1.
Fraser Wayland incespicò nel basso tavolino del Vibe, rise sottovoce e tornò a sedersi nella sua poltrona. Aveva ancora i capelli leggermente umidi sulla fronte, dopo essere andato in bagno a “darsi una rinfrescata”. In realtà era andato in bagno a vomitare e tutti quelli seduti attorno al tavolo lo sapevano. Alcuni di loro ci sarebbero andati a loro volta di lì a poco, vista la quantità di alcool che avevano buttato giù, qualcun altro aveva già limonato col water.
«Meglio?» gli chiese Ben Harrison, dandogli una pacca su un avambraccio.
«Cristo, qualcuno mi dia dell’acqua» borbottò Fraser.
Erano in quattro, seduti oltre il divisorio del Vibe. Le luci erano soffuse, così soffuse che non si vedeva un cazzo (parole di Bruce), e il tavolino era ingombro di bicchieri, stuzzichini e tovaglioli appallottolati. Una bottiglia di Cristal giaceva rovesciata su un fianco, un’altra era stata ficcata a testa in giù nel secchiello del ghiaccio, una terza era ormai agli sgoccioli.
Guardando la scena dall’esterno, pensò Fraser, erano vagamente patetici. Quattro Wasp ultratrentenni che si comportavano come fossero a una festa della loro confraternita studentesca, solo con lo champagne al posto della vodka, per dimostrare nel contempo di essere anche “arrivati” e di potersi permettere di spendere un migliaio di dollari per una sbornia tra vecchi amici, se così volevano.
Una cameriera giovane e carina gli allungò un bicchiere d’acqua con ghiaccio e un sorriso finto-divertito.
«Ci vada piano, con quella, signore» disse, con voce roca.
Fraser la guardò come se fosse trasparente e abbozzò un sorrisetto. Non era una serata per le ragazze, quella. Era una serata per i vecchi compagni della Kappa Sigma. Dato il tipo di vita che conducevano, non capitava così spesso che il loro quartetto riuscisse a riunirsi per una bevuta (okay, una sbornia) e nessuno di loro voleva distrazioni.
«Dio, Fraser... ma sul serio? Sul serio hai iniziato con l’acqua?» ridacchiò Bruce. Scosse la testa. «Lascia che te lo dica, sei una delusione, stasera».
«Ho già bevuto prima di cena» si difese fiaccamente lui. «E nel pomeriggio. Incontro informale con un investitore. Oh, vaffanculo» concluse, riprendendo il suo bicchiere di champagne.
Seguirono diverse risate, mentre Fraser lo beveva alla goccia.
Si asciugò la bocca con il dorso di una mano. Dal suo stomaco risalì un fiotto acido, che lui ignorò fermamente.
«Ma permettetemi di dire una cosa» continuò, l’accento coltivato reso un po’ strascicato dall’alcool. «Che cosa vogliamo dimostrare? Queste riunioni... le sbornie e la coca – ah, Ben, ti ho visto... ti ho visto...» Fece un gesto con una mano come a dire che non aveva importaza. E non ne aveva, davvero. Per quanto lo riguardava Ben poteva pippare finché voleva. «Dico solo... siamo tutti qua, a bere Cristal e a sparare stronzate. Che cosa vogliamo dimostrare? Qualcuno di voi è in grado di sorprendermi? No. Né io voi, né io voi...»
«Forse l’acqua non era una cattiva idea» ridacchiò Josh.
«No, dai, fallo finire. Ci sta arrivando. Ci stai arrivando, no, Fraser? Al punto, dico» interloquì Bruce, sarcastico.
Lui si strinse nelle spalle. «Intendo solo... ognuno di noi è dove si aspettava di essere. Dieci anni fa... se dieci anni fa qualcuno ci avesse chiesto: dove sarai tra dieci anni? Be’, chi lavorerà nel settore bancario, chi assicurativo, chi in Borsa...»
«Già. Siamo andati a scuola per questo, se te lo fossi scordato» disse Josh, mettendosi un po’ sulla difensiva.
Fraser sorrise. «Non sto mica dicendo che mi dispiace. È solo... buffo, no? Noi quattro qua, a farci belli dei nostri successi quando... be’, sapevamo che ci sarebbero stati».
«Quattro Volpi nel Pollaio!» rise Ben, riportandoli tutti a una specie di nomignolo che avevano ai tempi di Harvard.
Fraser fece un gesto stanco, decidendo di lasciar perdere.
Con sua sorpresa, fu Bruce a riprendere la conversazione, dopo un altro giro di champagne (e la quarta bottiglia ordinata). Bruce era sempre stato il più cinico e spocchioso di loro. Non a caso era finito dritto nel consiglio d’amministrazione di un gruppo bancario, dopo economia.
«No, capisco quello che intendi, vecchio mio. Davvero. È uno sfoggio inutile e forse, in definitiva, anche un po’ triste. Come se la nostra amicizia avesse bisogno di queste stronzate».
«A me sembra divertente» protestò Josh.
Bruce gli rivolse un sorriso accodiscendente. «Anche a me. Ma non ha detto una cosa banale, il nostro Fraser. O meglio, sì, ma non se ci pensi sul serio. Siamo dove dovevamo essere. Siamo... il prodotto del paese delle opportunità, la parte di paese a cui sono state offerte tutte».
«Già. È vero» annuì Ben, ma era chiaro che non ascoltava. Stava cercando di recuperare un’oliva dal piattino servendosi di uno stuzzicadenti. L’oliva era ormai tutta bucherellata senza che lui fosse riuscito a prenderla. Innervosito, Fraser allungò una mano, la strinse tra indice e pollice e se la ficcò in bocca. Ben lo guardò male e lui gli rivolse un sorriso dispettoso.
«Oh, dai, non è proprio così» obbiettò Josh. «Cioè, sì, per quanto ci riguarda». Ridacchiò. «Non voglio negarlo. Ma non è così in generale. C’è un sacco di gente che ce la fa anche senza... senza...»
«Soldi?» offrì Fraser. «Conoscenze? Canali preferenziali? Non dico di no, eh. Ma quanti?».
Bruce sorrise appena. «Stasera continuo a essere d’accordo con Frase. È un po’ inquietante».
Ci furono delle risate.
Si versò dell’altro champagne e si rilassò contro lo schienale della poltrona. Anche il posto in cui erano, pensò Fraser, guardandolo. Il Vibe, con le sue luci soffuse e la musica non troppo alta. Con i suoi giovani uomini d’affari sbronzi, ma non così sbronzi da mettersi in imbarazzo in pubblico (be’, non molto). Le conversazioni che continuavano a voce non proprio bassissima, ma senza strillare. E nessuno si era mai picchiato fuori dal Vibe, che Fraser sapesse.
«Voglio raccontarvi una storia. Me ne ha parlato oggi la ragazza alla pari».
«Hai una ragazza alla pari?» ridacchiò Ben.
«Karen» spiegò Bruce, con un mezzo sospiro sconfortato, come se il nome di sua moglie bastasse a spiegare tutto. «Be’, mi diceva Araceli... Oddio, forse non mi ricordo tutti i dettagli. Parla... durante la colazione, no? Mentre io cerco di leggere il giornale, ma comunque... Karen la incoraggia, per la lingua, ed è buffo perché Araceli parla inglese meglio di me. In ogni caso. Questa sua compagna di scuola. Una qualche scuola d’arte, una cosa per radical chic...»
«Scusa, perché la tua ragazza alla pari...» iniziò Josh, polemico.
«Non fanno più le ragazze alla pari di una volta. Questa viene da una famiglia di importatori messicani... macchinari industriali, roba del genere. Suo padre vuole che “faccia esperienza”, capisci. Che impari che cosa vuol dire il duro lavoro. Stronzate del genere. E io la p**o una miseria perché lei possa dire alle amiche a casa... oh, mi sto rimboccando le maniche. Senza nominare gli assegni che le manda tutte le settimane il paparino».
Fraser tossicchiò. «Interessante. Ma questa storia, Bruce?».
L’altro scosse la testa. «Un’amica di Araceli. Cioè, una che segue i corsi con lei. Lei, questa Roxane, no? È lei quella che il paese delle opportunità sta lasciando a terra. Ha lavorato... mh, non so, qualche anno, comunque, per mettere da parti i soldi per questa scuola. Perché è il suo grande sogno o cavolate del genere. Ha anche una borsa, ma questa è la fottuta Manhattan. La borsa serve appena a coprire le tasse. Quindi... ora è al secondo anno, ma probabilmente non continuerà. Ed è brava, così dice Araceli, solo che proprio... non ce la fa. Semplice. Ecco a che cosa brindiamo, stasera: al non essere Roxane» concluse Bruce, con un mezzo sorriso. E alzò il bicchiere.
Bevvero tutti.
Il problama di Roxane – se poi esisteva davvero – per loro era un problema teorico su cui elucubrare da sbronzi, tutto lì. Anche per lui, non aveva problemi ad ammetterlo. Anche per lui era solo un problema teorico.
Nonostante questo si trovò a borbottare: «Qualcuno la aiuterà».
«Ai bambini non dovrebbero insegnare che da grandi faranno tutto quello che vorranno. È una stronzata. Hai solo delle delusioni» argomentò Josh, realista. «Ai bambini dovrebbero spiegare che cosa possono aspettarsi dalla propria vita».
Bruce sorrise di nuovo. «A te l’hanno spiegato, Josh?».
«Be’, certo».
«Ed era?».
Lui rise. «Quello che volevo».
Fraser allontanò l’autocompiacimento dell’altro con un gesto stanco della mano. «Qualcuno la aiuterà» ripeté.
«Sì? Chi, tu?» lo stuzzicò Bruce.
«Almeno è carina?» intervenne Ben.
Bruce alzò le mani. «Mai vista. Quindi? La aiuterai tu, Fraser?».
Fraser sospirò. «Okay, me la sono cercata» ammise. Poi si disse: che cavolo. Tirò fuori dalla tasca interna della giacca il suo libretto degli assegni. «Sì, la aiuterò io, tesoro. Sto per donarle... mmm... cinquemila dollari, che ne dici?».
Bruce rise. «Cinquemila? Ah, le paghi due mesi di affitto. Gentile».
«Che ne so? Be’, se non li vuole posso sempre non darglieli» ribatté lui, un po’ offeso, come se fosse stata questa fantomatica Roxane a ridere di lui.
Roxane... si immaginò una ragazzona del sud dai capelli biondi e dalle gambe lunghe, qualche lentiggine e quella speciale timidezza delle ragazze di campagna.
«Non fraintendermi» non si scompose Bruce. «Se le vuoi regalare cinquemila dollari da parte tua è molto generoso, ma stai solo allungando di qualche mese la sua agonia. Quindi se vogliamo che Roxane sia davvero una delle poche che ce la fanno... non le diamo niente. Sopravvivrà se sarà davvero, davvero cazzuta. Non come noi. Nemmeno come Araceli. No, dev’essere una forza della natura, o non ce la farà. Ehi, selezione naturale. Ma se avesse i mezzi, poni, che avevi tu alla sua età? Mi chiedo, sarebbe o non sarebbe matematicamente certo che diventerebbe tutto quello che vuole, come dice Josh?».
Fraser si grattò la nuca. «Come faccio a saperlo? Magari è scema».
«Oh, dai. Ha vinto una borsa di studio. Araceli dice che è brava. Non è scema» obbiettò Bruce.
Fraser si strinse nelle spalle. «Non puoi saperlo» insistette.
Bruce rise. «Oh, ma posso saperlo. Adottala per un anno, poi vediamo».
«Eh?».
Ben ridacchiò. «Secondo me è illegale» disse, versandosi dell’altro champagne.
«Non scherzo. Adottala. Per un anno. Cristo hai un attico gigantesco. Le dai un paio di stanze – nota come non ti costa niente. Be’, questa parte non ti costa niente perché per il resto...» Il suo sorriso si fece autenticamente divertito. «Le paghi tutto. I vestiti, le cene fuori, i viaggi... tutto, come se fosse tua figlia».
«Cristo» fece Fraser, inarcando un sopracciglio.
«La tua mignotta, allora».
Lui alzò gli occhi al cielo. «Quello è più il tuo campo, se non sbaglio».
Bruce non si diede nemmeno la pena di negare. «Come se fossi il suo tutore, che ne dici? Un lontano parente, uno zio ricco che ha deciso di aiutarla».
«“Tutore” sembra un po’...»
«Oh, diavolo, Fraser. Conia l’espressione che preferisci. Ci stai oppure no?».
Lui rise. «Sei proprio un banchiere. Pronto a tutto, con i soldi degli altri».
Bruce scrollò le spalle. «Se la ragazzina ottiene quello che vuole... se diventa quello che vuole diventare... ti ridò tutto. Che ne dici, ora?».
Fraser scosse la testa e si disse: che cavolo.