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Involontarie seduzioni

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Blurb

La congiura dell’anziano duca Athesdel per detronizzare l’imperatore è fallita. Lui è stato giustiziato, suo figlio Kalel è stato costretto a rinnegarlo e a rinunciare a terre e titoli. Il Concilio non è riuscito a provare il coinvolgimento dei Torsenth, una famiglia della nobiltà minore, ma ha deciso di punirli ugualmente, promettendo la loro primogenita a Kalel e forzando lui ad accettare una sposa socialmente inferiore. Dopo il matrimonio quel che resta della famiglia Athesdel è esiliato nell’unica proprietà sopravvissuta alla confisca: Briendad. Qua, nella tranquillità e nella solitudine di un palazzo ammaccato dal tempo, Kalel e Ona impareranno a conoscersi e scopriranno che non tutto è perduto. Nel cercare conforto in tutte le sfumature della passione costruiranno qualcosa che nessuno dei due si aspettava...

-

"«Mi... dispiace» mormorò lui.

Ona lo tirò verso di sé. Chiuse le cosce e gli circondò la vita con le braccia, tenendoselo sopra.

«Kalel?» chiamò.

«Sì?».

Si rese conto che aveva appoggiato la testa accanto alla sua, sul cuscino. Ora riusciva a sentire il suo corpo contro al proprio. Il suo torace e le sue braccia. La sua carne soda e le sue ossa.

«Non è così che sei abituato, è vero?» gli chiese.

Lui restò in silenzio per qualche istante. «No. Mi dispiace, non... dammi qualche minuto, va bene?».

Ona osò accarezzargli i capelli. Vedendo che non scacciava la sua mano, continuò ad accarezzarlo.

«No, dai tu qualche minuto a me. Non dev’essere per forza sgradevole».

«Mi dispiace» ripeté lui.

Lei non gli rispose. «Posso baciarti?» gli chiese.

Sentì il rumore silenzioso di una risata. «Naturalmente».

Gli baciò una guancia e il mento. Si rivoltò in modo da essere lei quella sopra di lui. Le piaceva stringerlo. Le piaceva la consistenza del suo corpo.

Trovò i bottoni del suo pigiama e iniziò a slacciarli. Sapeva che non indossava più i pantaloni, perché sentiva le sue gambe nude sfiorarle le gambe, ma voleva accarezzargli e baciargli anche il torace.

Ora, per qualche motivo, non aveva più paura, forse perché sapeva che poteva essere anche gradevole, molto gradevole. Stesa su di lui, le sembrava di avere la situazione sotto controllo e si sentiva in grado di renderlo appagante. Non voleva che Kalel ricordasse quell’esperienza come un disastro. Non voleva ricordarla come un disastro neppure lei."

CONTIENE SCENE ESPLICITE - CONSIGLIATO A UN PUBBLICO ADULTO

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1.-1
1. Il portale aveva una luminosità translucida che lo rendeva gradevole a vedersi. Ona pensò che fosse l’ultimo scherzo del destino: andare verso la rovina e l’infelicità attraverso una membrana dalla bellezza cangiante. Si voltò per un’ultima volta in direzione della sua famiglia, che era ferma in piedi qualche passo dietro di lei. Sua madre, con le mani strette sotto al seno e i tratti del viso irrigiditi dalla pietà. Suo padre, con le grandi spalle curve e lo sguardo pieno di compassione. Sua sorella minore, con la spalla che quasi si appoggiava a quella della madre, agghiacciata e insieme sollevata che quella sorte non toccasse a lei. E poi l’inviato delle Casate, che la fissava con sguardo duro e privo di comprensione. «È l’ora, vostra signoria» le disse. Come se non lo sapessi, pensò Ona. Distolse gli occhi dalla propria famiglia e tornò a guardare il portale, scintillante e translucido, bello e luminoso come se la volesse portare verso la felicità e la un futuro radioso. Ona pensò che avrebbero dovuto esserci portali grigi e brutti per i viaggi sfortunati come il suo. Iniziò ad avanzare, sapendo di non poter rimandare oltre. Il Concilio delle Grandi Case aveva ordinato che Ona andasse in sposa a Lord Kalel Athsdel, l’erede di una casata dell’antica nobiltà, di rango molto superiore a quello dei Torsenth. Mentre entrava nel portale Ona considerò per l’ennesima volta la squisita crudeltà di quella decisione. Estaugh Athesdel, l’Ultimo Duca, era stato giustiziato per aver osato congiurare contro l’imperatore, la sua famiglia era stata spogliata del titolo e del ducato. Il suo primogenito era stato obbligato a disconoscerlo e ad accettare in sposa Ona, la primogenita di una casa minore. Un matrimonio che avrebbe portato l’umiliazione sugli Athesdel... e praticamente nessun vantaggio economico. In quanto ai Torsenth, la loro partecipazione alla congiura non era stata provata, così il Concilio aveva trovato un altro modo per punirli: promettere la loro primogenita a una Grande Casa in rovina, innalzandoli e distruggendoli nello stesso tempo. Ona prese un lungo respiro e attraversò il portale. Sentì il vago senso di vertigine che ti coglieva sempre passando dentro uno snodo spaziale e lo compensò espirando lentamente. Di fronte a sé vide la superficie cangiante dello specchio d’uscita del portale e, un istante dopo, lo superò. Si trovò in una tipica sala di passaggio, ampia e priva di mobili. I soffitti, tuttavia, erano alti e arcuati, la tappezzeria ricca ed elaborata, il pavimento di lucido legno di cedro. Su un lato della sala stavano i bauli con le sue cose e Mila, la sua cameriera personale. Davanti a lei, un altro inviato delle casate e Lord Kalel stesso. Ona non si aspettava che fosse lì, così in un primo momento non riuscì a rivolgergli il saluto previsto dall’etichetta. Si limitò a guardarlo, frastornata. L’ex-duca era un uomo alto e sottile, con la pelle e i capelli scuri, il naso affilato e aquilino, gli occhi tra il verde e il grigio. C’era qualcosa di virile e distaccato, in lui, e Ona capì che era peggio di quanto avesse previsto: se Lord Kalel fosse stato un rampollo sgraziato e senza attrattive come ve n’erano tanti tra le Grandi Case avrebbe potuto quanto meno apprezzare le qualità estetiche di Ona. Ma quello che aveva davanti era chiaramente un cacciatore, la bellezza di Ona l’avrebbe lasciato indifferente. Dato che ormai non era riuscita a rispettare l’etichetta, la giovane Torsenth decise di prendersi ancora un istante per analizzare il suo futuro sposo. Portava dei pantaloni neri e degli stivali al ginocchio, un giustacuore grigio, una camicia bianca con poche trine sul collo e una lunga giacca grigia. Dato che era stato costretto a rinnegare suo padre non poteva portare ufficialmente il lutto, ma il colore dei suoi vestiti suggeriva che lo stesse portando in modo non-ufficiale. Mentre Ona lo esaminava i suoi occhi grigio-verdastri non si erano mossi dal viso di lei, come se il suo aspetto non gli interessasse minimamente. Ona si piegò nell’inchino formale riservato ai lord, molto meno elaborato di quello per la nobiltà maggiore, per poi rialzare la testa e fare un paio di passi avanti. Lord Kalel le porse il braccio e Ona posò la mano nell’incavo del gomito dell’altro come prevedeva l’etichetta. «Spero che la traversata sia stata priva di inconvenienti, Lady Ona» disse Kalel. Aveva un timbro di voce profondo e parlava in tono basso ed educato. «Sì, vi ringrazio» rispose lei. «Vi do il benvenuto a Cadanad, per questi ultimi giorni prima della partenza». Mentre parlava, la accompagnava lungo un corridoio, verso un diverso salone. Scorgendo la fugace immagine oltre una finestra, Ona si rese conto che il palazzo doveva essere immenso. L’inviato del consiglio li seguiva a qualche passo di distanza, ma Lord Kalel stava fingendo che non esistesse – almeno quella villania gli era consentita. «Fenalet, il maggiordomo, si occuperà delle vostre cose. Vi consiglio di non disfare troppe casse... partiremo tra tre giorni. Il salone principale, per quel che conta» aggiunse, fermandosi un attimo per permetterle di ammirare lo sfarzo e la grandiosità della sala in cui erano appena entrati. Ona si guardò appena intorno, per tornare subito al viso dell’ex-duca. «Mi dispiace molto per la vostra perdita» disse. Per un istante lo sguardo dell’altro si indurì. «Nessuna perdita» disse. Ona capì di aver commesso un errore. L’inviato del consiglio era ancora dietro di loro, silenzioso, ma con le orecchie senz’altro ben tese. Ona lasciò che dalle proprie labbra uscisse una risata vacua e indicò il salone con un cenno. «Non definite dover abbandonare tutto questo una perdita? Be’, dovete essere un uomo disinteressato ai beni materiali... questo vi fa onore». Negli occhi dell’altro passò un lampo di comprensione. «Sono solo oggetti» mormorò, riprendendo a guidarla verso le sue stanze. Attraversarono il salone e salirono un’ampia scalinata, che li condusse fino al primo piano. Qui Lord Kalel fece un piccolo cenno al maggiordomo, Fenalet, che bloccò l’inviato del consiglio piazzandosi in mezzo al corridoio. Ona lo sentì dire, dietro di loro: «Sono spiacente, signore, ma qua cominciano le stanze private di sua signoria... solo la famiglia può entrare». L’inviato protestò debolmente, ma dovette piegarsi all’etichetta. «Lercio avvoltoio» mormorò Lord Kalel, mentre la guidava oltre due serie di porte. Lasciò andare il suo braccio. «Queste saranno le vostre stanze, Lady Ona. Be’, per questi tre giorni. Sarei felice se questa sera vorrete cenare con me e mia sorella Vera». Si guardò attornò, accigliato. «È come vivere in un tempio vuoto. Paradossalmente credo che a Briendad sarà meglio». «La tenuta è meno vasta, lì?» chiese Ona. Lord Kalel le rivolse uno sguardo ironico. «Oh, sì. Decisamente meno vasta, vedrete. Vivremo...» sembrò cercare le parole migliori «...non in ristrettezze, ma di certo non come sono stato abituato. Fortunatamente la confisca non ha toccato il mio patrimonio personale, tuttavia...». Sospirò lievemente. «Immagino che quella bella impressione di disinteresse per i beni materiali sia ormai perduta». Ona scosse appena la testa. «Non preoccupatevi. Mi dispiace aver fatto... quell’osservazione. Mi è stato detto che la cerimonia si terrà domattina?». Il suo futuro sposo annuì. «Alle undici, in forma privata. Ovviamente il nostro amico sarà lì, ad accertarsi che nessuno dei due finga un malore». Ona non commentò. Se aveva un minomo dubbio riguardo ai sentimenti dell’ex-duca riguardo al matrimonio, ora aveva la certezza che detestava l’idea quanto lei, probabilmente più di lei. «Mi dispiace, non intendevo essere cinico» fraintese il suo silenzio lui. Ona scosse la testa. «Potete essere cinico finché volete. Forse renderà meno amara la punizione». «Sì, la punizione» mormorò lui, ripetendo le sue ultime parole. +++ Lady Vera era una donna dalla bellezza selvaggia, con la carnagione scura e gli occhi color smeraldo, le labbra carnose e i lineamenti affilati del fratello. Il suo destino era solo leggermente meno sfortunato di quello di Lord Kalel: sarebbe rimasta sola. Nessuno avrebbe mai chiesto la sua mano e lei sarebbe rimasta nella casa fraterna fino alla morte o si sarebbe consacrata a un ordine religioso minore. Quella sera Ona le rivolse l’inchino cerimoniale dovuto alla nobiltà maggiore, visto che l’inviato del concilio non era stato invitato a sedere alla loro tavola. La cena fu servita in una piccola sala privata, da un solo valletto e dal maggiordomo. «Siete graziosa» le disse Lady Vera, rispondendo all’inchino con un cenno del capo. Ona si rialzò. «Vi ringrazio». Lord Kalel aspettò che entrambe avessero preso posto prima di sedersi a sua volta. Sembrava lontano, perso nei suoi pensieri. «Dunque, che cosa ve ne sembra del palazzo?» continuò Vera, mentre venivano serviti gli antipasti. «È molto bello» rispose prudentemente Ona. «Già. È un peccato doverlo lasciare. D’altronde... è così desolato, ora». «Immagino che abbiate dovuto lasciar andare anche molti membri della servitù». Lady Vera fece una smorfia. «La maggior parte. Cinque aiuti-cuoco e un cuoco, un numero incalcolabile di valletti e cameriere, molti stallieri e vetturini, tutti i giardinieri, le concubine di mio fratello e, ovviamente, quelle di mio padre, la sarta personale mia e di mia madre, il vice-amministratore, cinque buffoni... ah, non ricordo neanche più». Lord Kalel sbuffò lievemente. «Avremmo potuto lasciare andare anche la tua istitutrice, Vera: non ti ha insegnato che lamentarsi davanti agli ospiti è maleducazione?». L’altra rise sottovoce. «Ospiti? Mi dispiace ricordartelo, ma Lady Ona sta per diventare la tua signora». «Sono piuttosto sicuro che sia maleducato lamentarsi anche davanti alla propria cognata» disse lui, senza tradire nulla di quanto pensava. «Non vi scusate, è comprensibile» intervenne Ona. Quindi erano state licenziate anche le concubine, pensò. Non sapeva se fosse un bene o un male... probabilmente un male. Suo padre era sempre stato contrario a quell’usanza delle Grandi Case, che giudicava immorale e decadente, ma per Ona avere qualche “concorrente” sarebbe stato un sollievo. O forse no, non poteva esserne sicura. Di certo era sicura che Lady Vera aveva voluto farle sapere che suo fratello aveva delle necessità, necessità che normalmente non sarebbe stato considerato educato nominare con una futura sposa. «Ho dei ricordi molto gradevoli di Briendad» continuò l’ex-duca, accantonando il discorso. «Sono anni che non ci andiamo» rimbeccò sua sorella. «Sarà in uno stato terribile... e non sono sicura che ci siano rimaste le risorse per rimodernarla come converrebbe». «Vera...» Nella voce di Lord Kalel era comparsa una nota di ammonimento. «Ops, lo sto facendo di nuovo, vero? Ma non penso che sia giusto nascondere alla tua futura moglie i problemi della nostra famiglia, non credi?». «Sono sicuro che ne è già perfettamente informata» replicò lui, senza perdere la calma. Vera si voltò verso di lei e le rivolse un sorriso rapace. «Davvero, Lady Ona? O forse per le vostre abitudini non è così grave?». Era una velenosa frecciata al rango inferiore della sua famiglia, ma Ona se l’era aspettato. Sorrise a sua volta. «Temo che sappiate ben poco delle mie abitudini, Lady Vera. È comprensibile, giacché non ci conosciamo. Una di queste, comunque, è non preoccuparmi di ciò che ancora deve succedere, perché anche le cose migliori possono venir rovinate da uno scherzo del destino, così come le peggiori possono rivelarsi meno terribili di quanto si pensava in precedenza». «Ah, un’ottimista!» rise Vera. «Non mi è sembrato» commentò l’ex-duca, con un sorriso distratto. «Mi è solo sembrato che la tua lingua impertinente abbia trovato un ostacolo imprevisto, sorellina. Il che, pensandoci, conferma la tesi di Lady Ona». Fu servita la portata principale e per un po’ tutti mangiarono in silenzio. Ona si chiese se Vera la detestasse già o se fosse solo il modo in cui si comportava normalmente con gli sconosciuti. D’altronde, nonostante ciò che aveva appena detto, non si aspettava molte piacevolezze dal futuro. A dire il vero, non se ne aspettava nessuna. +++ Quando le voci della congiura erano arrivate fino alla famiglia Torsenth il duca Athesdel era già stato arrestato ed era in attesa di processo. O meglio, questo era stato quando quelle notizie erano arrivate a Ona. Suo padre ne sapeva molto di più e da molto più tempo, come Ona aveva capito in seguito. Ona comprendeva che l’idea di detronizzare il vecchio Zheerkin fosse seducente e comprendeva ancora di più che la nobiltà temesse il momento in cui il delfino, Ydar, sarebbe salito al trono. Tutto si era giocato in qualche mese, senza che Ona ne sapesse nulla. Dopo l’arresto del duca, invece, era stato reso noto ogni dettaglio. Su come il duca fosse tenuto confinato in una cella, tormentato giornalmente dal giovane Ydar, e su come avesse confessato. Su come Kalel non avesse avuto altra scelta che rinnegarlo, per salvare sua madre, sua sorella e se stesso. Il tormento del processo e quello dell’esecuzione. Il disonore e la sconfitta. E gli Zheerkin che si ergevano di nuovo, il loro sangue degenerato che riprendeva vigore nonostante tutto. E ora... ora lei era legata alla famiglia sconfitta, che lo volesse o meno. La cerimonia si svolse in forma privata come previsto nel piccolo tempio di famiglia. Gli Athesdel erano tradizionalmente devoti a Samar, il dio delle battaglie, ma la loro unione venne consacrata a Yma, dea della fecondità, come da consuetudini. L’ex-duchessa mandò un messaggio di felicitazioni, scusandosi perché le sue condizioni di salute non le avevano permesso di lasciare le sue stanze. Ona sapeva che la madre di Lord Kalel era ancora in vita e che non si era più fatta vedere in pubblico da quando suo marito era stato condannato. Non aveva presenziato neppure all’esecuzione, cosa di cui Ona non si sentiva di biasimarla.

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