Merda, oggi è lunedì. È il mio primo giorno di lavoro.
Mi alzo di scatto dal letto e prendo dei vestiti a caso dalla sedia, ormai diventata il mio nuovo armadio.
Spero solo che la maglia non sia sporca.
Scendo di corsa le scale e vado in cucina per mangiare qualcosa. Vedo che mia mamma è già seduta al tavolo con una tazza di caffè tra le mani.
«Perché non mi hai svegliata prima sapendo che inizio a lavorare?» le chiedo.
Mi guarda e alza un sopracciglio perfettamente colorato con una matita apposta.
È mia madre e si trucca meglio di me, accidenti.
«Tu hai detto di essere diventata responsabile, Brianna. Quindi è tua anche la responsabilità di svegliarti in orario» mi dice.
Sento dei passi frettolosi scendere le scale e poi mio padre entra in cucina.
Ma non dovrebbe essere già a lavoro?
Guarda mia madre. «Kate, tesoro, perché non mi hai svegliato vedendo che ero in ritardo per il lavoro?»
Mia madre batte la sua mano destra sul tavolo. «Siete adulti! Svegliatevi da soli, deficienti!» urla.
«Mamma» la richiamo.
Lei risponde in modo scontroso. «Che c'è?»
«Hai il ciclo?» le chiedo.
«Si, okay? Sono io che soffro, non tu. Tu non puoi capire cosa proviamo noi ragazze una volta al mese» mi dice.
Sospiro. «Mamma, ti ricordo che pure io sono una ragazza e ho le mestruazioni.»
«Hai ragione.»
Mio papà ha una faccia impaurita. Quando mia madre e io abbiamo le nostre cose lui deve comportarsi bene e fornirci tutta la cioccolata di cui abbiamo bisogno. È letteralmente terrorizzato da noi quando abbiamo le mestruazioni.
«Mentre torno dal lavoro mi fermo a comprare una tavoletta di cioccolato fondente» dice, rivolto a mia madre.
La mamma lo guarda contrariata, così mio padre ritenta. «Due tavolette di cioccolato? Una fondente e una al latte?»
Mia madre è ancora contrariata.
«Tre tavolette di cioccolato? Una fondente, una al latte e una al cioccolato bianco?»
Mia madre non è ancora contenta.
«Una fondente, una al latte e una al cioccolato bianco e un barattolo di Nutella?» ritenta.
Mia madre sorride felice. «Chris, ti ho mai detto quanto ti amo?»
Mio padre mormora cose incomprensibili.
Probabilmente sta maledicendo la donna che ha deciso di sposarsi.
Mi giro a guardarlo. «Papà, mi accompagni a lavoro?»
«Scusa Brianna, ma sono anch'io in ritardo.»
«Non c'è bisogno di fermarsi. Tu rallenti e io scendo mentre la macchina va ancora.»
«Affare fatto» e ci stringiamo la mano.
Vado in bagno a lavarmi i denti e raggiungo mio padre in macchina.
Come avevamo precedentemente deciso, scendo dalla macchina mentre sta ancora andando.
Raggiungo il negozio e apro la porta.
Non l'avessi mai fatto.
Appena l'ho fatto è caduto un oggetto da una mensola.
Quello che dovrebbe essere il mio capo alza un sopracciglio. «Per caso mentre lavorerai qui dentro dovrò mettere al sicuro qualsiasi oggetto che possa cadere appena apri quella dannata porta?» mi chiede.
Sorrido. «Può sempre togliere la porta se vuole.»
Il capo sospira. «Prima cosa, sei in ritardo. Seconda cosa, il mio nome è Paul ma tu mi chiamerai solo capo. Terza cosa, James, il ragazzo accanto a me, ti darà delle cose da fare, e tu chiaramente le eseguirai. Ultima cosa, per caso sai disegnare?»
«Si, perché?»
«Se i tuoi disegni saranno decenti potresti disegnare tu i tatuaggi.»
Arriccio il naso. «Non disegno a comando. E poi dovrei stare ad ascoltare delle persone che mi dicono "vorrei un tatuaggio uguale a questo, ma senza questo angolo qui, vorrei aggiungere quello, vorrei mettere anche quell'altro...", ma no grazie» ribatto.
Paul mi fissa, serio in volto. «Avrai da ridire per ogni cosa?»
«Certo. E non può neanche licenziarmi, considerato che lavoro qua dentro per un motivo preciso.»
Alza gli occhi al cielo. «Posso sempre denunciarti per vandalismo.»
Sgrano gli occhi. «Ma non può farlo! Io nemmeno l'ho toccato quel dannato quadro!»
Agita una mano in aria. «Come vuoi. Ora a lavoro. E domani portami dei tuoi disegni» e se ne va dal negozio.
Mi giro verso il ragazzo tatuato. «Allora James, che si fa?»
«Tu potresti iniziare a non far cadere niente. E la prossima volta che vieni a lavoro, puoi evitare di scendere da un'auto in corsa? Non vorrei che la gente pensasse che qui lavorano dei pazzi» mi dice tutto ciò freddamente.
Ma che stronzo.
Lo guardo seriamente. «Come fai a sapere che sono pazza? Hai letto le mie cartelle cliniche?» Lo prendo in giro.
James mi fissa sconvolto. «Io non intendevo... Non volevo... Il mio era solo un modo di dire.»
Sembra sentirsi così in colpa che decido di non andare oltre. «Ti prendevo in giro, James. Non sono veramente pazza. Non in maniera certificata, almeno.»
«Mai pensato a un controllo, allora?»
«Mai pensato di essere gentile?»
James decide di non continuare la discussione e mi fornisce il primo compito da svolgere.