Capitolo due-1

1731 Words
Capitolo due Bailey La furia mi bruciava la gola, mi accecava mentre uscivo dalla classe di giornalismo. La faccia tosta di Cole Muchmore… mi aveva letteralmente rubato il compito di fronte a tutta la classe e se l'era cavata. Si stava dando il cinque con i compagni di squadra, gli altri coglioni-alfa, come li chiamava Rayne. Come se fare di me una paria sociale non fosse abbastanza, ora mi rubava i compiti? Non potevo credere di avergli permesso di farla franca. Cosa c'era di sbagliato in me? Ero così bisognosa di amici da sacrificare istruzione e futuro solo per non far incazzare nessuno? Avrei dovuto denunciarlo. Tanto mi odiavano già. Ero un’emarginata sociale, sola da settimane ormai. E cosa diavolo c'era di sbagliato in tutti i ragazzi di questa scuola che pensavano che aiutare la stella del football a imbrogliare fosse la cosa giusta da fare? Stronzi. Abbassai la testa per nascondere le lacrime che mi offuscavano la vista mentre giravo la combinazione dell'armadietto. Mi ci vollero cinque giri prima di calmarmi abbastanza da vedere i numeri. Altri tre tentativi per sbloccarlo. Nell'istante in cui la porta si aprì si chiuse sbattendo; merito di una grossa mano che chiuse l’anta con una botta e restò lì. Ovviamente sapevo esattamente a chi appartenesse quella mano. «Grazie per l'aiuto, Pink.» Cole si accalcò contro al mio fondoschiena, avvicinandosi per parlarmi a bassa voce, come se fosse una conversazione privata tra amanti e non più bullismo da parte del cazzone più grande della scuola. La sua voce rimbombava profonda, riecheggiando in luoghi segreti a cui non apparteneva. «Vaffanculo, Cole» ribattei. Di solito non insultavo, soprattutto non a scuola, ma la situazione lo richiedeva davvero. Ero ancora una fifona però, perché non mi voltai, non ero disposta a trovarmi faccia a faccia con il mio aguzzino. Mi spinsi ancora più vicina agli armadietti per impedirgli di strofinarsi contro di me, ma lui si avvicinò, e ora avevo odori e sensazioni a perseguitarmi insieme alla sua faccia ghignante. Voleva intimidirmi e funzionava, ma il mio corpo lo registrò come qualcosa di completamente diverso. Qualcosa di estraneo eppure primitivamente familiare. A livello biologico, roba da cervello scimmiesco di merda che mi rendeva le parti basse incredibilmente bagnate. Perché non trovavo per niente sexy la sua postura muscolosa. Era uno schifo che fosse bollente a livello di Jacon Elordi. I formicolii mi correvano sulla pelle. Abbassai lo sguardo. Pelle d'oca. Mi faceva venire la fottuta pelle d'oca solo stando troppo vicino. Non dovevo guardare per sapere che i miei capezzoli erano cresciuti contro al vestito preferito stile skater à pois. Resistetti all'impulso di incrociare le braccia sul petto. Non aveva bisogno di sapere quanto poteva influenzarmi. Era grande. Forte. La sua voce era profonda. Il profumo sapeva di sapone di cedro e bontà maschile. E le sue stronzate arroganti facevano qualcosa di sconvolgente al mio cuore. «Ecco.» L’altra mano mi apparve davanti al viso. Non quella che teneva ancora chiuso l’armadietto e che mi stava effettivamente ingabbiando, ma quella dall'altro lato della testa. Mi stava porgendo un pezzo di Trident alla cannella. «Veramente?» Afferrai la gomma e mi girai, troppo incazzata ora per evitare uno scontro faccia a faccia. «Un pezzo di gomma?» Lo tenni tra i nostri nasi, maledicendo la mia mano per il tremolio. «È questa la tariffa attuale del posto per fare il test ad altri?» Lo sguardo ardente di Cole bruciava dentro di me. Vidi l'odio nei suoi occhi prima che sbattesse le palpebre e facesse finta di fregarsene. Si spostò per appoggiare una spalla contro il mio armadietto. «Beh, sai, è tutto quello che posso permettermi... visto che tua madre ha rubato il lavoro a mio padre e tutto il resto.» Tutto il rumore nella mia testa si acquietò. Lo stomaco mi abbandonò e persi il fiato. «Che cosa?» «Sì. Immagino sia un vero pezzo grosso, eh? Tua mamma? Per tutto il percorso dalla Coors Brewery in Colorado.» Alzò le spalle. «Mio padre non poteva proprio competere.» Mi tremavano le ginocchia. La bocca si aprì e si chiuse come un dispenser di caramelle PEZ vuoto, ma non riuscii a trovare una risposta appropriata. Non importava. Cole si era già spinto via e si era allontanato, la folla si era aperta per consentire al suo re di passare. Pensa che mia madre abbia rubato il lavoro di suo padre? Era per questo che Cole e Casey Muchmore mi odiavano? Ecco perché ero stata l'emarginata sociale delle ultime otto settimane. Perché potevo continuare a sorridere e dire "ciao" ai ragazzi nei corridoi, nei bagni, e nemmeno una matricola mi avrebbe mai rivolto un cenno del capo. Non avevo idea che fosse una cosa personale. La comprensione avrebbe dovuto portare sollievo, ma portò solo un dolore sordo alla bocca dello stomaco. A meno che quell’essere inutile e alcolizzato del padre di Cole e Casey Muchmore non si fosse trovato un altro lavoro, io qui sarei rimasta il nemico pubblico numero uno. E non era colpa mia. E nemmeno di mia madre. Era stata assunta dopo che la Wolf Ridge Brewery aveva avuto un grosso problema con la FDA ed era stata chiusa. E sì, mia madre aveva detto che le cose erano un disastro totale al suo arrivo. Come se non ci fossero stati i controlli sufficienti per prevenire disastri da contaminazione. Ciò significava che il padre di Cole e Casey aveva fatto schifo nel suo lavoro, e non c'era da meravigliarsi che l'avesse perso. Capivo che trasferirci alla porta accanto fosse stato come spargere sale su una ferita, ma mia madre non aveva rubato il lavoro a suo padre. E anche se lo avesse fatto, nel suo contorto cervello di Neanderthal che colpa ne avevo io se la sua vita era diventata di merda? Ne sapevo un bel po’ io di vita che diventava improvvisamente uno schifo. Ma non me la prendevo con gli estranei per vendetta. Con le dita tremanti, trafficai ancora una volta con la combinazione dell’armadietto, tirai fuori lo zaino e andai a pranzo, il momento più temuto della giornata. Il momento in cui cercavo di trovare un posto da sola dove sedermi e fare i compiti mangiando un panino. «Quindi hai risposto al quiz del coglione-alfa per lui, eh?» Mi voltai di scatto e mi trovai davanti Rayne, in piedi. Il suo viso amichevole era un tale balsamo per le mie faticose emozioni che avrei voluto abbracciarla e stringerla. Mi trattenni però. Non volevo spaventare la mia unica amica con il mio bisogno di contatto umano. «Le notizie viaggiano così velocemente?» «Sì. Questa è la Wolf Ridge per te. Ci vogliono circa cinque minuti per avere le ultime notizie. Soprattutto quando riguardano del nostro fantastico quarterback.» «Il football è un grosso problema? Non capisco.» Alzò le spalle, mettendosi al passo con me. «Wolf Ridge domina in quasi tutti gli sport. Siamo rinomati. Ma Cole è speciale: è puro intrattenimento sul campo. Giocherella un po’ con l'altra squadra. Come un gatto con un topo. È leggendario. Quindi, se questa settimana fosse stato messo in panchina per i brutti cattivi, tutti avrebbero pianto. So che non avevi scelta, ma sei appena diventata un’eroina silente.» «Sono appena diventata lo zimbello della scuola e un bersaglio per ogni bullo.» «Nah, solo per Cole.» «Quindi bisogna essere bravi nello sport per essere popolari?» «Sì.» Si passò le mani lungo il corpo con un gigantesco sorriso mesto. «Immagino che tu sappia perché non sarò incoronata reginetta.» Mi venne la folle voglia di rubare la corona della festa prima che venisse consegnata, nel fine settimana, solo per darla a Rayne. E il pensiero mi fece sorridere. Mi diede una gomitata. «Non è così divertente.» Il mio sorriso si ingrandì. «Non sto ridendo di te, lo giuro. Stavo solo pensando a quanto sarebbe divertente boicottare la competizione.» Lei mi sorrise in risposta. Mi condusse dall'altra parte della scuola, dove c'era un piccolo appezzamento di alberi che non avevo mai visto prima. «È qui che mi piace nascondermi durante il pranzo.» Affondò con la schiena contro a uno degli alberi. Mi lasciai cadere per raggiungerla. «Questo è molto meglio degli altri posti che ho provato.» Era vero. Aveva trovato l'unico pezzetto di vera natura del campus dove l'aria fosse in qualche modo più respirabile. «Allora: Cole pensa che mia madre abbia rubato il lavoro a suo padre» sputai, incapace di togliermelo dalla mente. Rayne alzò le sopracciglia. «Non lo sapevi?» Sospirai. Ok, Wolf Ridge era davvero piccola e interconnessa. «Pensavo che tutti mi odiassero perché sono ispanica.» Sputò il succo ridendo. «Che spasso.» «Beh, qui c’è una certa omogeneità. E io non rientro nella cerchia. Dovresti vedere come il padre di Cole ci guarda dalla finestra. Giuro su Dio, pensavo che lui o uno degli altri vicini avrebbe chiamato l'ICE per farci prelevare nella notte solo perché di cognome facciamo Sanchez.» Rayne rise così forte che le uscirono lacrime dagli angoli degli occhi. «No.» Se le asciugò. «Non è il razzismo che stai combattendo qui.» Il modo in cui sfoderò il razzismo mi fece pensare che ci fosse altro. Altro oltre a mia madre che accettava il lavoro di Cole, ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Si infilò un ciuffo selvaggio di capelli biondo-bianchi dietro l'orecchio e vidi il lampo di un tatuaggio blu all'interno del polso. «Che cos'è?» chiesi indicandolo. Lo porse e mi mostrò una minuscola impronta di zampa. «Molto dolce. È in ricordo di un cane?» «In realtà è un'impronta di lupo.» «I lupi sono speciali per te?» Lo nascose velocemente e abbassò la testa. «No. Solo per Wolf Ridge. È stupido.» Arrossì furiosamente. «Vorrei non averlo mai fatto, ma ora è troppo tardi.» «Mi piace.» Prese piede un'idea; mi sentivo entusiasta per la prima volta da mesi. Un modo per commemorare Catrina. «Voglio farne uno. L'hai fatto qui in città?» «Sì. Al Wolf’s Paw Tattoo.» «Dio mio. È per questo che hai la zampa di lupo? È gratuito se diventi una pubblicità ambulante per loro?» Rayne rise. «No, ma immagino che sia da lì che ho avuto l'idea, sì. Ma devi avere diciotto anni o il consenso dei tuoi.» «Beh, guarda caso domani compio gli anni.» Sorrisi. «Vuoi venire con me?» Si accese. «Decisamente. Cosa vuoi farti tatuare?» Ricacciai indietro l'improvviso nodo alla gola. Probabilmente non mi sentivo ancora abbastanza bene da parlarne. Invece alzai le spalle e optai per il mistero. «Vedrai.»
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