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CATHERINE
Dieci ore prima...
«Qui è il capitano che vi parla. Siamo pronti al decollo, ma come potete vedere fuori dai finestrini, il tempo non è clemente e la torre ha deciso di arrestare tutti i voli. Non sono sicuro esattamente di quanto a lungo ci tratterrà questa tempesta. Sembra che resteremo qui per almeno mezz’ora, gente. Vi terremo aggiornati.»
Fantastico. Sbirciando fuori dal piccolo finestrino dell’aereo, riuscivo a vedere le turbolente nuvole grigio scure che ci impedivano di lasciare Denver. Ero corsa dal gate fino all’area dei pendolari più distante per raggiungere il mio volo di coincidenza in tempo, solo per poi restare bloccata a quel modo sull’asfalto. Lanciai un’occhiata al mio orologio da polso, poi sospirai. Non avevo tempo per certe cose. Non avevo tempo nemmeno di andare nel Montana, ma lo stavo facendo comunque.
Appoggiandomi allo scomodo poggiatesta, chiusi gli occhi e cercai di scacciare la frustrazione con dei respiri profondi. Ero rimasta in piedi quasi tutta la notte a portare a termine le testimonianze da archiviare quella mattina, poi avevo trascorso altre due ore a rispondere a più e-mail possibile. Finito quello, avevo ancora dovuto fare i bagagli. Non avevo nulla, nulla, che fosse adatto al Wild West a parte un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica, per cui, dopo un’ora ad agitarmi, avevo semplicemente buttato un po’ di tutto in una borsa.
Avevo dormito due misere ore prima che suonasse la sveglia alle quattro e mezza, solo per poi scoprire che il ponte da Manhattan a Queens veniva riparato quella notte e il traffico era bloccato. Poi la sicurezza in aeroporto ci aveva messo una vita e mi ero dovuta subire la perquisizione corporale per via dei perni in titanio che avevo nella gamba. Quando finalmente ero riuscita ad attraversare il gate, il mio capo mi aveva chiamato per lamentarsi della mancanza di relazioni con la mia attuale lista di clienti. Volevo diventare partner a tal punto che avevo effettivamente preso in considerazione l’idea di abbandonare semplicemente la valigia e dirigermi in ufficio, ma quando il mio volo era stato annunciato, avevo capito di dover risolvere quantomeno un casino nella mia vita. E adesso ero bloccata in una tempesta.
Mentre cercavo di sfregarmi via la sensazione di cartavetro dagli occhi, cercai di praticare la tecnica della respirazione profonda che avevo imparato a yoga. Quelle lezioni avrebbero dovuto rilassarmi, ma non funzionavano mai. Non ero mai rilassata. E in quel preciso istante, l’aria viziata all’interno di quel piccolo aeroplano si stava scaldando sempre di più, affondandomi nei polmoni e soffocandomi. Ero bloccata e non c’era nulla che potessi fare al riguardo. Merda. Odiavo le cose sulle quali non avevo il controllo. Non ero claustrofobica, ma mi sentivo comunque in trappola. Un forte tuono scosse l’areoplano un attimo prima che la pioggia prendesse a battere sul metallo come un migliaio di piccoli martelli. Dio stava forse cercando di dirmi qualcosa?
Respira.
Inspira lentamente dal naso, trattieni il fiato, trattienilo, espira attraverso la bocca. Inspira... Sandalo e cuoio con appena un accenno di calore che ero certa dovesse essere del tutto unico e suo. Ero seduta accanto al signor Cowboy Gran Figo e aveva un profumo troppo buono per concentrarmi su qualunque altra cosa – specialmente con gli occhi chiusi. Non si trattava di acqua di colonia, forse sapone, e mi distraeva completamente. Come ci si poteva mai concentrare sulla respirazione yoga quando Alto, Scuro e Bellissimo ed io ci trovavamo spalla contro spalla?
Mi ero quasi mangiata la lingua quando aveva percorso lo stretto corridoio dell’aereo, aveva posato il cappello da cowboy nella cappelliera sopra di noi e si era seduto accanto a me, praticamente piegandosi in due per infilarsi in quel minuscolo spazio. Mi aveva rivolto un sorriso spontaneo e un saluto educato e aveva aperto un libro. Io in quel momento stavo scrivendo un messaggio al cellulare, ma mi si erano immobilizzati i pollici mentre gli sbavavo addosso. Spudoratamente. Immaginai che lo dovessi a tutto il genere umano femminile di rifarmi gli occhi mentre il cuore riprendeva a battere nuovamente.
Aveva i capelli biondi leggermente troppo lunghi e arricciati sul fondo. Pettinati, ma non domati. I suoi occhi erano altrettanto scuri e penetranti, ma il modo in cui le sue labbra piene si curvavano verso l’alto agli angoli indicava che non era poi così serio come sembrava. La pelle abbronzata mi dimostrava che non lavorava in un ufficio. Così come le sue mani grandi con le unghie corte e ben tenute e un affascinante gioco di muscoli che si muovevano appena sotto la superficie. Mani forti che facevano supplicare ad una donna di farsi toccare. Cosa più importante, non aveva nemmeno una fede nuziale.
Ero una gran pervertita a pensare al mio compagno d’aereo a quel modo, ma diamine. Pompava fuori feromoni o qualcosa del genere perché all’improvviso tutto ciò cui riuscivo a pensare era sedermi in braccio a lui e farmici una bella cavalcata. Mi si era bloccato il cervello e le mie ovaie avevano preso il sopravvento.
Non c’erano cowboy a New York. E dovevo ammettere che non c’era niente di meglio di un uomo della sua stazza e coi muscoli ben definiti dal duro lavoro, dall’aria fresca e dalla luce del sole invece che dalle visite quotidiane in palestra. Nessun uomo sapeva indossare una camicia coi bottoni a scatto, un paio di jeans e degli stivali consumati come un cowboy. E quell’uomo? Lui era tutto cowboy. Per la miseria, avevo sempre pensato che l’uomo d’affari cittadino fosse figo, ma erano dei pallidi rammoliti a confronto. Potevano anche essere in grado di chiudere un accordo miliardario durante un pranzo, ma avrei dovuto sorvolare sull’aspetto fisico se avessero cercato di portarmi a letto. Ma il signor Gran Figo? Avrebbe potuto cavalcarmi e sottomettermi in qualunque momento.
Visto che non avevo intenzione di dirglielo, lanciai di nuovo un’occhiata al mio orologio. Erano passati tre minuti dall’annuncio del capitano. Avrei dovuto sfruttare quel tempo morto a mio favore. Chinandomi in avanti, cercai di raggiungere la mia borsa, ma i sedili erano troppo vicini gli uni agli altri. Dovetti piegarmi di lato per farlo, solamente per scoprire che con una tempia ero andata a sbattere contro la coscia dura come una roccia del signor Gran Figo. Dura come una roccia e calda.
All’improvviso, mi rialzai a sedere e gli lanciai un’occhiata. «Scusa!» Arrossii violentemente e mi morsi un labbro.
Oh merda, aveva una fossetta. Mi sorrise, mettendo in mostra quella perfetta rientranza sulla guancia destra ed io mi limitai a fissarla, a bocca aperta. Aveva un accenno di barba e mi chiesi se quei peli scuri sarebbero stati morbidi o pungenti. Li avrebbe fatti scorrere contro la pelle della sua amante? Avrebbe sfruttato quella leggera abrasione per stuzzicarmi l’interno coscia prima di assaggiarmi con la-
«Nessun problema. Quando vuoi,» mormorò lui, la voce profonda.
Stava insinuando che potevo mettergli la testa sulle gambe quando volevo? Significava che voleva che...
Lasciai cadere lo sguardo sul suo inguine e osservai rapidamente quei jeans consunti che lo fasciavano in tutti i punti giusti.
Mortificata dal fatto che stessi praticamente sbavando sul suo enorme pacco, distolsi lo sguardo, ma non prima che lui mi facesse l’occhiolino e sogghignasse.
Cercando di tenermi sul mio lato del bracciolo, sfruttai un piede per agganciare la borsa e tirarla in avanti – piegandomi in modi per i quali dovetti ringraziare le ore di yoga se ero riuscita ad arrivarci – per mettere finalmente le mani sul mio computer portatile e il cellulare e posarli sul mio tavolino. Quando disattivai la modalità aerea dal mio cellulare, quello squillò subito.
Volendo zittirne il suono, risposi.
«Non pensare di poter sgattaiolare via e vendere la proprietà di tuo zio senza che io lo venga a sapere.»
Il solo sentire la voce di Chad mi diede ancora più sui nervi. Dal momento che avevo bloccato il suo numero di cellulare, probabilmente mi stava chiamando dall’ufficio. Perché non poteva lasciarmi in pace?
«Non ho bisogno di sgattaiolare da nessuna parte. Ho intenzione di vendere la casa di mio zio. Ora lo sai.» Mantenni la voce bassa così da non disturbare nessuno.
«E tenerti il guadagno per te? Non esiste, dolcezza.»
«Non sono la tua dolcezza, Chad. Dubito di esserlo mai stata,» borbottai. Quando l’avevo scoperto a letto con la sua paralegale, avevo dovuto presumere che fosse stata lei la sua dolce metà.
«Tu sei mia moglie e questo mi dà diritto a metà di quell’eredità.»
Lanciai un’occhiata alla pioggia che scendeva fuori dalla finestra. Le mie emozioni erano come il cielo, scure e sul punto di scatenarsi. «Fai il curatore fallimentare da troppo tempo. Non siamo più sposati. Il che significa che non hai diritto a nulla.»
«Dice la donna che, dopo quattro anni, non è ancora diventata partner.»
Wow, quello era un colpo basso. Chad era stato eletto partner junior del suo studio dopo diciotto mesi e non mi aveva mai permesso di dimenticarlo. Lanciai un’occhita al signor Gran Figo e scoprii che mi stava guardando, osservandomi con un’intensità che mi fece agitare sul sedile. Era preoccupazione quella che aveva in volto? Dio, non avevo bisogno che mi sentisse litigare con quello stronzo del mio ex marito.
«Chad, sono seduta su un aereo e non posso parlare. Non abbiamo altro da dirci. Smettila di chiamarmi.»
Riagganciai e fissai il cellulare. Eravamo divorziati da quasi due anni e stava ancora cercando di infastidirmi. Si era trattato di un matrimonio stupido e ne pagavo ancora le conseguenze.
La respirazione yoga non mi avrebbe tranquillizzata dopo quella conversazione, per cui dovetti distogliere i pensieri. Lavoro. Il lavoro avrebbe potuto farmi concentrare su qualcosa che non fosse il mio ex stronzo, bugiardo e traditore che mi aveva pugnalata alle spalle.
Aprii le direttive che stavo scrivendo e mi misi al lavoro, mentre il signor Gran Figo leggeva il suo libro. Dopo un paio di minuti, nell’angolo in basso dello schermo mi apparve una finestra di messaggistica istantanea.
Elaine: Ho visto il tuo nome comparire. Sei già arrivata?
Io: Bloccata su un volo di coincidenza a Denver che non decolla. Tempesta.
Elaine: Caspita.
Ci fu un minuto di pausa, poi scrisse di nuovo.
Elain: Ricordati della tua missione principale! Trovati un cowboy sexy e fai del sesso selvaggio!
Spalancai gli occhi di fronte al messaggio all’angolo dello schermo del mio pc.
Lanciando uno sguardo in direzione del signor Gran Figo, non sembrava che avesse notato l’appunto osé della mia amica. Il font era piccolo e, per quanto i sedili fossero vicini, dovevo sperare che fosse estremamente miope. E concentrato sul suo libro.
Io: Perdita di tempo. Ho troppo lavoro da sbrigare.
Elaine: Le ultime parole famose di una donna che ha disperatamente bisogno di un orgasmo. Chad era uno stronzo col cazzo minuscolo. Hai bisogno di trovare un uomo che ti dia una bella scossa.
Elaine non aveva peli sulla lingua ed era questo che adoravo di lei. Non addolciva la pillola. Ciò che aveva detto dell’uccello del mio ex probabilmente era vero. Sfortunatamente ero stata solo con lui, per cui non avevo molti altri cazzi a cui paragonarlo, ma di certo lui non sapeva come usarlo. Per quanto riguardava il farmi dare una scossa, be’, dubitavo che sarebbe successo presto. Ero troppo impegnata. Lavoro, esercizio, altro lavoro. Ogni tanto dormivo. Come Chad era stato tanto gentile nel farmi notare, non ero diventata partner. Non ancora. Se volevo farlo, dovevo darmi da fare.
Io: Il sesso non mi farà ottenere quella collaborazione.
Elaine: Hai le priorità sballate, donna, se pensi di non poter avere entrambe le cose. Pensi che il signor Farber non se la faccia con nessuno?
Non ero sicura se avrei dovuto ridere o vomitare. Il mio capo era sulla sessantina e decisamente poco attraente. Nonchè un bastardo misogino.
Io: Divertente.
Elain: Un’avventura di una notte. Non ti sto dicendo di sposartelo, solo di scopartelo. Poi trovatene un altro e scopati anche lui.
Sospirai, cercndo di capire come avrei potuto trovarmi un uomo da scopare. Non ero esattamente una modella con la mia bassa statura e le curve abbondanti. E le avventure di una notte non erano esattamente il mio stile. Come si faceva una cosa del genere? Dovevo semplicemente avvicinare un uomo al bar e dirgli che volevo fare sesso? Bere e comportarmi da stupida fino a quando lui non avesse fatto una mossa, andare a casa sua e sgattaiolare fuori non appena avessimo finito? Tutto quello mi metteva a disagio. Il pensiero di passare da castigata divorziata stacanovista che era andata a letto con un uomo solo nella sua vita a sexy seduttrice nelle lande selvagge del Montana non mi sembrava affatto plausibile.
Io: Va bene. Il primo uomo che vedrò non appena scenderò da questo aereo, gli chiederò semplicemente di scoparmi. Dovrebbe funzionare, giusto?
Avrei potuto giurare di aver sentito il signor Gran Figo borbottare, ma quando gli lanciai un’occhiata, stava ancora leggendo.
Elaine: Con me ha funzionato. Sul serio, però, trovati un gran bel cowboy figo del Montana e buttati.
Il signor Gran Figo non si era mosso ed io sospirai tra me. Quella conversazione non era un qualcosa che avrebbe dovuto vedere.
Il mio cellulare squillò.
Io: Devo andare. Il signor Farber mi sta messaggiando.
Elaine: Sa messaggiare? LOL.
Io roteai gli occhi e chiusi la finestra di messaggistica. Prendendo il cellulare, lessi l’sms del mio capo.
Farber: Ho sentito dire che la data del caso Marsden è stata spostata a martedì. In tua assenza, se ne occuperà Roberts.
«Cazzo,» sussurrai, la mano che stringeva la custodia del telefono fino a far sbiancare le nocche.
Fissai quelle parole e mi venne voglia di lanciare il cellulare dall’altra parte dell’aereo. Eric Roberts era in competizione con me per il posto di partner ed era un completo stronzo. A parte avere una laurea in legge, aveva un Master in Leccaculaggine e un dottorato nel fregare casi. Ero via da metà giornata e lui si stava già prendendo il mio caso più grande. Potevo solamente immaginare cosa sarebbe riuscito ad ottenere in tutta la settimana in cui sarei stata via.
Di solito, avrei sorriso educatamente e mi sarei morsa la lingua. Ma non quel giorno. Borbottai qualcosa tra me, mentre rispondevo al messaggio del signor Farber con la gentile raccomandazione di mandarci Martinez, piuttosto. Martinez, se non altro, pensava con qualcos’altro a parte l’uccello. Roberts si era fatto strada per tutto il dipartimento paralegale a suon di scopate e adesso era passato alla receptionist nell’ufficio ortopedico al quarto piano. «Roberts. Che stronzo. Pensi di rovinarmi.»
«Parli sempre da sola?»
Voltai la testa e sollevai lo sguardo sul signor Gran Figo.
«Chiedo scusa?» domandai, confusa. Il mio cervello stava ancora processando come la mia carriera stesse finendo nel cesso ad una velocità impressionante.
«Mi chiedevo solamente se parlassi sempre così tanto da sola.»
La realtà mi crollò nuovamente addosso, arrossii violentemente, dopodiché distolsi lo sguardo, vedendo l’assistente di volo farsi strada lungo il corridoio.
«Oh, um. Solamente quando sono stressata.» Risi amaramente. «Il che vuol dire sì. Parlo sempre da sola.»
Lui aggrottò la fronte, poi lanciò un’occhiata al mio computer. «Lavoro stressante?»
L’assistente di volo venne nella nostra fila. «Dal momento che siamo bloccati qui, i drink li offriamo noi, gente. Birra, vino, alcolico?»
«Alcolico,» dicemmo io e il signor Gran Figo nello stesso momento. Ci guardammo e sorridemmo.
«Ditemi pure cosa prendete, allora,» rispose l’assistente di volo, carta e penna alla mano, guardando me.
«Vodka tonic,» dissi. «Me lo faccia doppio.»
«Lo stesso,» replicò il signor Gran Figo.
Quando l’hostess si spostò alla fila successiva, lui tornò a voltarsi verso di me. «Sembri aver bisogno di quel drink.»
«O di dieci,» borbottai.
«È così tragica?» mi chiese.
«Affogare i problemi nell’alcol è l’unica cosa che mi resta da fare, a questo punto. Da quando mi trovo su questo aereo ho ricevuto una chiamata dal mio ex, una chat con una collega e un sms dal mio capo. Oltre a tutto questo, non riuscirò mai ad arrivare al mio appuntamento nel Montana in tempo.» Agitai una mano in direzione del finestrino dell’aereo e dell’acqua che vi colava sopra. «Non posso tornare a New York e, dopo mesi di duro lavoro, stanno cedendo il mio caso ad uno str-» Mi morsi un labbro. «Ad un collega perchè io sono bloccata qui.»
Lo sguardo scuro del signor Gran Figo era fisso su di me. Come un laser. Era come se non fosse stato in grado di sentire la tempesta che imperversava fuori o il bambino urlante due file dietro di noi o la conversazione della coppia davanti. Stava ascoltando solamente me, e quell’attenzione mi scaldava tutta. Dovetti stringere una mano a pungo lungo il fianco per impedirmi di scoprire quanto fossero morbidi i suoi capelli sotto le mie dita.
«Essere bloccati non è poi così male,» mi disse.
Inarcai un sopracciglio, il mio sguardo che cadeva sulle sue labbra mentre parlava. Vi indugiai perchè sembrava non riuscissi a ricordarmi che era da maleducati fissare. «Oh?»
«Mmm,» mormorò lui. «Essere bloccato con una donna bellissima? È il sogno di ogni uomo. Non sono fortunato?»