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2036 Words
3. Quella notte ripensò a quello che era successo. Cercò di capire se aveva un significato o se era semplicemente stata una reazione naturale dell’organismo di O’Donnell. Non arrivò a una conclusione precisa, ma quanto meno voleva dire che stava meglio. Due giorni prima non era successo proprio niente del genere. Ripensò anche a quello che lei aveva fatto e non seppe decidere se era sembrata stupida o se era sembrata poco seria. Poteva sopportare di sembrare stupida – in fondo O’Donnell doveva essere molto più istruito ed esperto del mondo di lei – ma non di sembrare poco seria, dato che lavorava duro tutti i giorni da una vita e non aveva mai dato “confidenze” a nessuno. Era stata Aoife a spiegarle che cosa significava dare “confidenza”. Significava che se un uomo celibe e in età da marito le parlava lei non avrebbe riso di nessuna battuta, non avrebbe accettato complimenti né aiuto, non gli avrebbe fatto credere di essere più sciocca di quanto non fosse. Deane si era sempre attenuta alle direttive dell’anziana domestica, ma con O’Donnell aveva la tentazione di lasciarsi andare. Accantonò il pensiero e si addormentò, dato che, in fondo, era molto stanca per la giornata. Il mattino dopo, all’alba, vennero dei soldati. Deane sentì dei colpi sulla porta. Era già vestita. Lei e Aoife stavano facendo colazione. Si avvolse uno scialle attorno alle spalle e andò ad aprire uno spiraglio. «Buon giorno, signora» disse uno dei soldati, portandosi la mano al cappello. «Ci dispiace per l’orario». «Ero già sveglia» rispose Deane, tranquillamente. «Come posso aiutarvi?» «Possiamo entrare un attimo?» chiese l’altro. Fuori la neve era ancora alta, faceva molto freddo, gli altri tre soldati battevano i piedi. Deane si guardò dietro alle spalle. «Siamo da sole, io e la mia domestica...» «Non sembra sicuro» commentò il soldato. Deane gli rivolse un sorriso rassegnato. «Già, neanche a me. Potete entrare nel vestibolo, magari? Così non scapperà il caldo». Il soldato sospirò di sollievo. Era davvero, davvero freddo, fuori. Deane li fece entrare nel vestibolo e si allontanò di qualche passo. «Signora, senz’altro si ricorda della tempesta che c’è stata tre notti fa» riprese a parlare l’uomo. Deane annuì. «Stiamo cercando un uomo che è scappato quella notte. Un criminale». Il cuore di Deane cominciò a battere più forte. «Un criminale? Oh, Signore...» Il soldato assunse un’espressione grave. «Un assassino, signora. Qualcuno ha visto qualcosa di strano, magari il giorno dopo?» Deane scosse la testa. «Non penso. Il giorno dopo sono arrivata solo fino alle stalle. La giumenta era morta di febbre, come mi aspettavo. I garzoni non sono riusciti ad arrivare e così io e Aoife siamo rimaste tappate in casa». In quel momento arrivò anche la domestica. «Che cosa vogliono questi soldati, signorina? Perché li ha fatti entrare?» Deane sorrise in modo bonario. «Fuori è freddo, Aoife. Stavano dicendo che è scappato un criminale, tre notti fa, quando c’è stata la tempesta». «Ah. E non l’hanno ancora ripreso, mh?» «Chiedevamo se aveste notato qualcosa» intervenne il soldato, cercando di dimostrarsi rispettoso con quella donna così anziana. «Caro ragazzo... se avessi notato qualcosa sarebbe un miracolo del cielo. I miei occhi non sono più tanto buoni». «E lei, signora? Non avrebbe fatto entrare uno sconosciuto, vero?» «Certo che no!» insorse Deane. Poi sospirò. «Be’, probabilmente sì, dato che fuori c’era una tempesta. Ma non abbiamo visto nessuno e non abbiamo fatto entrare nessuno, mi dispiace». Il soldato le lanciò una bella occhiata. Poi sbuffò appena e scosse le spalle. «Ci sono delle altre fattorie, continuando sulla strada?» chiese. «Quella del vecchio Ben Smith, ma è parecchio più avanti. Poi c’è il mulino abbandonato». L’uomo inarcò un sopracciglio. «C’è un mulino abbandonato? Mi scusi, non sono di questa vallata». «Sì, Brenna» disse uno dei suoi uomini. «È vero, più avanti c’è un vecchio mulino, ora che ci penso». Il primo sembrò seccato. «Potevi dirlo. Grazie, signora. Noi andiamo. Buona giornata» tagliò corto. Mentre i soldati uscivano, Deane e Aoife si guardarono a vicenda. Non dissero niente, ma entrambe erano molto preoccupate. «Sono venuti i soldati» disse a O’Donnell, poco più tardi, quando gli portò su la colazione. Lui imprecò sottovoce. «Che cos’hanno chiesto?» Deane glielo riferì nel modo più preciso possibile. «Le loro uniformi... com’erano?» Lei gli lanciò uno sguardo smarrito. «Avevano il mantello. Non avevano nessuno stemma in vista. I capelli erano marroni». «Devono essere uomini di Fitzpatrick» concluse O’Donnell. Le posò una mano sulla mano. «Non ti preoccupare. Il mulino li distrarrà per un po’. Ora la strada per il paese è aperta?» «Immagino di sì». «Puoi andarci? Sentire che cosa dice la gente?» «Sì». « Senza correre rischi?» Deane sbuffò leggermente. «Non ne correrò. Nessuno sa che sei qua». «E potresti comprare tre once di polvere di naga?» Lei aggrottò la fronte, perplessa, e O’Donnell le rivolse un sorriso soddisfatto. «Non sono un guaritore, ma qualcosa so fare anch’io». «Che cosa...» «Mentre mi riprendo non voglio che i soldati gironzolino troppo qua attorno». Deane rinunciò ad avere delle spiegazioni più precise. La polvere di naga era un preparato potente, che veniva usato per diversi tipi di feticcio... «Posso comprare anche qualcosa per farti guarire più in fretta. Dirò che è per un cavallo». Lui la guardò. «Hai... ehm. Hai la disponibilità economica per farlo?» «Non ti preoccupare» tagliò corto lei. O’Donnell le accarezzò il dorso della mano. «Qualcuno deve volermi molto bene, su in cielo» sorrise. «In merceria mi hanno detto che i soldati stanno cercando dappertutto un assassino. In tutta la vallata» gli riferì, quella sera. Si era appena tolta il mantello e aveva ancora i capelli freddi per essere stata fuori, ma la stanza di O’Donnell era fin troppo calda. «Hanno trovato solo il cavallo, per il momento. Un cavallo nero, con una striscia bianca sul naso». «Little Boy» mormorò lui, dal letto. Deane posò sul comodino il sacchetto dell’erborista. «La duchessa Èanna sta per partire. Un lungo viaggio, pare. I suoi valletti hanno fatto provviste e la sua carrozza è stata messa a registro». O’Donnell sospirò lievemente. «Cara moglie». Chiuse gli occhi. «Quindi sanno che sono ancora vivo. Non hanno trovato il mio corpo e si chiederanno... il vecchio Irial sarà sotto qualche metro di neve o starà preparando la sua vendetta?» «Sulla strada per Dunn sono ricomparsi i briganti» continuò con il suo bollettino lei. «E questo vuol dire che i miei uomini sono senza ordini, o sono stati dispersi. Hai saputo un bel po’ di cose, Deane». Lei sorrise lievemente. «Ho girato un bel po’ di negozi». Gli posò una mano sulla fronte, controllando la sua temperatura. Era sudaticcio, ma meno del giorno precedente. Gli sfiorò i capelli, ingarbugliati e sporchi. «Vuoi che te li lavi?» chiese. O’Donnell le posò la mano sulla mano, per poi portarsela alle labbra e baciarle delicatamente le dita. «Mi sembra di essere a metà di un guado. Troppo ammalato per fare quello che vorrei, ma troppo in salute per attendere rassegnato il passare del tempo». «Non... capisco» balbettò lei. «Preparerò i miei feticci, tu andrai a piazzarli e poi mi laverai i capelli». «Ho anche un infuso per te» spiegò Deane. Lui continuava a baciarle le dita e si sentiva molto strana. O’Donnell sorrise, quasi distratto. «Bene. Vuoi imparare a fare un feticcio della paura?» «N-non lo so. È... spaventoso?» O’Donnell annuì lentamente. «E mi servirà del sangue, dell’acqua, qualche goccia di profumo... puoi procurarmeli?» «Sì». O’Donnell appoggiò la schiena contro il cuscino per riuscire a lavorare meglio. Davanti a sé aveva una ciotola in cui stava mescolando con le mani gli elementi che avrebbero composto il feticcio. Sembrava pensieroso, distante. Prese la coppa con il sangue di coniglio e lo versò nel composto. «Non vogliamo che fuggano terrorizzati» spiegò, sottovoce. «Vogliamo solo che se ne vadano, inquieti. E non vogliamo che succeda a chiunque, ma solo a chi sta cercando me». Prese le forbici e si tagliò una ciocca di capelli. «Qua c’è tutta la paura che ci serve. Si attacca al corpo, come una maledizione. Specie ai capelli». Li buttò nel composto. «E il mio disprezzo». Ci sputò dentro. «Versa cinque gocce di profumo, non di più. Se leghi la paura a un odore è più semplice». Deane fece come le chiedeva. «E ora allontanati di qualche passo». Lo vide continuare a mescolare, con uno sguardo distante. Sentì le parole che pronunciava, nell’antica lingua. Dalla ciotola provenne un’ondata di terrore, come il calore di un fuoco improvviso. Deane cercò di non urlare – e ci riuscì – e di non mettersi a tremare – e non ci riuscì. L’ondata si estinse lentamente, mentre O’Donnell continuava a impastare. «Vieni qua, amica mia. Non c’è più nulla da temere». Ancora tremante, Deane si avvicinò. «Vieni, siediti qua, accanto a me». Si sedette sul letto, accanto a lui. O’Donnell si voltò e le baciò l’esterno di un braccio. «Va tutto bene, ora». Manipolando la pasta che era dentro alla ciotola, fece cinque palline. «Ecco, mettile accanto al fuoco, in modo che si secchino». Le passò la ciotola e Deane fece del suo meglio per non fare un’espressione disgustata, mentre si affrettava a posarla davanti alla grata del camino. Nel frattempo O’Donnell aveva preso un asciugamano bagnato e si era lavato le mani. Deane tornò verso di lui. Sembrava stanco e si muoveva come se ogni gesto gli costasse una certa fatica. Si chiese se quello che aveva appena fatto gli avesse risucchiato un po’ di energia. «Quindi... i tuoi capelli, ora» disse, aiutandolo a sdraiarsi di nuovo. «Come pensi di fare?» sospirò lui. Chiuse gli occhi. «Che cosa non darei per nuotare in un fiume». Deane gli accarezzò la fronte. «Scotti di nuovo». «Sai nuotare, cara salvatrice? Mi piacerebbe vederti nuotare». «E inizi anche a straparlare». «Sei così bella». Deane gli fece spostare la testa oltre il bordo. Si sedette accanto al letto, mettendosi il bacile pieno d’acqua sulle cosce. Prese gentilmente i suoi capelli lunghi e scuri e li immerse nel liquido. «Quanti anni hai, Deane Flannaghal?» mormorò lui, mentre lei gli lavava i capelli usando solo la schiuma del sapone. «Venti» rispose Deane. O’Donnell socchiuse gli occhi e si abbandonò alle sue mani. «Mi piace...» mormorò. Lei lo pulì con cura. Prese il secchio con l’acqua pulita e lo risciacquò. Lo pettinò con il suo pettine d’osso, districando tutti i nodi. «Ti piaccio, io? O lo fai solo per fedeltà?» Deane continuò a pettinarlo. «Sei ferito. Non stai bene. Sei stato tradito. Che cosa dovrei fare, se non aiutarti?» Lui sorrise appena. «Ah, ma non hai risposto...» «Certo che mi piaci». Il suo sorriso si allargò. «Allora dammi un bacio». Deane rise. «E hai la febbre alta, ora. Ti darò il tuo infuso, ecco che cosa». «Ho la febbre alta» ripeté lui, sognante. «Si dicono tante cose, con la febbre alta. Se non avessi la febbre alta... riuscirei ad alzarmi e a baciarti da solo». Lei gli accarezzò il lato del viso. «Non penso che dovrei». O’Donnell ridacchiò. «Perché sono sposato, giusto. Con una troia traditrice e vigliacca con cui comunque non parlavo da tre anni... hai ragione, sarebbe un sacrilegio». «Non dire così» mormorò lei. I suoi occhi grigi sembrarono farsi leggermente più lucidi. «No, non parlerò più così» mormorò. «Non si impreca davanti alle signore». Deane prese un telo e iniziò ad asciugargli i capelli. Lui le strofinò la testa contro il petto. «Hai ragione, non sono lucido... straparlo... ti voglio». «Che cosa... vuol dire?» chiese lei, con un filo di voce. O’Donnell emise una bassa risata. «Niente, in realtà. Sono debole come un verme, che cosa potrei mai fare?» «Non ho capito» ammise lei. «A volte mi sento stupida». «Vuol dire...» mormorò lui, alzando una mano fino a sfiorarle una guancia, «...che Aoife mi spellerebbe vivo. E sarebbe immorale, non dico di no. E forse anche ingiusto. Ma, vedi, la natura ti protegge. Non ti farò proprio niente, perché non riesco nemmeno ad alzarmi in piedi». Deane gli riappoggiò la testa sul materasso. Andò all’armadio per prendere una federa pulita e si rese conto di avere le ginocchia molli e... qualcosa di umido tra le gambe. Anche i suoi seni erano strani, come se fossero diventati all’improvviso molto sensibili.
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