Cambiò la federa e lo aiutò a sistemarsi meglio.
«Vado a preparare quel decotto» disse.
O’Donnell le prese un polso, ma senza stringere. «Resta con me».
«Sono qua».
Lui spostò la coperta, come a dirle di sedersi sul letto. Deane lo fece. Si sentiva confusa. Voleva stargli vicino, ma non capiva che cosa volesse lui da lei.
«Abbracciami».
Deane lo guardò. Non sapeva bene come fare. Lui era sdraiato ed era piuttosto sicura che sdraiarsi con lui fosse esattamente quello che non doveva fare.
Sospirò. Solo che voleva farlo, così lo fece. Si sdraiò accanto a lui, con le scarpe e tutto, e gli circondò il torace con un braccio. «Così?»
O’Donnell voltò la testa dalla sua parte. La guardò con lo sguardo velato dalla febbre, ma non disse nulla. Invece, le posò una mano sulla pancia.
Deane sapeva che non era appropriato, ma le piaceva troppo per mettersi a protestare. Lui la accarezzò gentilmente, continuando a guardarla con gli occhi socchiusi. Sentiva il suo fiato sul viso, tiepido. La mano di lui scese. Iniziò a tirarle su la gonna.
«Che cosa...» mormorò. Ma non voleva che si fermasse. Voleva stringersi a lui e voleva che continuasse a toccarla.
«Niente di irreparabile» rispose lui. Ormai le aveva sollevato del tutto la gonna e la sua mano si stava infilando dentro alle alte mutande di lana di lei.
Deane deglutì disperatamente, emettendo un suono confuso.
Lui la accarezzò tra le gambe, tra i riccioli bagnati della sua parte più intima. La accarezzò piano e Deane sentì un piacere nuovo, inspiegabile, bruciante. Aprì le cosce per permettergli di raggiungerla meglio. Chiuse gli occhi e sospirò. Era così... bello.
Sentì le sue dita che la toccavano, la titillavano, premevano sull’esterno del suo sesso fino a farle emettere un suono simile a un lamento.
Quando le sprofondarono nell’apertura bagnata e sensibile tra le sue gambe, Deane riaprì gli occhi per guardarlo.
«Come supponevo... sei bella, quando godi» mormorò lui.
Era quello che stava facendo? Le sembrava una buona definizione. Spinse il bacino verso la sua mano, perché continuasse. Lui riprese a stuzzicarle quella parte sensibile, restandole dentro con due dita.
Deane aprì la bocca, ansimando. Era... era troppo... se non si fosse fermato... non sapeva che cosa sarebbe successo, ma stava per succedere...
Fu il piacere più intenso che avesse mai provato. Un’onda bruciante. Sentì che si contraeva attorno alle sue dita, mentre dalle sue labbra sfuggivano sospiri sempre più rumorosi. Tremò tutta, singhiozzando di piacere. O’Donnell continuò finché quella sensazione non iniziò ad attenuarsi.
Si sentiva esausta. Sudata, arruffata, stremata.
Lui la accarezzò un’ultima volta, poi sfilò la mano.
«I-Irial? Che cosa...» mormorò lei, cercando i suoi occhi, preoccupata.
«Shh...»
Deane socchiuse gli occhi e avvicinò la testa alla sua. «Era... bello».
«Mh-mh. Lo so. Eri bella anche tu. Posso baciarti, ora?»
Lei annuì debolmente.
Sentì le sue labbra sulle proprie e contraccambiò il bacio. Era un’altra cosa che non aveva mai fatto. Non sapeva farla, ma non era difficile.
Lui le sfiorò un seno, al di sopra del vestito.
«Irial... ora non sono più... vergine?» chiese lei, iniziando a rendersi conto di quello che era appena successo.
O’Donnell rise sottovoce. «Sei ancora vergine. Non perché non abbia la volontà di liberarti di questo fardello, ma perché proprio non ci riesco».
«Non penso che venga considerato un fardello» ribatté lei.
Lui sbuffò. «No, certo, è una cosa importantissima. È una delle molte cose importantissime di cui non mi importa niente. Se un giorno ti sposi... di questo periodo non raccontargli proprio niente, e lui sarà felice e ignorante».
«Quindi dovrei mentire».
«Mentire è un po’ il punto cardine di un matrimonio, fidati. Alla domanda “ti è piaciuto?” rispondi sempre “sì”. Alla domanda “ne hai voglia?” rispondi sempre “sì”. Finché lui non capisce da solo che non ti è piaciuto e che non ne hai voglia. Quelli un minimo decenti a quel punto si fermano. Non scommetterei sul loro numero, ma ne hai uno nel letto».
Deane lo guardò in silenzio, cercando di capire.
«Magari evita di tradirlo e ucciderlo, dopo» concluse lui, chiudendo gli occhi.
Con un certo stupore, Deane si rese conto che si era addormentato.
«Come sta?» le chiese Aoife, più tardi. Deane riuscì a non arrossire. «Delira. La febbre gli è salita di nuovo. Gli sto preparando un decotto».
«È brutta, la sua ferita?» chiese lei. «Muore?»
Deane scosse la testa. «No, non credo. Ma è debole e non può muoversi. Gli ho lavato i capelli... forse non dovevo».
«Be’, tanto vale che non puzzi» sospirò l’anziana domestica. «Non si lasci confondere dai suoi discorsi, va bene?»
«In che senso, Aoife?»
Lei sbuffò. «La sua razza... bah, ho sempre pensato che il duca fosse abbastanza perbene, ma è pur sempre un nobile. Pensano in modo diverso da noi. Se vogliono qualcosa se lo prendono. Per fortuna lui è troppo debole per essere pericoloso».
Quanto hai torto, pensò Deane, ma disse: «Non è pericoloso. Sembra a posto. Oddio, forse è un po’ lamentoso».
Aoife emise la sua risata gracchiante, continuando ad affettare le patate. Il modo in cui lo faceva riempiva sempre Deane di ammirazione. Usava il tatto, invece della vista, e riusciva a fare tutte le fette dello stesso identico spessore.
«Quello dipende dal fatto che è un uomo, signorina. In quello sono tutti uguali, nobili e plebei».
«Mio padre non si è mai lamentato» mormorò Deane.
L’espressione di Aoife si fece gentile. «Suo padre era un uomo eccezionale, signorina. Non dia troppa confidenza al duca. Se si riprende e riesce a vendicarsi... bene. Se non ci riesce la nostra vita andrà avanti».
«Aiutarlo è nostro dovere».
«Non dico di no. Ma se possiamo farlo senza morire al suo posto è meglio».
Dopo avergli portato il decotto, Deane uscì a piazzare i feticci seguendo le sue indicazioni. La neve era ghiacciata, l’aria fredda come una lama. Il cielo era chiaro, lattiginoso nonostante fosse buio, segno che avrebbe nevicato ancora. Deane piazzò i cinque feticci tutto attorno alla fattoria, a una distanza di circa cinquanta piedi dall’edificio principale.
Scrutò il fianco della vallata e vide delle luci di torce. Si chiese che cosa potesse essere.
Il castello, in basso, in lontananza, era una macchia scura circondata dai quattro fuochi delle torrette. Che cosa stava succedendo là dentro? Saperlo era impossibile.
Tornò dentro casa rabbrividendo di freddo.
Aoife era semi-addormentata davanti al camino, così la invitò ad andare a dormire in un letto vero e proprio.
«Anche lei dovrebbe dormire. Sarà stanca» le disse la domestica.
«Sì, sono stanca» ammise Deane.
Andò in camera sua, si preparò per la notte e si spazzolò i lunghi capelli chiari. Si guardò riflessa nel vetro scuro della finestra. Si chiese se davvero O’Donnell la trovasse bella. Era solo una ragazza pallida e un po’ sciupata.
Si coprì anche con uno scialle e andò a controllare che il duca avesse tutto.
Lui la guardò entrare in silenzio, con in viso un’espressione vagamente colpevole. La febbre doveva essergli scesa e ora era di nuovo lucido.
«Sono venuta ad accertarmi che non avessi bisogno di niente».
«Sei gentile». Scosse la testa. «No, non ho bisogno di niente. Solo...»
Si interruppe e Deane si avvicinò al suo letto. «Solo?»
«Non ce l’hai con me, vero?»
«No, non ce l’ho con te» confermò Deane.
«Io un po’ sì. Sono abituato ad avere tutto quello che voglio. Quando sono in me, riesco a immedesimarmi a sufficienza negli altri da non approfittarmene».
Lei si passò una mano sulla faccia, stanca, e si sedette accanto al letto.
«Irial... ti assicuro che posso essere ipocrita a sufficienza, quando devo. Non so niente di certi... argomenti, ma se non volessi fare qualcosa... be’, sei a malapena in grado di rotolarti su un fianco. Cerca di avere pazienza se sono un po’ confusa. Essere confusa non vuol dire essere pentita».
O’Donnell sorrise appena, tornando a osservarla.
«Hai ragione, ovviamente» ammise. «Diciamo allora che mi sentirei meno in colpa se ne sapessi qualcosa di più».
«Nessuno me l’ha mai insegnato» disse lei. «Non era previsto che qualcuno me lo spiegasse, credo. Oppure avrebbe dovuto farlo mia madre, non lo so. In ogni caso mia madre non ha potuto spiegarmi proprio niente e Aoife... be’, non si può pretendere».
«Bene» disse lui, con un lieve cenno del capo, «te lo insegno io. La teoria, dico. Ti insegnerei volentieri anche la pratica, ma è un po’ al di sopra delle mie possibilità, in questo momento. Mettiti comoda. Hai freddo?»
«Ai piedi e alle mani» ammise lei.
«Vieni nel letto con me. Non credo di poter diventare più immorale di oggi pomeriggio nemmeno volendo».
Un po’ titubante, Deane si sfilò le pantofole di lana e si infilò tra le coperte insieme a lui. Appoggiò la schiena alla testiera e mise le mani sotto. Era caldo, si stava bene. I capelli di O’Donnell erano scuri, lucidi e bellissimi, ora che erano puliti e pettinati.
«Iniziamo dalle basi» disse lui, voltando la testa per guardarla dal basso verso l’alto. «Gli uomini e le donne sono equipaggiati dalla natura per incastrarsi perfettamente. Immagino che tu sappia come si accoppia un cavallo. Il concetto è lo stesso, anche se gli esseri umani si incastrano... in più posizioni».
Deane inclinò la testa da un lato. «Nel senso?»
Lui sorrise leggermente. «Io potrei venirti sopra, oppure potresti stare sopra tu. Potresti stare distesa sulla pancia, o seduta, o in piedi. In un modo o nell’altro riuscirei a mettertelo dentro comunque. Be’, se non avessi un paio di ferite a stento rimarginate. Ma le persone perbene... niente, lo fanno sempre nello stesso modo: lui sopra e lei sotto. Quelle eccezionalmente perbene lo fanno con la camicia da notte addosso. Non ho alcun rispetto per le persone eccezionalmente perbene».
Lei rise sottovoce. «Perché?»
«Perché farlo sempre in una posizione è noioso. Ma devi capire che queste persone perbene pensano che scopare serva solo a riprodursi». Ci pensò per qualche secondo. «O comunque è quello che si raccontano. Io credo che di persone eccezionalmente perbene ce ne siano anche eccezionalmente poche».
Deane si infilò meglio sotto alle coperte. «E non serve solo a riprodursi?»
«Be’, serve anche a riprodursi, se non ci stai attento. Il modo in cui una donna resta incinta è semplice ed è solo uno: quando il suo... accompagnatore le viene dentro. Un po’ di volte, magari, ma può bastare solo una».
Lei sospirò. «Che cosa vuol dire?»
«Mmh... seme. Liquido bianchiccio e appiccicoso, hai presente?»
«Ora che ci penso... sì».
O’Donnell le rivolse un mezzo sorriso. «Già. Se quello ti va a finire dentro la passerina puoi restare incinta. E quello esce quando vieni. Quando raggiungi il piacere. Quando... come dire? Quando concludi».
«Ho capito. Quindi se il seme non va a finire lì non succede niente».
«Giusto. Per questo quando uno non impazzisce all’idea di avere un figlio, o un altro figlio... finisce fuori. Oppure usa l’altra soluzione».
« Quale altra soluzione?» chiese lei.
«L’altro buco».
«Ehm. Non mi sembra concepito per...»
O’Donnell inarcò le sopracciglia. «Non sarà concepito per quello, ma non è nemmeno concepito per essere a prova di penetrazione».
«Capisco» disse lei, anche se aveva delle perplessità.
«Naturalmente è un’altra cosa che le persone eccezionalmente perbene non fanno. Usare le mani? Non fanno nemmeno quello. Usare la bocca? Credo che sia proprio l’ultimissima cosa che fanno. Ora capirai anche perché li disprezzo».
Deane socchiuse gli occhi. «Le mani... questa cosa la so già. La bocca... be’».
«Neanche la bocca è concepita per essere a prova di penetrazione, se ci pensi un secondo. In quanto alla situazione opposta... sarò lieto di dimostrarti che è possibile anche quello, uno di questi giorni».
Deane non si fece distrarre. «E la faccenda della verginità... quand’è che una non è più vergine, scusa?»
«Là dentro...» spiegò lui «...avete una specie di membrana, piuttosto sottile. È già bucata, ma quando ci entra dentro un membro maschile per la prima volta, la rompe. A volte esce un po’ di sangue, ma non sempre. A quel punto non sei più vergine».
«La rompe?»
O’Donnell sospirò. «Sembra tragico, ma non lo è. Potrei farti provare anche quello, uno di questi giorni. Nel frattempo, forse è meglio se scappi in camera tua».
«Perché?» chiese lei.
Lui sospirò di nuovo. «Perché mi sta tornando duro. È ingiusto, ma è così».
«Che cosa vuol dire? Perché è ingiusto?»
Il sospiro di lui fu particolarmente pesante. Indicò la coperta all’altezza del proprio inguine. In effetti c’era un rigonfiamento.
«Quand’è che fa così?»
«Fa così quando non sei una persona eccezionalmente perbene e hai nel letto una bella signorina in vestaglia e stai parlando da un’ora di tutti i modi in cui vorresti metterglielo dentro. Ora tu te vai nella tua stanza e io mi occupo della faccenda».
«Ovvero?»
L’occhiata di O’Donnell fu un po’ risentita. «Ovvero mi faccio una sega, cara ragazza».
Deane odiava ammetterlo, a quel punto, ma non sapeva che cosa significasse nemmeno quello. Lui se ne accorse e il suo sospiro fu il più profondo in assoluto della serata.
«Il problema...» mormorò «...è che il fatto che tu non sappia proprio niente è uno dei motivi per cui mi è venuto duro. E resistere alla tentazione di insegnarti è molto... molto... difficile».
Mentre lo diceva, aveva scostato la coperta. Il suo membro era eretto, più scuro del resto del suo corpo.
Deane lo guardò in silenzio.
Lui si leccò il palmo della mano e circondò la propria erezione. Iniziò a muovere il polso. Su e giù. Su e giù.
Deane guardò e iniziò a sentirsi di nuovo...
«...Strana» mormorò. O’Donnell le lanciò un’occhiata piuttosto vaga. «Quando... non lo so. A volte mi sento tutta umida, laggiù».
«Ora?» le chiese lui. La sua mano rallentò.
Deane annuì.
O’Donnell sembrò indeciso. Poi le disse. «Sfilati la biancheria intima. Me la prendo io, la tua verginità».
Lei ci rifletté, o almeno ci provò. In realtà aveva così... voglia di... di qualcosa che non sapeva bene che cosa fosse...
Sollevò la gonna della propria camicia da notte e si abbassò le mutande. Le spinse più in là con i piedi.
«Ora ti metti in ginocchio sopra di me. Un ginocchio lo appoggi qua...» diede un colpetto sul materasso accanto al suo fianco destro «...e l’altro qua» un altro colpetto, vicino al fianco sinistro.
Deane gli salì sopra come le diceva lui. Il suo membro era proprio sotto alla sua passerina, ora. Sentì che le girava la testa, da quanto il cuore pompava velocemente il sangue.
O’Donnell spostò la punta del proprio sesso, guidandola davanti all’imboccatura di quello di lei. Con l’altra mano la accarezzò più in alto, su quella piccola cuspide sensibile che aveva già sfiorato quel pomeriggio.
«Quando sei pronta, ti siedi su di me» le disse O’Donnell.
«Farà... male?»
«Non molto. Non penso. Se ti fa male ti puoi allontanare, no?»
Aveva senso. Non che a Deane importasse che cosa avesse senso e che cosa non ne avesse, a quel punto. Aveva iniziato a respirare velocemente e sentiva quel... pezzo di carne... lì... e le sue dita... che le davano piacere... un piacere incompleto, che doveva soddisfare.
Si calò lentamente su di lui. Lo sentì che entrava. Che la allargava. Che la riempiva. Scese lentamente e si rese conto che più di così non scendeva. C’era qualcosa che non permetteva che...
O’Donnell le posò entrambe le mani sui fianchi e la tirò bruscamente verso il basso, facendo uno scatto verso l’alto con il bacino.
Deane emise un piccolo grido di dolore. Adesso bruciava... bruciava molto.
O’Donnell ansimava e aveva una smorfia di dolore sul viso. «Non dire niente... ti giuro che ha fatto più male a me. Perché devo essere così stupido, mh?»
Sentì di nuovo la sua mano su quella piccola cuspide. La toccò, la accarezzò, la titillò e Deane ricominciò a sentire piacere. Un piacere bruciante, sempre più forte. Si piegò verso il basso e posò entrambe le mani sul letto. Iniziò a muovere i fianchi. Non sapeva come, ma sapeva che così era più bello. O’Donnell ansimò e spostò le mani sul suo sedere, sotto alla vestaglia. Le diede il ritmo. Deane lo sentiva entrarle dentro, riempiendola tutta, allargandola, arrivandole proprio fino in fondo. Era tutta bagnata, là sotto, così bagnata che il membro di lui scivolava. E il piacere... il piacere era irresistibile.
Emise un basso gemito, ansimando.
«Shh...» sussurrò lui. «Continua a muoverti».
Lei lo fece. Era la cosa più piacevole del mondo. Era... era come quel pomeriggio, ma più forte. Sentì che la sua passerina si stava contraendo disperatamente attorno a lui. In modo sempre più febbrile e veloce. E si rese conto che stava per concludere, come avrebbe detto lui.
Aprì la bocca in un grido muto. O’Donnell chiuse gli occhi. Sembrava provare dolore, ma nemmeno quello riuscì a fermarla.
Fu invasa da una bruciante sensazione di piacere. Sussultò, sobbalzò, gemette il più silenziosamente possibile. Era micidiale, quella cosa.
Subito dopo le sembrò che le forze la abbandonassero di colpo. Sarebbe caduta su di lui, se O’Donnell non l’avesse spostata da un lato, scivolandole fuori. Un attimo più tardi, la sua mano che si muoveva, una volta. Un getto caldo sulla sua pancia. Un’altra volta. Un altro spruzzo. Una terza volta, e O’Donnell emise un lungo sospiro soddisfatto, ansimando.
Deane scivolò da un lato.
Lo guardò.
Il suo membro era morbido, ora, arrossato e anche insanguinato. Là in mezzo le bruciava, infatti.
Poi il suo sguardo cadde sulla fasciatura di lui. Era sporca di sangue anche quella, in corrispondenza della ferita che aveva all’inguine.
O’Donnell seguì il suo sguardo. «Non dire niente. Lo so già di essere un pezzo d’asino».