I.

3158 Words
I.“Dovevano essere passate da poco le tre del pomeriggio quando accadde – il pomeriggio del 3 giugno 1916. Sembra incredibile che tutto quello che ho passato – tutte quelle esperienze strane e terrificanti – sia racchiuso in un arco di tempo così breve come tre mesi. Mi sembra di aver vissuto un ciclo cosmico, con tutti i suoi mutamenti ed evoluzioni se penso a ciò che ho visto con i miei occhi in questo intervallo di tempo – cose che nessun altro occhio mortale aveva visto prima, scorci di un mondo passato, un mondo sparito, un mondo morto da così tanto tempo che non ne rimane traccia neppure nel più basso strato Cambriano. Fuso con la crosta interna incandescente, è passato per sempre al di là della conoscenza umana, salvo che in quell’angolo sperduto della Terra dove il fato mi ha condotto e dove il mio destino è segnato. Sono qui e qui devo rimanere”. Dopo aver letto fino a questo punto, il mio interesse, che era già stato stimolato dal ritrovamento del manoscritto, si avvicinava al punto di ebollizione. Ero venuto in Groenlandia per l’estate, su consiglio del mio medico, e mi stavo annoiando a morte, poiché avevo scioccamente trascurato di portare con me letture a sufficienza. Visto che come pescatore ero scarso, il mio entusiasmo per questa forma di sport era svanito presto; tuttavia, in assenza di altre forme di svago, stavo rischiando la pelle in una barca assolutamente inadeguata al largo di Capo Farewell, all’estremità sud della Groenlandia. Groenlandia! Come descrizione, è un triste scherzo1 – ma la mia storia non ha niente a che fare con la Groenlandia, niente a che fare con me; quindi esaurirò l’uno e l’altro argomento il più rapidamente possibile. L’inadeguata imbarcazione arrivò finalmente a un approdo precario, mentre gli indigeni, immersi fino alla vita nelle onde, mi aiutavano. Fui portato a terra, e mentre veniva preparato il pasto serale, andavo avanti e indietro lungo la riva rocciosa e frantumata. Frammenti di sabbia trascinata dalle onde fendevano il granito consumato, o qualunque fosse la sostanza di cui sono composte le rocce di Cape Farewell, e mentre seguivo il flusso della marea lungo uno di questi tratti morbidi, vidi la cosa. Se uno si imbattesse in una tigre del Bengala nel burrone dietro i Bagni di Bimini, non potrebbe essere più sorpreso di quanto lo sia stato io nel vedere un thermos in perfetto stato girare su se stesso tra le onde di Cape Farewell, all’estremità meridionale della Groenlandia. L’ho recuperato, ma ero bagnato fino alle ginocchia; poi mi sono seduto sulla sabbia e l’ho aperto, e nella luce allungata del crepuscolo ho letto il manoscritto, ben scritto e ben piegato, che ne costituiva il contenuto. Avete letto il paragrafo iniziale, e se siete degli idioti fantasiosi come me, vorrete leggere il resto; quindi ve lo offrirò qui, omettendo le virgolette, che sono difficili da ricordare. Tra due minuti mi dimenticherete. Abito a Santa Monica. Sono, o ero, il socio giovane dell’azienda di mio padre. Siamo costruttori di navi. Negli ultimi anni ci siamo specializzati in sottomarini, che abbiamo costruito per Germania, Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Conosco un sottomarino come una madre conosce il volto del suo bambino, e ne ho comandato una ventina durante le prove. Eppure le mie inclinazioni erano tutte verso l’aviazione. Mi sono diplomato con Curtiss, e dopo aver a lungo assediato mio padre ho ottenuto il permesso di entrare nella Squadriglia Lafayette. Per cominciare ottenni una nomina nel servizio di ambulanza americano e stavo andando in Francia quando tre fischi stridenti cambiarono, in altrettanti secondi, tutti i miei progetti di vita. Ero seduto sul ponte con alcuni dei ragazzi che sarebbero entrati anche loro nel servizio di ambulanza americano, il mio cane Airedale, Crown Prince Nobbler, dormiva ai miei piedi, quando il primo fischio infranse la pace e la tranquillità della nave. Da quando eravamo entrati nella zona degli U-Boot, eravamo sempre stati all’erta alla ricerca di periscopi, e sembravamo bambini che si lamentano del destino crudele che ci avrebbe portato al sicuro in Francia l’indomani, senza aver avvistato i temibili predoni. Eravamo giovani; avevamo voglia di emozioni, e Dio sa se le abbiamo avute quel giorno; tuttavia, in confronto a quelle che ho vissuto poi, quelle erano banali come uno spettacolo di Punch e Judy. Non dimenticherò mai le facce ceree dei passeggeri che si affrettavano a prendere i loro salvagenti, anche se non c’era da temere. Nobs si alzò con un basso ringhio. Anch’io mi alzai e, oltre il fianco della nave, vidi a non più di duecento metri il periscopio di un sottomarino, mentre si vedeva chiaramente la scia di un siluro che correva verso di noi. Eravamo a bordo di una nave americana che, naturalmente, non era armata. Eravamo completamente indifesi; eppure, senza preavviso, ci stavano attaccando. Rimasi rigido, incantato, a guardare la scia bianca del siluro. Ci colpì sul lato di dritta, quasi al centro della nave. La nave oscillò come se il mare fosse stato sconvolto dall’eruzione di un vulcano. Cademmo sul ponte, contusi e storditi, e poi sopra la nave, portando con sé frammenti di acciaio e legno e corpi umani smembrati, si alzò in aria una colonna d’acqua di centinaia di metri. Il silenzio che seguì la detonazione del siluro fu quasi altrettanto orribile. Durò forse due secondi, per essere seguito dalle urla e dai gemiti dei feriti, dalle imprecazioni degli uomini e dai rauchi comandi degli ufficiali della nave. Erano splendidi, loro e il loro equipaggio. Mai prima d’ora ero stato così orgoglioso del mio paese come in quel momento. In tutto il caos che seguì il siluramento nessun ufficiale o membro dell’equipaggio perse la testa o mostrò il minimo segno di panico o paura. Mentre cercavamo di calare le scialuppe, il sottomarino emerse e puntò le armi su di noi. L’ufficiale al comando ci ordinò di ammainare la bandiera, ma il capitano del transatlantico si rifiutò di farlo. La nave stava sbandando paurosamente a dritta, rendendo le barche di sinistra inutilizzabili, mentre metà delle barche di destra erano state demolite dall’esplosione. Nonostante i passeggeri si affollassero sul parapetto di destra e si arrampicassero sulle poche barche rimaste, il sottomarino cominciò a bombardare la nave. Ho visto una granata scoppiare in mezzo a un gruppo di donne e bambini, e a quel punto ho girato la testa e mi sono coperto gli occhi. Quando guardai di nuovo all’orrore si aggiunse il dispiacere, perché ora che era emerso riconoscevo l’U-Boot come un prodotto dei nostri cantieri. Lo conoscevo alla perfezione. Avevo supervisionato la sua costruzione. Mi ero seduto in quella stessa torre di comando e avevo diretto l’equipaggio, quando per la prima volta la sua prua aveva solcato le assolate acque estive del Pacifico; e ora questa creatura uscita dal mio cervello e dalla mia mano era diventata come Frankenstein, deciso a inseguirmi fino alla morte. Una seconda granata esplose sul ponte. Una delle scialuppe, spaventosamente sovraffollata, oscillò pericolosamente sui suoi ganci. Un frammento della granata frantumò il paranco di prua, e vidi le donne e i bambini e gli uomini vomitati nel mare sottostante, mentre la barca penzolò per un momento a poppa dall’unico gancio rimasto, e alla fine con uno slancio precipitò in mezzo alle vittime che urlavano e si dibattevano nelle acque. Poi vidi uomini saltare oltre il parapetto e gettarsi nell’oceano. Il ponte si inclinava a un angolo impossibile. Nobs si tenne forte con tutte e quattro le zampe per evitare di scivolare negli ombrinali e mi guardò con un lamento interrogativo. Mi chinai e gli accarezzai la testa. «Vieni, ragazzo!», gridai, e correndo verso il lato della nave, mi tuffai a capofitto oltre il parapetto. Quando risalii, la prima cosa che vidi fu Nobs che nuotava disorientato a pochi metri da me. Alla mia vista le sue orecchie si appiattirono e le sue labbra si aprirono in un caratteristico sorriso. Il sottomarino si stava ritirando verso nord, ma continuava incessantemente a bombardare le barche al largo, tre delle quali erano cariche di sopravvissuti. Fortunatamente le piccole imbarcazioni rappresentavano un bersaglio piuttosto difficile, il che, combinato con la cattiva mira dei tedeschi, salvò i loro occupanti; e dopo pochi minuti una macchia di fumo apparve all’orizzonte orientale e l’U-Boot si immerse e scomparve. Le scialuppe si erano allontanate dal transatlantico che affondava, e ora, anche se urlavo a squarciagola, o non sentivano le mie richieste di aiuto o non osavano tornare a soccorrermi. Nobs e io avevamo guadagnato una piccola distanza dalla nave quando questa si rovesciò completamente e affondò. Fummo catturati dal risucchio abbastanza da essere trascinati all’indietro per qualche metro, ma non finimmo sott’acqua. Mi guardai rapidamente intorno in cerca di qualcosa a cui aggrapparmi. I miei occhi erano rivolti verso il punto in cui il transatlantico era scomparso, quando dalle profondità dell’oceano giunse il riverbero ovattato di un’esplosione, e quasi contemporaneamente un geyser d’acqua in cui c’erano scialuppe di salvataggio in frantumi, corpi umani, vapore, carbone, petrolio e i rottami del ponte di un transatlantico volò sopra la superficie del mare: una colonna acquosa che segnava per un momento la tomba di un’altra nave nel più grande cimitero dei mari. Quando le acque turbolente in qualche modo si placarono e il mare smise di vomitare relitti, mi avventurai a nuoto alla ricerca di qualcosa di abbastanza solido da sostenere il mio peso e quello di Nobs. Avevo superato in scioltezza l’area del relitto, quando, non più di una mezza dozzina di metri davanti a me, una scialuppa venne sputata dall’oceano per quasi tutta la sua lunghezza e si abbatté sulla chiglia con un potente tonfo. Doveva essere stata trasportata molto in fondo, trattenuta alla nave madre da una corda che alla fine si era spezzata per l’enorme sforzo. In nessun altro modo posso spiegare il suo salto, una circostanza benefica alla quale devo senza dubbio la mia vita e un’altra molto più cara della mia. Dico circostanza benefica anche di fronte al fatto che ci aspettava un destino molto più orribile di quello a cui eravamo appena scampati; perché grazie a quella circostanza ho incontrato colei che altrimenti non avrei mai conosciuto; l’ho incontrata e amata. Almeno ho avuto questa grande felicità nella vita; né Caspak, con tutti i suoi orrori, può cancellare ciò che è stato. Così, per la millesima volta, ringrazio lo strano destino che ha fatto risalire quella scialuppa di salvataggio dalla fossa verde di distruzione in cui era stata trascinata, l’ha mandata molto più in alto della superficie, svuotandosi d’acqua mentre saliva sopra le onde, e l’ha lasciata cadere sulla superficie del mare, galleggiante e sicura. Non mi ci volle molto per arrampicarmi sulla fiancata e trascinare Nobs in una relativa sicurezza, e poi guardai intorno il panorama di morte e desolazione che ci circondava. Il mare era disseminato di relitti tra i quali galleggiavano forme pietose di donne e bambini, sostenuti da inutili salvagenti. Alcuni erano straziati e maciullati; altri seguivano tranquillamente il movimento del mare, i loro volti composti e pacifici; altri erano bloccati in orribili espressioni di agonia o di orrore. Accanto alla barca galleggiava la figura di una ragazza. Il suo viso era rivolto verso l’alto, tenuto al di sopra della superficie dal suo salvagente, ed era incorniciato da una massa fluttuante di capelli scuri e ondeggianti. Era molto bella. Non avevo mai visto dei lineamenti così perfetti, una figura così divina che era allo stesso tempo umana, intensamente umana. Era un volto pieno di carattere, forza e femminilità – il volto di chi è stato creato per amare ed essere amato. Le guance erano rosse del colore della vita, della salute e della vitalità, eppure lei giaceva lì nel grembo del mare, morta. Sentii qualcosa salirmi in gola mentre guardavo quella visione radiosa, e giurai che avrei vissuto per vendicare il suo assassinio. E poi lasciai cadere i miei occhi ancora una volta sullo specchio d’acqua, e quello che vidi quasi mi fece ricadere nel mare, perché gli occhi nel volto morto si erano aperti; le labbra si erano aperte; e una mano era sollevata verso di me in un muto appello di soccorso. Era viva! Non era morta! Mi chinai sul lato della barca e la trassi rapidamente verso la relativa sicurezza che Dio mi aveva dato. Le tolsi il salvagente e con il mio cappotto fradicio le feci un cuscino per la testa. Le massaggiai le mani, le braccia e i piedi. Continuai per un’ora, e alla fine fui ricompensato da un profondo sospiro, e di nuovo quei grandi occhi si aprirono e guardarono nei miei. A quel punto ero un imbarazzo. Non sono mai stato un donnaiolo; a Leland-Stanford ero lo zimbello della classe a causa della mia imbecillità senza speranza in presenza di una bella ragazza; comunque stavo simpatico agli uomini. Quando aprì gli occhi le stavo strofinando una mano, e la lasciai cadere come se fosse un chiodo arroventato. Quegli occhi mi scrutarono lentamente dalla testa ai piedi; poi vagarono lentamente verso l’orizzonte segnato dall’alzarsi e dall’abbassarsi dei bordi della scialuppa. Guardarono Nobs e si ammorbidirono, poi tornarono a me pieni di domande. «Io...», balbettai, allontanandomi e inciampando sul banco di voga. La visione sorrise malinconicamente. «Già!», rispose debolmente, e di nuovo le sue labbra si abbassarono, e le sue lunghe ciglia sfiorarono la consistenza soda e chiara della sua pelle. «Spero che vi sentiate meglio», riuscii finalmente a dire. «Sapete», disse dopo un momento di silenzio, «sono stata sveglia per molto tempo! Ma non osavo aprire gli occhi. Credevo di essere morta e avevo timore di guardare, per paura di vedere solo il nero intorno a me. Ho paura di morire! Ditemi cosa è successo dopo che la nave è affondata. Ricordo tutto quello che è successo prima – oh, ma vorrei poterlo dimenticare!» Un singhiozzo le spezzò la voce. «Quelle bestie!», continuò dopo un momento. «E pensare che avrei dovuto sposare uno di loro, un tenente della marina tedesca». Poi riprese come se non avesse mai smesso di parlare. «Andavo sempre più a fondo. Pensavo che non avrei mai smesso di affondare. Non sentivo nessuna angoscia particolare fino a quando improvvisamente ho cominciato a salire a velocità sempre maggiore; allora i miei polmoni sembravano sul punto di scoppiare, e devo aver perso conoscenza, perché non ricordo altro fino a quando non ho aperto gli occhi dopo aver ascoltato un torrente di invettive contro la Germania e i tedeschi. Ditemi, per favore, cosa è successo dopo che la nave è affondata». Le raccontai allora, meglio che potei, tutto quel che avevo visto: il sottomarino che bombardava le barche e tutto il resto. Lei giudicò meraviglioso che fossimo stati risparmiati in modo così provvidenziale, e io avevo un bel discorso sulla punta della lingua, ma mi mancò il coraggio di pronunciarlo. Nobs si era avvicinato e le aveva messo il muso in grembo, e lei gli accarezzava quel brutto muso, e alla fine si chinò e gli appoggiò la guancia sulla fronte. Ho sempre ammirato Nobs; ma era la prima volta che mi capitava di desiderare di essere Nobs. Mi chiedevo come l’avrebbe presa, visto che non è abituato alle donne come me. Ma l’ha presa come un’anatra prende l’acqua. Quello che mi manca per essere un dongiovanni, Nobs lo compensa certamente. Il vecchio mascalzone non ha fatto altro che chiudere gli occhi e assumere una delle più riuscite espressioni “dolce come lo zucchero” che abbiate mai visto, e stava lì a prendersi le coccole e a chiederne ancora. Lo invidiavo. «Sembra che vi piacciano i cani», dissi. «Sono affezionata a questo cane», rispose lei. Non so se intendesse qualcosa di personale in quella risposta; ma la presi come personale e mi fece molto piacere. Mentre andavamo alla deriva su quella vasta distesa di solitudine, non è strano che facessimo conoscenza. Scrutavamo costantemente l’orizzonte in cerca di segni di fumo, azzardando ipotesi sulle nostre possibilità di salvataggio; ma le tenebre calarono, e la notte nera ci avvolse senza mai vedere un segnale di salvezza. Avevamo sete, fame e freddo. I nostri indumenti bagnati si erano asciugati poco e sapevo che la ragazza rischiava molto in una notte fredda e umida sull’acqua, senza vestiti adeguati e senza cibo. Mettendo le mani a coppa ero riuscito a tirare fuori tutta l’acqua dalla barca, finendo con l’asciugare il resto con il mio fazzoletto – una procedura lenta e faticosa; così avevo creato un posto relativamente asciutto sul fondo della barca perché la ragazza potesse sdraiarsi, un punto dove i lati l’avrebbero protetta dal vento della notte, e quando finalmente lo fece, quasi sopraffatta com’era dalla debolezza e dalla fatica, le gettai addosso il mio cappotto bagnato per contrastare il gelo. Ma non servì a nulla; mentre ero seduto a guardarla, con la luce della luna che lambiva le curve aggraziate del suo giovane corpo snello, la vidi tremare. «C’è qualcosa che posso fare?», chiesi. «Non potete stare lì al freddo tutta la notte. Cosa si può fare?» Scosse la testa. «Dobbiamo sorridere e sopportare», rispose dopo un momento. Nobbler si avvicinò e si sdraiò sull’argano accanto a me, la sua schiena contro la mia gamba, e io rimasi seduto a fissare la ragazza con stupida sofferenza, sapendo nel profondo del mio cuore che poteva morire prima che arrivasse il mattino, perché tra lo shock e il freddo, ne aveva già passate abbastanza da uccidere qualsiasi donna. E mentre la guardavo, così piccola, delicata e indifesa, nel mio petto nacque lentamente una nuova emozione. Non c’era mai stata prima; ora non cesserà mai di esserci. Mi sentivo quasi frenetico dal desiderio di trovare un modo per mantenere calda la fredda linfa vitale nelle sue vene. Anch’io avevo freddo, anche se l’avevo quasi dimenticato fino a quando Nobbler non si mosse e sentii di nuovo freddo lungo la gamba contro cui si era appoggiato, e improvvisamente mi resi conto che in quell’unico punto ero stato caldo. Come un’illuminazione capii come riscaldare la ragazza. Immediatamente mi inginocchiai accanto a lei per mettere in pratica il mio piano, quando improvvisamente fui sopraffatto dall’imbarazzo. Lo avrebbe permesso, anche se avessi trovato il coraggio di suggerirlo? Poi vidi il suo corpo convulso, tremante, i suoi muscoli che reagivano al rapido abbassamento della temperatura, e gettando al vento la pruderie, mi gettai accanto a lei e la presi tra le braccia, stringendo il suo corpo al mio. Si allontanò improvvisamente, emettendo un piccolo grido di paura, e cercò di spingermi via da lei. «Perdonatemi», riuscii a balbettare. «È l'unico modo. Morirete di freddo altrimenti, e Nobs e io siamo gli unici mezzi che possano fornire calore». E la tenni stretta mentre chiamavo Nobs e lo feci sdraiare alle sue spalle. La ragazza smise di dimenarsi quando capì il mio proposito; ma emise due o tre piccoli rantoli, e poi cominciò a piangere dolcemente, nascondendo il viso sul mio braccio, e così si addormentò. 1 In inglese Greenland, Terra Verde (NdT)
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