2.
Tornò in sé quando la lasciarono cadere su qualcosa di morbido. La prima sensazione: un dolore quasi insopportabile. Il tessuto sotto la schiena le faceva male alla pelle, così sembrava.
Poi, una sagoma confusa. Una persona alta, snella, con la faccia chiara e i capelli scuri. Il corpo... bianco.
Una mano calda si posò sulla sua spalla. Selina gridò.
Calore più forte. Dolore. Il rombo della magia. Le proprie ossa che schioccavano e si aggiustavano. I propri tessuti che formicolavano. Il suo corpo che guariva bruscamente, innaturalmente.
Sbatté le palpebre e osservò il posto in cui era. Un salotto, una specie. Le pareti erano rivestite da una gradevole tappezzeria viola spento, i mobili erano di legno scuro. Lei era stesa su un sofà, ancora nuda, ancora con le mani legate dietro alla schiena, ancora con i capelli intrisi di sangue, il corpo sporco dei propri escrementi.
Qualcuno la tirò su afferrandola per un braccio. Senza tante cerimonie, ma non con l’intento di farle male.
Selina si rese conto che la persona che l’aveva guarita e che ora la stava obbligando ad alzarsi in piedi era Johan Augustus Tertiano.
Era più alto di lei di tutta la testa, snello e muscoloso, con il corpo rivestito degli abiti chiari che gli avevano procurato il soprannome di Imperatore Bianco. Anche la pelle era chiara, color avorio, mentre i capelli erano di un ricco castano scuro. Il viso levigato, regolare, dall’ossatura ben cesellata... eccolo lì, quello era il mostro di cui aveva parlato Renana.
«A-altezza?» osò chiamarlo.
Johan la spinse dentro una stanza da bagno. Poi la sollevò senza cerimonie per le braccia, lasciandola cadere in una tinozza piena di acqua tiepida.
«Non sopporto il tuo odore» disse, con l’accento duro della gente del nord.
Non la lavò, non proprio. Sembrò soddisfatto di lasciarla in ammollo per qualche minuto, per poi risollevarla e trascinarla fuori, fradicia e gocciolante.
La lasciò cadere di nuovo sul sofà, di nuovo a pancia in su. Le braccia legate dietro alla schiena la costringevano a una posizione scomoda, ma non aveva importanza. Selina sapeva di doversi concentrare su di lui con tutta se stessa. Non farsi sfuggire la minima possibilità.
L’imperatore prese una sedia panciuta e si sedette accanto al sofà, i gomiti sulle ginocchia, piegato in avanti.
«Casta delle guerriere. La comandante» disse. La guardò in faccia. Aveva gli occhi scuri e freddi. «Il tuo nome?».
«Selina d’Iverville» rispose lei, senza esitazione.
Sulle labbra ben disegnate di lui si dipinse un veloce sorriso. «Bene. Come sai benissimo, nessuno resiste alla tortura. È solo questione di tempo. Abbiamo già interrogato le tue consorelle, ma ho pensato di tenerti per ultima. Ovviamente».
I suoi occhi duri percorsero con calma il suo corpo. Era ancora bagnata fradicia e ora era anche coperta di pelle d’oca.
Johan compose un lento cerchio attorno a uno dei suoi capezzoli con la punta di un dito. «Non sono vere, le voci su di voi. Non sei esageratamente muscolosa». Guardò verso il basso. «Non hai un gigantesco clitoride. Sei solo in ottima forma. È curioso, no?».
«Non mi toccare» disse lei. Visto che sarebbe comunque morta non aveva senso consentirgli di divertirsi prima. Non che avrebbe potuto evitarlo, se lui avesse voluto, ma poteva evitare di dimostrarsi acquiescente.
Lui rise. «Pensi davvero di potermi interessare sotto quell’aspetto? No, era una mera considerazione». Si alzò e prese la pesante tovaglia che era sul tavolo. Gliela buttò addosso, coprendola almeno in parte.
Tornò a sedersi. «Ora rispondi. Avete preso Renana, mh? Quella stupida bigotta».
Selina annuì. Era inutile negare. Qualcuno le stava aspettando, al loro arrivo. Erano cadute in una trappola.
«L’avete interrogata e lei è stata felice di collaborare. L’inutile madre delle mie figlie. Ci sono altre squadre in arrivo?».
«Non che io sappia» rispose lei.
«Questo è il tipo di risposta che mi fa venir voglia di fare male alle persone. Lentamente e cominciando dalle parti più delicate, fino a essere sporco di sangue fino ai gomiti. Mi sono spiegato?».
Selina annuì di nuovo. «Sì. Non ho nessuna intenzione di intrattenerti con il mio dolore, se posso evitarlo. Non so nulla di altre squadre in arrivo. Mi sembra difficile, ma non posso escluderlo del tutto».
L’imperatore sorrise lievemente. «Sei una vera dura, mh? Che bellezza. Be’, non ha importanza. Suppongo che ora ti userò come voi avete usato Renana. Informazioni. Parliamo della Rocca di Mart Olden».
Selina si rivoltò su un fianco. In quella posizione, sdraiata sulle proprie mani, iniziava a essere molto scomoda. Si girò su un fianco e si appoggiò su una spalla. La tovaglia scivolò via, rivelando di nuovo i suoi seni. L’imperatore la risistemò distrattamente, in punta di dita e poi...
Selina venne sbalzata via. Risucchiata, come durante un trasferimento magico. Era possibile che nella stanza in cui l’imperatore l’aveva portata le difese non fossero alzate? Oppure i maghi dell’Alleanza avevano trovato un modo per aggirarle? Per lei? Le sembrava improbabile.
Pensò tutto questo in una frazione di secondo, prima di accorgersi di non essere l’unica a essere stata risucchiata nel gorgo.
Johan era con lei! Lo stavano catturando!
Sentì un altro strattone, come se all’improvviso fosse tirata in un’altra direzione. Cadde vorticando verso il basso, dapprima nell’atmosfera tiepida e rarefatta dei trasferimenti magici, poi tra mulinelli di vento gelido.
Cadde su un fianco sul terreno sassoso. Johan Augustus cadde a pochi passi da lei, sul sedere. La tovaglia, infine, planò più lentamente e venne trascinata a diverse decine di metri dal vento.
«Merda» disse Johan, alzandosi lentamente. Si spolverò le ginocchia dei pantaloni di velluto a coste bianco panna. Si guardò attorno. «Merda, dove cazzo siamo?».
Anche Selina si guardò attorno, ma dalla sua posizione a terra non riusciva a vedere un granché. Erano all’aperto. Il clima era freddo e umido. Molto nebbioso. C’erano degli alberi contorti non molto lontano. C’era un odore, nell’aria... un odore di palude.
Si tirò a sedere e poi saltò su, raddrizzandosi. Le sue ossa erano state saldate con la magia, questo era vero, ma si sentiva tutt’altro che in forma.
«Forra di Ialtos?» ipotizzò. «Marcio d’Ardona, forse».
Johan si frugò dentro al farsetto, tirando fuori una grossa gemma rossa incastonata nell’oro bianco. «Vuota come il cervello dei tuoi capi» diagnosticò. «Per deviare una rilocazione serve un bel po’ di energia. Quindi... Forra di Ialtos o Marcio d’Ardona. Ottimo. Il primo è infestato dalle febbri gialle, il secondo dai troll».
«Propendo per il secondo» disse Selina, rabbrividendo. «È freddo, non un buon brodo di coltura per le febbri gialle. Ma potrei sbagliarmi. Mi lasci legata, mi sbuzzi per nutrirti del mio cadavere o che cosa?».
L’imperatore ci rifletté per un numero preoccupante di secondi, continuando a guardarsi attorno nell’atmosfera grigia e crepuscolare di quel luogo.
Alla fine tirò fuori il coltello dal fodero tempestato di pietre preziose. «Prima di liberarti voglio attirare la tua attenzione su una cosa: era questo il piano dei tuoi capi. Condannare a morte te e le tue guerriere, accettare serenamente che vi torturassimo, vi stuprassimo e vi sgozzassimo, solo nella speranza che una di voi – probabilmente tu – mi finisse abbastanza vicina da poter essere risucchiata insieme a me».
Selina non cambiò espressione. «Sì, l’avevo capito» disse.
L’imperatore sospirò e le girò attorno, tagliò e legacci e si spostò prudentemente un po’ più in là. «E conosco la cara Renana abbastanza bene da sapere che razza di pubblicità mi avrà fatto. Lo definirei un piano stupido e sgradevole».
Lei non rispose. Anche a suo avviso era un piano stupido e sgradevole. Sgradevole, per ragioni che aveva già abbondantemente sperimentato. Stupido, perché solo degli stupidi potevano pensare che Johan non fosse protetto da una possibile rilocazione forzata.
E infatti.
Ora era persa in mezzo a una palude forse infestata di troll con l’unica compagnia di un regnante sadico che avrebbe potuto ucciderla solo per sentire che rumore faceva quando rantolava.
«Prestami un attimo quel coltello» ordinò.
Johan non sembrò entusiasta di farlo.
«Voglio solo fare tre buchi in quella cazzo di tovaglia. O vuoi vedere se ai troll interessano le mie tette?».
L’imperatore le tese il coltello per il manico. «Credo che non interessino proprio a nessuno, ma ammetto che fa un po’ freddino. Dunque... immagino che l’unica cosa che resta da fare sia camminare a casaccio fino a finire risucchiati in un pantano o scannati da un troll, nell’improbabile speranza di sopravvivere quel tanto che basta perché la mia pietra si ricarichi?».
Selina stese la tovaglia e vi praticò tre tagli in fila, a una trentina di centimetri l’uno dall’altro. Poi infilò la testa nel taglio centrale e le braccia nei due laterali. «E quanto ci mette a ricaricarsi?».
«Più o meno due giorni» spiegò l’altro.
«E quanto ci mette a ricaricarsi abbastanza da consentire a te di rilocarti?».
Johan le rivolse un sorriso divertito. «Più o meno due giorni. Per rilocare anche te direi... più o meno tre. Ma non vedo motivo di portarti indietro con me».
Selina si guardò attorno. Il freddo la stava uccidendo, specialmente ai piedi, ma data la situazione era meglio farsene una ragione. Tagliò il lungo stelo di una pianta lacustre e lo usò per farne una rudimentale cintura.
«Ora ho io il coltello» gli fece notare.
Lui scosse la testa. «Meglio così. Se ci attaccase un troll è meglio che lo abbia tu».
«Potrei usarlo per ammazzarti. Hai un mantello bello caldo, così sembra. E degli stivali».
L’imperatore inarcò un sopracciglio. «Quel coltello è stregato per non essere usato contro di me».
«Prima ti sei allontanato».
«Non voglio farti male. Non potrei più guarirti e tutta intera puoi combattere contro i troll al mio posto, se necessario».
«Oppure scappare e lasciarti a morire».
Johan si strinse nelle spalle. «Contro un troll ho le stesse possibilità con un coltello che senza. Andiamo?».
Lei tornò a guardarsi attorno. «È quasi notte. In ogni caso il nostro scopo non è uscire dalla palude, è non finire in bocca ai troll o non schiattare nelle sabbie mobili. Propongo di trovare un riparo, accendere un fuoco e aspettare il mattino».
L’imperatore sospirò. «Sempre se riusciremo ad accorgerci della differenza».
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Avevano vagato. Non potevano fare nient’altro, perché nella palude nebbiosa la visibilità massima era di qualche metro. All’inizio avere i piedi nudi aveva aiutato Selina a capire quale fosse la consistenza del terreno, ma dopo pochi minuti aveva iniziato a non sentire più le proprie dita e ad avere difficoltà a camminare.
Mentre si spostavano cautamente qua e là, cercando di non finire in un pantano e di non fare troppo rumore, entrambi raccoglievano quei pezzi di legna sufficientemente secca da venire utilizzata in un falò. Dopo un’oretta capirono con più sicurezza di essere nel Marcio d’Ardona, perché il terreno iniziava a salire.
«Da quel lato cominciano le Montagne Aguzze. Tra una trentina di miglia, ma comunque... la direzione è quella. Non che faccia differenza» disse Johan.
«No, infatti. Ma potremmo trovare una grotta».
Un’altra mezz’ora più tardi trovarono un buco. Un buco tra le rocce abbastanza grande da fornire un riparo a due persone.
«Potremmo stendere il tuo mantello sopra l’apertura, lasciando un foro per il fumo. Tratterrebbe il calore» suggerì Selina.
«Oppure potrei avvolgermici ben-bene, nel mio mantello» replicò Johan. «Anche quello tratterrebbe il calore».
Lei non perse la calma. Tremava forte e sapeva che non sarebbe sopravvissuta a una notte completamente all’addiaccio, ma c’erano altre soluzioni. C’erano sempre delle altre soluzioni.
«Coprendo l’apertura potremmo accendere il fuoco senza troppi timori di essere avvistati dai troll» disse.
L’imperatore sospirò. «Con questa nebbia? Ma comunque... forza, tieni. Vedi che cosa riesci a fare. Specialmente, vedi se riesci ad accenderlo, un fuoco».
Selina ci riuscì. Accese un fuocherello fumoso in un cerchio di pietre in modo che fosse proprio sotto all’apertura che aveva praticato nel mantello dell’altro.
Quando alla fine avvicinò i piedi alle fiamme non trattenne una smorfia di dolore. L’insensibilità era stata preferibile.
«Hor, che fame» commentò Johan, indifferente alle sue sofferenze.
«Sono due giorni che non mangio» replicò lei. «Ormai non ci faccio più caso».
«Non scalda tantissimo, quel fuoco» sottolineò lui. «Forse dovrei riprendermi il mantello. Da domattina avrei anche qualcosa da mangiare».
Selina fece un’espressione disgustata e lui rise. «Sto scherzando. Non ti mangerei, a meno di non essere davvero vicino a morire di fame».
Lei non rispose. Si piegò lentamente da una parte, fino a stendersi su un fianco sul terreno gelido e umido. Forse non avrebbe dovuto dormire, ma era stanca. Aveva sonno. Tanto, tanto sonno...
Johan la scosse con la punta di uno stivale. «Non ti addormentare così. Morirai».
«Ho freddo» rispose Selina, con voce debole.
L’altro si stiracchiò. «Sì, anch’io». Si allungò davanti a lei e la tirò verso di sé. Intrecciò le gambe alle sue, mentre Selina gli si accoccolava sul petto.
Per qualche minuto non cambiò nulla, poi iniziò a sentire un vago tepore. Il panciotto di raso di lui iniziò a essere tiepido, come i suoi pantaloni.
«Sei fredda come una rana» disse Johan. Sbuffò e armeggiò con la propria cintura. «Così non basta. Stai ferma. O, anzi, meglio: divincolati».
Selina ci mise mezzo secondo a capire che cosa stesse succedendo, non di più. In quel mezzo secondo l’altro le salì sopra e le allargò le cosce con i fianchi.