11. Fu lui a venire a Parigi, una sera che non me l’aspettavo. Dopo Praga ci eravamo mandati dei messaggi, ogni tanto. Okay, abbastanza spesso. Insomma, più o meno tutti i giorni. Messaggi stupidi in cui non ci dicevamo niente, ma che servivano a continuare un dialogo che nessuno dei due voleva interrompere. E poi, all’improvviso, all’inizio di giugno Zoran mi scrisse: “Sono a Parigi”. In un certo senso avrei preferito che non venisse. Che non si avvicinasse così tanto alla mia vita di tutti i giorni, alla mia quotidianità. Ma che l’avesse fatto mi faceva battere il cuore in un modo che non credevo più possibile. Gli diedi appuntamento vicino a Place du Tertre, non troppo lontano da casa mia. Quando arrivai lo trovai che si stava facendo fare un ritratto da uno dei numerosi artisti ch