I.

1693 Words
I.Nell’anno 1930, in uno dei giorni subito dopo la pubblicazione del Bilancio dello Stato, nei pressi della stazione di Victoria a Londra poteva essere osservata l’ottava meraviglia del mondo: tre inglesi, di tipo completamente diverso, tutti e tre in simultanea contemplazione di una statua londinese. Erano arrivati separatamente e se ne stavano, un po’ distanti l’uno dall’altro, nell’angolo sud-ovest dello spiazzo senza alberi, dove non battevano loro negli occhi i raggi obliqui di un tardo pomeriggio di primavera. Dei tre, uno era una giovane di circa ventisei anni, l’altro un giovanotto di forse trentacinque anni, il terzo un uomo fra i cinquanta e i sessanta. La giovane, di figura slanciata e di espressione tutt’altro che sciocca, guardava in su con la testa leggermente inclinata da un lato, e un lieve sorriso sulle labbra semiaperte… Il giovanotto, che indossava un soprabito blu con la cintura stretta intorno alla vita sottile, come infreddolito da quel vento primaverile, mostrava una tinta terrea sotto un’abbronzatura scolorita; l’espressione sdegnosa della sua bocca faceva strano contrasto con lo sguardo intensamente appassionato con cui fissava la statua. Il terzo, il più anziano, molto alto, con un abito marrone e scarpe scamosciate anche queste marroni, passeggiava con le mani nelle tasche dei pantaloni, la lunga e bella faccia matura, come mascherata da un pungente scetticismo. Intanto la statua, che era quella del Maresciallo Foch a cavallo, svettava in mezzo agli alberi, più ferma di quelli che la stavano osservando. A un tratto il giovanotto parlò: «È lui che ci ha salvati!» Questa trasgressione alle regole d’educazione produsse sugli altri due un effetto diverso: il signore anziano sollevò leggermente le sopracciglia e si fece avanti come per esaminare le gambe del cavallo. La giovane si voltò a guardare in faccia colui che aveva parlato e immediatamente il suo volto espresse una viva sorpresa: «Wilfrid Desert?» Il giovanotto s’inchinò. «Allora», disse la giovane, «noi ci siamo già conosciuti. Al matrimonio di Fleur Mont. Se si ricorda, lei era testimone, il primo testimone che io avessi mai visto. Avevo solo sedici anni. Certo lei non si ricorderà di me… Elizabeth Cherrell, detta Dinny Cherrell. Mi presero come damigella d’onore all’ultimo momento». Il giovane abbandonò la sua espressione di disprezzo. «Mi ricordo benissimo dei suoi capelli». «È la sola cosa per cui gli altri si ricordano di me». «Si sbaglia! Mi ricordo anche di aver pensato che lei doveva aver posato per Botticelli. E vedo che sta ancora posando per quel quattrocentista». Dinny pensava: “Questi occhi sono i primi che mi abbiano turbata. Sono veramente belli”. I suddetti occhi si erano nuovamente voltati verso la statua. «È proprio lui che ci ha salvati», disse Desert. «Lei c’era, naturalmente». «Volavo, e ne ero pieno fino ai capelli». «Le piace la statua?» «Il cavallo, sì». «Sì», mormorò Dinny, «è un cavallo vero e non una botte scalpitante con denti, froge e un dorso arcuato». «Nel complesso è un lavoro ben fatto, degno di Foch». Dinny, corrugando la fronte, osservò: «Mi piace come se ne sta tranquillo in mezzo a quegli alberi». «Come sta Michael? È suo cugino, se ben ricordo». «Michael sta benone. È ancora deputato; ha un collegio che non riesce a perdere». «E Fleur?» «In fiore. Sa che ha avuto una bambina l’anno scorso?» «Fleur? Ah! Allora ne ha due di bimbi?» «Sì; questa l’hanno chiamata Catherine». «È dal 1927 che manco dal mio paese. Diamine! È passato parecchio tempo da quel matrimonio». «Si direbbe», disse Dinny, contemplando la sua faccia bronzeo-terrea, «che è stato parecchio al sole». «Se non sto al sole, non vivo». «Una volta Michael mi disse che lei viveva in Oriente». «Sì, mi aggiro da quelle parti». La sua faccia parve oscurarsi ancor più ed ebbe un leggero brivido. «Fa un freddo cane, in questa primavera inglese!» «E scrive ancora versi?» «Oh! conosce questa mia debolezza?» «Li ho letti tutti. Quello che preferisco è l’ultimo volume». Egli sorrise. «Grazie di accarezzarmi per il verso del pelo; lei sa che ai poeti fa piacere. Chi è quel signore alto? Mi sembra di conoscerla, quella faccia». Il signore alto, che era andato dall’altra parte della statua, stava ritornando. «Non so come», mormorò Dinny, «ma lo ricollego anche lui a quel matrimonio». Il signore alto si fece verso di loro, dicendo: «I garretti non sono fatti per niente bene». Dinny sorrise. «Meno male che noi non abbiamo garretti. Stavamo proprio pensando se la conoscevamo o no. Non era lei al matrimonio di Michael Mont qualche anno fa?» «C'ero. E chi è lei, madamigella?» «Ci siamo conosciuti in quell’occasione. Sono una sua prima cugina da parte della madre. Dinny Cherrell. Il signor Desert era il testimone dello sposo». Il signore alto fece un cenno con il capo. «Oh! Ah! Io mi chiamo Jack Muskham e sono cugino di primo grado del padre di Michael». Si rivolse a Desert. «Lei ammirava Foch, mi sembra». «Difatti». Dinny rimase sorpresa dall’espressione annoiata che aveva assunto il volto di Desert. «Eh, sì», disse Muskham «fu un vero soldato; e non ce n’erano troppi in giro. Ma io sono venuto qui per vedere il cavallo». «Certo, è la parte più importante della statua», mormorò Dinny. Il signore alto si rivolse verso di lei con il suo sorriso scettico. «C’è una cosa per cui dobbiamo ringraziare Foch: che non ci abbandonò mai nei momenti difficili». Desert si voltò all’improvviso: «Ha qualche ragione speciale per fare questa osservazione?» Muskham scrollò le spalle, si tolse il cappello rivolto a Dinny e s’allontanò a passo lento. Lo guardarono andarsene e tra loro cadde un silenzio. Lo ruppe Dinny chiedendo: «E lei da che parte va?» «Dalla parte dove va lei». «La ringrazio molto, signore. Mount Street, dove ho una zia, le andrebbe come direzione?» «A meraviglia». «Dovrebbe ricordarsi di questa zia, la madre di Michael: è un tesoro, la donna più brava del mondo per saltar di palo in frasca; parla a sbalzi, che bisogna saltare anche noi per tenerle dietro». Attraversarono la strada e s’incamminarono su per Grosvenor Place, dalla parte di Buckingham Palace. «Suppongo che troverà l’Inghilterra cambiata ogni volta che ci ritorna». «Non c’è male…». «Non vuol bene alla sua “terra nativa”, come si suol dire?» «Mi ispira una sorta di orrore». «Lei è per caso uno di quelli che vogliono essere giudicati peggiori di quello che sono?» «Peggiore di quel che sono? Non è possibile. Lo chieda a Michael». «Michael è incapace di calunniare». «Michael, come tutti gli angeli, sta al di fuori della realtà». «No», disse Dinny, «Michael ha i piedi ben fermi sulla terra ed è molto inglese». «Questa è la contraddizione che lo tormenta». «Ma perché lei vuol denigrare l’Inghilterra? Altri l’hanno già fatto prima di lei». «Non l’ho mai denigrata, tranne che davanti agli inglesi». «Meno male. Ma perché davanti a me?» Desert si mise a ridere. «Perché mi sembra che lei sia l’Inghilterra, come mi piacerebbe che fosse». «Orgogliosa e giusta, ma non grassa né avvizzita!» «Quello su cui trovo da ridire è la convinzione dell’Inghilterra di essere ancora perfetta». «E non lo è, davvero?» «Lo è», disse inaspettatamente Desert, «ma non ha nessuna ragione di crederlo». Dinny pensò: "Siete perverso, fratello Wilfrid, disse la giovane, e la vostra lingua è troppo tagliente; non siete mica bello a camminare con la testa all’ingiù e i piedi in aria. Perché volete provare sempre la cosa più difficile?" Ma più semplicemente osservò: «Se l’Inghilterra, nonostante tutto, continua a sentirsi perfetta, dimostrerebbe a ogni modo di avere una certa intuizione. È per intuito che non le è piaciuto il signor Muskham?» E guardandolo in faccia, pensò: “Ho fatto una gaffe”. «Perché dovrebbe essermi personalmente antipatico? È il solito tipo insignificante di frequentatore di caccie e di corse». “Non è questa la ragione”, pensò Dinny continuando a osservare la faccia del suo interlocutore. Strana faccia! Infelice per una profonda disarmonia interna, come se due angeli, uno buono e uno cattivo, cercassero continuamente di distruggersi a vicenda; ma i suoi occhi le produssero lo stesso turbamento come quando, a sedici anni, con i capelli ancora sciolti gli era stata vicina al matrimonio di Fleur. «Dunque le piace veramente pellegrinare in terra d’Oriente?» «Sono perseguitato dalla maledizione di Esaù!» “Un giorno”, pensò Dinny, “mi farò spiegare a cosa allude. Ma probabilmente non lo rivedrò più.” Un brivido le corse giù per la schiena. Disse: «Forse lei conosce anche mio zio Adrian. Durante la guerra era in Oriente. Ora tiene in ordine delle ossa, in un museo. Probabilmente conosce Diana Ferse. Lo zio l’ha sposata l’anno scorso». «Non conosco proprio nessuno». «Dunque il nostro unico punto di contatto è Michael». «Non credo molto ai contatti attraverso altre persone. Dove abita, signorina?» Dinny sorrise. «Un breve cenno autobiografico mi sembra opportuno. Da innumerevoli secoli la mia famiglia ha avuto la sua sede a Condaford Grange, nella contea di Oxford. Mio padre è un generale a riposo; io sono una delle sue due figlie; il mio unico fratello è pure militare, sposato, e sta per tornare dal Sudan in licenza». «Ah!», disse Desert e la sua faccia riprese l’espressione afflitta di prima. «Ho ventisei anni», continuò Dinny, «nubile e senza figli per ora. Dicono che la mia passione sia quella di occuparmi degli affari degli altri. Non so come mai. A Londra sto da lady Mont, in Mount Street. Benché allevata con semplicità, ho tendenze spenderecce, senza avere i mezzi per soddisfarle. Credo di saper capire una spiritosaggine. Adesso a lei». Desert sorrise, scuotendo la testa. «Devo parlare ancora io?» disse Dinny. «Lei è il secondogenito dei lord Mullyon; è stato troppo in guerra; scrive versi, ha un temperamento nomade ed è nemico di se stesso: quest’ultimo particolare solo a titolo d’informazione. Eccoci a Mount Street. Venga su a salutare la zia Em». «No, grazie… Piuttosto vuol pranzare con me domani e dopo andremo a teatro?» «Volentieri. Dove?» «Da Dumourieux, all’una e mezza». Si scambiarono una stretta di mano e si lasciarono. Dinny, nell’entrare in casa della zia, si sentiva tutta leggera e sostò un momento davanti alla porta del salotto sorridendo a questa sua sensazione.
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