Mi accarezza i capelli. Ad alzarmi non ce la faccio, comunque. Mi accarezza i capelli dolcemente, mentre mi bacia il collo.
«Shh-sh. Rilassati. Non ti farò male. Fidati di me. Non ho pagato per ferire un’americana, ma per farla godere. Shh».
Non ci capisco nulla. I termini del nostro accordo sono chiari, ma il significato è diverso per ognuno di noi.
Mi accarezza la schiena, lentamente. Giù fino al sedere. Dita come ragnetti, che mi solleticano tutta. Mi guida la testa tra il suo collo e il suo petto.
«Chiudi gli occhi».
Chiudo gli occhi e sento il suo odore. Il calore della sua pelle.
Dio, là sotto è ancora duro.
Le sue carezze sul sedere. È così intimo, questo momento. È così straniante, con uno sconosciuto. Mi tocca ovunque. Cavoli, mi tocca davvero ovunque, neanche fosse... me. Ecco, mi tocca come potrei toccarmi io.
Tra le natiche e più in giù. Sulle labbra nude del sesso. Che cavolo ho fatto, eh? In che cavolo di situazione mi sono... cacciata? Mentre lo penso, lui infila una mano tra i nostri corpi. Mi tocca sulla passera, non ci sono altre parole per definirlo. Non è arrivato lì per sbaglio. E poi... oh, Dio. Dio, ha iniziato a titillarmi il clitoride. Mi fa sobbalzare, è una sensazione forte e sgradevole. Mi bacia il collo. Continua ancora.
È come se la mia fica emettesse un sospiro e iniziasse a godere. È stranissimo, ma succede quasi subito. Lui, Rashid, mi tocca là sotto e io comincio a essere bagnata. Poi davvero bagnata. Poi emetto un gemito, perché non so che altro fare.
Alzo la testa e gli bacio il mento.
«Ah, ora lo vuoi» ride lui.
Deglutisco. Prendo aria. Ne ho così voglia, ora. Ne ho così-così voglia. Sto impazzendo dal desiderio e non so nemmeno quando abbia iniziato a succedere.
Mi rivolta di nuovo, adesso mi è sopra. I suoi fianchi finiscono di aprirmi le cosce, la sua mano guida qualcosa tra le mie gambe, AU!
Au! È successo. Singhiozzo di dolore, non so che cosa fare. L’ho capito solo un secondo troppo tardi. Dopo che me l’aveva già spinto dentro, dopo che c’era già stato quello strappo.
Mi sta fermo dentro, ora. Io singhiozzo e inizio a sentirlo davvero. Questo oggetto grosso, largo, lungo. Dentro di me. Davvero dentro, niente scherzi. Mi sembra che arrivi fino al centro del mio essere.
Torna a baciarmi la bocca. Ho la faccia invasa di lacrime. Preme l’inguine sul mio e là sotto vado a fuoco.
«B-brucia...» riesco ad articolare.
« Deve bruciare».
Inizia a muoversi. È come se mi muovesse dentro una sbarra ardente. La mia fica fa resistenza. Poi mi schiaccia di nuovo il pube sul pube e sento una fitta di piacere. Poi un’altra.
Rovescio la testa e inizio a gemere. Il godimento è troppo forte, perché mi è arrivato addosso così all’improvviso?
Mi dibatto sotto di lui, provo a cercarlo con l’inguine, apro meglio le cosce. Vengo presa da una frenesia sconosciuta.
Lo sento dire qualcosa in un’altra lingua, un’esclamazione stupita.
Si alza su di me. Esce quasi del tutto e mi sprofonda di nuovo dentro. É come se stesse scavando un tunnel. Grido e mi contraggo attorno a lui. Non sapevo nemmeno di poterlo fare, non così.
Rashid accelera e io raggiungo l’orgasmo. Grido di piacere, trafitta e stupita. È così che può essere? Così intenso, così animale?
Mi abbandono ai miei sensi. Mi muovo lascivamente sotto di lui, cercandolo. Gli lecco il collo, il mento, gli mordo il pizzetto.
L’orgasmo si spegne lentamente e non mi accorgo nemmeno che anche lui ha raggiunto il piacere. L’ho visto cambiare espressione, l’ho sentito emettere dei suoni, ma non ci ho fatto caso.
Ora lui si scosta piano. Si adagia su un fianco.
Mi volto per guardare la cosa che era al mio interno fino a un secondo fa. È sgonfio, lucido, brutto. È tutto sporco di sangue, come un pesce appena sgozzato.
Mi spavento e guardo me stessa. Non riesco a capire bene, i miei peli e la mia pelle sono bagnati, ma non vedo segno di sangue. Mi rilasso un po’. Giusto, è dentro. È lo strappo del mio defunto imene. Contraggo i muscoli e sento che all’interno sono indolenzita.
«Vado in bagno» dice Rashid. «Mettiti a letto».
Vedo la sua schiena dai muscoli definiti che si allontana, il suo sedere piccolo e tondo, le sue lunghe gambe. Che altro dovrei fare, comunque? Non ho nemmeno la forza di alzarmi.
Striscio sotto il piumino.
+++
Quando Rashid rientrò Polly era rannicchiata su un fianco. Si sentiva assonnata. Lo seguì con lo sguardo mentre si strofinava i capelli con un asciugamano, lo mollava su un tavolino e si lasciava cadere in poltrona.
«Solo un secondo» le disse.
Lo vide prendere il cellulare, far scorrere il pollice sullo schermo, portarselo all’orecchio. Pochi istanti più tardi, i suoni aspri e raschianti della sua lingua madre. Nessuna particolare espressione sul suo viso angoloso, nessun gesto rivelatore con le mani.
Chiuse la chiamata e tornò a guardarla.
«Il tuo bonifico è partito» le disse.
A Polly sembrava di avere della schiuma bianca al posto del cervello, faticava a pensare. Le cose erano andate come sperava, ma in modo diverso dal previsto. Anche se poi le sue previsioni non erano un granché, ora se ne rendeva conto.
Rashid si alzò dalla poltrona. Indolente. Splendido nella sua nudità. Polly ebbe un’intuizione improvvisa: era il genere di uomo che richiede adorazione indiscussa. Che non si aspetta altro e non tollera altro.
Si sedette sul letto accanto a lei e le fece scorrere un dito lungo il naso.
«Tutto è in vendita, in questo paese. Che vertigine. Eppure sei stata sincera, mh?».
«Non so che cosa intendi» sospirò lei.
«Già, forse neanch’io. Ho pagato tutta la notte, vuoi andare via?».
Polly sbatté le palpebre. «Quello per cui hai pagato l’hai già consumato». Si alzò su un gomito, stanca, gli occhi gonfi. «Ma posso restare finché vuoi».
Lui le rivolse un sorriso divertito. «Ah, ecco l’incomprensione culturale. Per te la verginità è un pezzettino di carne, per me è... mmm... quell’espressione stupita sulla faccia quando lo stai prendendo. Quanto dura? Bah, non molto. Forse è già svanita, chi lo sa. Possiamo controllare».
Polly non era sicura che fosse una grande idea. Là sotto era dolorante e probabilmente farlo di nuovo le avrebbe fatto male. Ma non voleva che ci fossero recriminazioni e Rashid, lì, aveva speso moltissimi soldi, per quel momento. Polly comprendeva il valore della sofferenza, quando aveva uno scopo.
«Okay» disse. Gli rivolse un sorriso non del tutto convinto. «Certo, come preferisci tu».
Rashid sembrò trovare buffa la sua docilità, forse percependo che era falsa.
«Calcolatrice e spontanea. Bene. Qualcosa di nuovo. Vieni qua».
Scostò il piumino e Polly si sentì acutamente esposta, vulnerabile. Lui la rivoltò sulla schiena e la osservò senza pudore. «Voltati» le disse.
Polly rotolò su se stessa. Stava giusto iniziando a pensare che a pancia in giù era meglio, quando lui la prese per i fianchi e le fece sollevare il sedere, facendole mettere in mostra... tutto. Come quei cani che camminano con la coda all’insù e ti costringono a guardare il loro buco del culo e le loro palle ballonzolanti. La vergogna fu tale che emise un urletto.
Rashid le morse una natica.
«Visto? Questa è una vergine. In una donna mussulmana è una condizione che dura... non so. Non molto, non illudiamoci. In nessuna delle mie mogli è durata più di un paio di settimane. Ma in un’occidentale non l’avevo ancora vista».
«S-sei sposato?».
Lui le mostrò tre dita. «E neppure con una sola donna».
Polly sgranò gli occhi. Rise. «Hai tre mogli?».
« Mashallah» rispose lui, stringendosi nelle spalle.
«Che cosa vuol dire?».
«“Così ha voluto Dio”».
Polly stava per ripeterlo, ma si rese conto che sarebbe stato fuori luogo. Rashid, lì, in certi momenti sembrava un occidentale, ma era meglio non stuzzicarlo in tema religioso, ne era sicura.
«Uhm, e ora che sono in questa posizione imbarazzante...»
Lui le accarezzò le natiche e la sua mano scivolò lungo la fessura, fino al sesso. Polly arrossì di nuovo, ma non cercò di allontanarsi.
«Ora che sei in questa posizione imbarazzante...» sorrise lui, e le infilò un dito dentro. Lì dentro. Bruciava. Polly deglutì forte, aspettando l’evolversi degli eventi.
«Quell’espressione» disse lui. Senza spostare il dito, le accarezzò il clitoride con il pollice della stessa mano. «E sei ancora giovane, godi subito. Guarda».
La titillò più forte e Polly si rese conto che aveva ragione. La eccitava tutto, dal suo sguardo alla posizione sconcia che le aveva fatto assumere, a quello che le stava facendo.
La toccò anche sul buchetto posteriore e lei, prima di accorgersene, sospirò: «No, ti prego».
«Un’altra volta, magari?» rispose lui, con un sorriso di vaga derisione. «Non vuoi venderti pezzo a pezzo? Telefonami, quando vuoi sentirlo anche dietro. Una ragazza come te... quanto può volerci? Qualche mese?».
L’espressione di Polly si indurì. Che razza di cafone sputava in quel modo nel piatto in cui mangiava? Ma cambiò idea quasi subito, perché in fondo erano i cafoni come lui che l’avrebbero resa ricca.
«Qualche minuto, se è quello che vuoi. Pagando».
«Ma certo... pagando» sorrise lui. «Sei pronta a farlo subito, mh? Ma non sarebbe divertente. Bisogna che prima tu abbia imparato a prenderlo in tutti i modi nella fica. Oggi ti lascio andare».
Polly sbuffò. «Mi lasci andare?».
«Tra un attimo. Vieni qua. Sai usare bocca?».
Polly annuì.
Continuando a toccarla, Rashid le avvicinò alle labbra la propria erezione. Ora che glielo metteva davanti al naso, Polly si stupì di nuovo delle sue dimensioni e della sua forma. L’asta non era proprio cilindrica, ma sembrava sagomata attorno ai corpi cavernosi, dando l’impressione di essere muscolosa, con il glande un po’ separato e il frenulo teso. Bisognava ammettere che era il pene più bello che avesse mai visto, anche paragonato ai peni degli attori professionisti dei filmati che Polly aveva consumato negli ultimi mesi. Non era la prima volta che vedeva un’asta come la sua, ma di certo non ne aveva mai vista una dal vivo e non era comune.
Prese dolcemente in bocca la punta e la succhiò. Rashid rise, segno che la sua tecnica era perfezionabile.
Glielo portò via e le spinse dentro più forte il dito, facendola gemere.
«Più saliva, tesoro. Più amore, mh? Lo vedo che ti piace, dimostraglielo».
Era un commento un po’ offensivo, ma Polly, ancora una volta, decise di soprassedere. Fece come voleva lui. Si riempì la bocca di saliva... ma così rischiava di sbavarsi e... ci arrivò subito dopo. Rashid voleva che si sbavasse.
Lo accontentò in tutto. Lo succhiò piano, si sbavò, lo succhiò più forte...
Lui rise ancora. «Che disastro, signorina. Per tua fortuna è quella la cosa arrapante. Ora vieni sopra di me. Qua».
La fece sedere a cavallo sulle sue cosce, il busto vicino al suo, le tette davanti alla sua bocca. Ne approfittò per succhiarle i capezzoli. Per leccarle.
Di nuovo, a Polly sfuggì un urletto di sorpresa.
Non le lasciò il tempo di abituarsi. La sollevò per le natiche e le guidò dentro l’uccello dal basso, un’altra cosa che Polly non aveva previsto. Emise un gemito oltraggiato, ma anche...
Be’, era una sensazione complessa, ammise, sgranando gli occhi. Le bruciava, la riempiva solo in parte, le... piaceva. Sì, le piaceva. Chiuse gli occhi e sospirò.
«Così non... non entra... tutto...»
«Dovresti ringraziare. In questa posizione se entrasse tutto ti farebbe gridare di dolore. Stringi».
Polly fece come le diceva. Si contrasse attorno a lui e il piacere... il piacere fu così forte da farla ansimare.
«Brava. Ancora».
Lo fece ancora. E poi ancora. Rashid le succhiò piano i capezzoli e giocherellò con il suo buchino posteriore con la punta delle dita. Era fastidioso, ma anche... così arrapante.
Frustrata, Polly provò a muoversi su e giù. Ansimando, gemendo, cercando attivamente di prenderne un pochino di più.
«Mmm... sì» fece Rashid. Le impastò le tette con una mano e iniziò a spingere dal basso.
Polly lanciò un urletto. Era così eccitante, stare lì con lui, a contatto con lui, stretta tra le sue braccia, con quella cosa che le entrava dentro dal basso, dandole sempre più piacere.
Gli baciò la fronte, si strinse a lui.
Voleva dirgli quanto le piaceva, ma non trovò le parole.
Rashid insistette finché lei non venne, poi si prese ancora qualche minuto per sé, per soddisfare se stesso, invece di quella puttanella ancora acerba. Lei sopportò il disagio, persino una punta di dolore.
La lasciò andare prima di averne fatto una completa zoccola.