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1.In quel giorno fatale, quando sembrava che nessuna forza umana potesse impedire che la società Maber & Maber fosse assorbita dalla sua rivale; quando su tutti i muri dei Magazzini Atterman sembrò esserci scritto a chiare lettere che lo stagnante concorrente dall’altra parte della strada sarebbe stato la loro prossima “annessione”; quando il signor Maber in persona si preoccupò più della sua cena a Cambridge che della prossima dissoluzione della sua antica ditta; in quel giorno dei giorni, Barbara Storr scese dal letto dalla parte sbagliata.
Il letto si trovava contro una parete e quindi non avrebbe potuto scendere dall’altra parte, almeno non senza provocare un grave danno al muro. Si vestì pensierosa e Myrtle, vedendo l’espressione accigliata del suo viso, si domandò se il bacon fosse troppo salato. Infatti Myrtle era una materialista che riduceva tutte le emozioni umane all’eccentricità della digestione.
- Myrtle - esclamò Barbara con voce tragica - io sono impopolare.
- Cosa dice, signorina? - esclamò Myrtle.
Il suo vero nome era Polly Oaks ma Barbara aveva strane idee riguardo ai nomi.
- Non sono solo impopolare, sono molto impopolare - ripeté Barbara chinandosi a prendere le scarpe. - Se non fosse per il signor Maber, tu e io dormiremmo nel magazzino questa notte; spero che tu non russi.
Myrtle, alta esattamente un metro e venti, emise un gemito per esprimere sbalordimento e incredulità.
- Ma, signorina - ribatté allarmata - pensavo che avesse dei soldi con sé! Non sono mai stata a Londra...
- Londra è più grande di Ilchester - meditò Barbara con voce mesta - e questo significa che per ogni persona indesiderata che incontri in quel Maledetto Buco, qui ne conosci mille.
Myrtle rabbrividì.
- Devo dire, signorina, che mi sono meravigliata che sia venuta qui - disse. - C’era molta vita a Ilchester, con la fiera e i giorni di mercato. Qui non conosco nessuno, a parte un poliziotto...
- Se tu fossi una donna seria non conosceresti nemmeno lui - la interruppe Barbara con severità e Myrtle, che stava per compiere diciannove anni e che considerava belli i poliziotti di Londra, arrossì.
- Guarda dalla finestra e dimmi se quel giovanotto se ne è andato - disse Barbara un po’ illogicamente, almeno così parve alla cameriera.
- Sì, signorina... - Myrtle stava guardando attraverso le tende verso Doughty Street. - No, signorina.
- Deciditi - esclamò Barbara.
- Eccolo lì, fermo all’angolo. Ha un paio di pantaloni grigi...
- Non mi interessano i suoi pantaloni - la interruppe la sua padrona. - È là?
- Sì signorina.
- Che vada all’inferno! - sibilò Barbara.
Myrtle, non sapendo bene come interpretare questa frase, fissò stralunata la sua padrona. Aveva sempre pensato che Barbara fosse “deliziosa” senza sapere esattamente perché, non essendo molto intuitiva. Sapeva che Barbara aveva una bella pelle e dei capelli favolosi e si rendeva vagamente conto del fascino di quei grandi occhi grigi, della bocca decisa e del naso dritto e perfetto.
Sapeva bene che la pelle e i capelli erano parte integrante della bellezza perfetta perché aveva letto la pubblicità dei saponi e dei parrucchieri che spiegavano con esattezza cosa attirava i giovanotti verso le ragazze.
- Sta aspettando lei, signorina? - chiese non senza malizia.
- Ma certo che sta aspettando me - rispose Barbara con voce glaciale. - Sai molto bene che è il signor Stewart, l’Uomo che Vende lo Spazio Pubblicitario.
- Lo Spazio, signorina? - Myrtle era sbalordita. Poi, ricordando vagamente qualche informazione appresa nella scuola del villaggio, chiese: - Il cielo, signorina?
- Lui lo vende e tu lo compri.
Myrtle guardò ancora la strada.
- Non sa il numero della casa, signorina? - chiese con astuzia e Barbara le lanciò un’occhiata che la spaventò e l’affascinò nello stesso momento.
Si infilò la giacca e prese cappello e ombrello, scendendo a Doughty Street mentre l’orologio batteva le nove. Il giovanotto appoggiato al lampione si voltò in fretta al rumore dei passi, alzando il cappello.
- Mi chiedevo se lei fosse...
Lei lo zittì con un gesto dignitoso.
- Non so se si rende conto di avermi messo in una situazione imbarazzante con Myrtle - disse, continuando a parlare nonostante lui cercasse di scusarsi. - Myrtle ha una zia a Ilchester, che è la mia città natale e la zia di Myrtle era famosa ancora prima che inventassero gli altoparlanti. Anche se ciò che si dice a Ilchester non mi interessa affatto, vorrei che lei sapesse che il signor Maber è un uomo di chiesa e che, essendo lui il responsabile del mio trasferimento a Londra, devo proteggere il suo nome.
- Mi dispiace moltissimo - mormorò Alan Stewart con voce tremula - ma mi sembra assurdo dover andare da solo in ufficio quando viviamo vicini.
- Non potrebbe prendere un autobus? - chiese lei con freddezza. - Davvero, signor Stewart, apprezzo il fatto che lei abbia a cuore la salute del mio datore di lavoro, e preferirei che andasse in ufficio con lui e gli parlasse. Se il suo benessere dipende dal fatto che il signor Maber compri degli spazi pubblicitari nel giornale che lei rappresenta, o in qualsiasi altro giornale, presto dovrà sedersi sulle rive del Tamigi a mangiarsi le mani.
Il signor Stewart cominciò a professare il suo assoluto disinteresse ma poi cambiò idea.
- Sono stato una vera noia, temo. Chi è Myrtle? Sua sorella?
- Non mia, ma di qualcun altro, immagino. Ricordo di avere visto una numerosa famiglia, composta da molte Myrtle grandi e piccole.
- È la sua cameriera? – domandò lui in fretta. - Mi dispiace molto.
Barbara scrollò le spalle.
- Per ciò che riguarda la pubblicità - continuo il signor Alan Stewart con l’indifferenza con la quale si leggono gli annunci - ho smesso di infastidire il signor Maber. Un uomo che pensa che il suo nome dipinto sul tetto dell’Arca di Noè sia una pubblicità sufficiente, non è un uomo vivo, per me. Io lo considero “il defunto signor Maber” e quando passo davanti al suo negozio mi alzo sempre il cappello, soffocando una lacrima solitaria.
- Cosa significa che ha fatto dipingere il nome sull’Arca? - chiese lei interessata.
- È solo un modo di dire - spiegò Alan con noncuranza. - Fa pubblicità, sì. Pubblicità di mezza pagina sulle riviste esclusive, e qual è il risultato? Mentre la società Maber & Maber stenta a tirare avanti e decade da una parte della strada, la nobile impresa dei Fratelli Atterman si innalza fino al cielo dall’altro lato del marciapiede. Gli Atterman sono sulla piazza da otto anni mentre la ditta Maber & Maber è in attività da centocinquant’anni. Non voglio aggiungere altro.
- Non si fermi - lo pregò lei. - Lei mi piace in questi momenti poetici. Quando dico che mi piace - spiegò in fretta - intendo dire che la trovo sopportabile. Noi non abbiamo bisogno di pubblicità. Il nome Maber è una garanzia della qualità del nostro prodotto.
- Sarebbe vero se la gente comprasse i vostri prodotti - ribatté lui.
- I nostri magazzini sono grandi quanto quelli degli Atterman. - Si fermò per sfidarlo, con fiero cipiglio e sguardo ostile.
- Apparentemente sì, ma moralmente no - ribatté lui. – Mi piace il signor Maber come persona ma, a confronto degli Atterman, è un cardo che rivaleggia con un’orchidea.
Barbara annuì. Non ritenne necessario dirgli che il signor Maber era il suo padrino, che lo aveva convinto a portarla a Londra e che quando, con riluttanza, lui l’aveva sistemata nel suo ufficio come sua segretaria privata, lei si era resa indispensabile.
- Per ciò che riguarda il signor Julius Colesberg, il socio giovane del vostro moribondo commercio, è utile al signor Maber come una stufa a... beh, pensi a qualsiasi posto molto caldo.
Con riluttanza, lei si trovò d’accordo con lui. Lo guardò; era un giovane alto con le spalle quadrate.
- Perché ha fatto il pubblicitario? - chiese a bruciapelo. - Assomiglia più a un soldato.
- Ero pubblicitario prima di diventare soldato - rispose lui con tono diplomatico - e bisogna pur vivere.
- Perché? - chiese Barbara.
Immagino che non ci siano ragioni per cui un uomo non dovrebbe vivere... - cominciò lui.
- Non intendevo questo - lo interruppe lei. - Non ha mai sentito il richiamo dei grandi spazi aperti come tutti i giovani eroi?
- L’unico spazio aperto che mi interessa... - cominciò lui
- Non parliamo di lavoro - lo implorò lei. - Ha mai sentito parlare delle vaste terre selvagge sotto il cielo di Dio in cui gli uomini sono uomini?
Lui annuì con gravità.
- Ho sentito e ho letto sull’argomento - rispose. - Infatti ho appena venduto tre mezze paginette alla compagnia per le Sviluppo dell’Alberta Occidentale. E poi vedo i film che vede anche lei... posso fare benissimo a meno delle terre selvagge. A proposito - aggiunse con voce seria - Atterman ha avuto un incontro con il signor Maber questa mattina.
- Come lo sa? - chiese lei sorpresa.
- Io so tutto. Non si possono tenere queste cose nascoste a Fleet Street.
- Dove si trova? - domandò lei e lui non poté fare a meno di sorridere.
La lasciò all’angolo di Marlborough Avenue e lei proseguì da sola, passando sotto le calme finestre della Maber & Maber, con i suoi squisiti prodotti così belli da vedere e tanto difficili da vendere. Si fermò davanti alle ampie porte, fissando la bianca facciata di Atterman, cinque piani scintillanti sovrastati da bandiere che gridavano al mondo che, qualsiasi fosse la nazionalità, il signor Atterman aveva tutto ciò che chiunque potesse desiderare per spendere i propri soldi.
Tre uomini erano indaffarati nelle vetrine per preparare un nuovo “show” pubblicitario.
Atterman veniva spesso citato in giudizio per ostruzione al traffico stradale perché i suoi spettacoli pubblicitari attiravano sempre molta gente che non permetteva la libera circolazione. Quasi ogni autobus che passava portava la leggendaria scritta: Atterman significa spesa felice!
- Maledetti! - borbottò Barbara a bruciapelo, entrando nei Magazzini Maber.
Salì in ufficio, osservata dal serio signor Lark che lavorava sia come addetto agli acquisti che come contabile, una circostanza straordinaria: compra meglio chi non conosce le condizioni del portafoglio. E in quel momento le casse della Maber & Maber erano piuttosto vuote.
Il signor Lark alzò lo sguardo dal suo lavoro quando Barbara entrò, fissandola con malignità.
- Dieci minuti di ritardo! - osservò con voce tremante. - Se dipendesse da me, prenderei quella ragazza e la getterei in strada. Le direi: “Signorina Barbara Storr, questo è quanto le spetta! Non la voglio più vedere in questo ufficio a darsi tutte quelle arie. Si cerchi un altro lavoro”. Lo farei davvero!
La sua stenografa ridacchiò, esprimendo comprensione e ammirazione per la latente forza del suo compagno.
- Le comunicherei solo: “Lei è licenziata” - continuò lui. - Che cos’è una segretaria privata se non una serva? Una sorta di domestica, come la mia governante. Ecco cos’è, una serva! Corre di qua e di là per tutti.
- È terribile - annuì la sua stenografa con aria distratta.
- Terribile? - tuonò il gentiluomo che Barbara chiamava sempre “Hark, hark, Lark”. - Tratta come un cane perfino il signor Julius. Davvero! Lo tratta come un cane. Un socio della ditta! Davvero, il socialismo è la rovina della nostra epoca!
- È una socialista? - chiese la signorina Leverby interessata.
- Non so niente di lei - rispose conciso. - Non frequento quel genere di persone. Se la incontrassi per la strada mi sforzerei appena di sollevarmi il cappello. Io sono vendicativo. Quando qualcuno non mi va, gli faccio passare... le pene dell’inferno!
La signorina Leverby rabbrividì adeguatamente alla parola.
- Parla sempre di pubblicità... una delle cose più volgari mai infiltrate in questa ditta. Incalza il signor Maber. L’ho sentita io! E poi vuole sapere perché compriamo questo invece di quello. L’altro giorno: “Signorina Storr” le ho detto “se alla gente non piace ciò che abbiamo qui, può andare da un’altra parte”. “È ciò che fanno” ha ribattuto lei. “Guardi gli Atterman; si può comprare di tutto da loro, da un pisello a una pistola” ha detto proprio così. Io le ho risposto: “Signorina Storr, questa è una ditta di prestigio, fondata centocinquant’anni fa. Tutti ci conoscono; non vogliamo avere nulla a che fare con le volgarità e non se ne parla nemmeno di vendere sciocchezze”. “Dovrete farlo” ha ribattuto lei “ma non sapete come fare”, ha concluso. Mio Dio, quella si comporta come se la ditta fosse sua!