Lo scassinatore dilettante

1904 Words
Lo scassinatore dilettante L'ufficio di Gilderheim, Pascoe e Company, commercianti di diamanti, a Little Hatton Garden, non presentava nulla di strano all'agente di ronda che esaminò il lucchetto e controllò la porta, come aveva già fatto mille volte. Era la notte del 27 maggio 1911. L'ufficio era stato occupato dal signor Gilderheim e dal suo capo contabile fino alle nove di sera. Il poliziotto in borghese, che era lì con il compito di indagare su ogni fatto ritenuto insolito, aveva visto la luce alla finestra e aveva pensato che fosse meglio intervenire: così era salito per scoprire come mai. Il 27 maggio, come tutti i sabati, gli impiegati e i proprietari degli uffici di Hatton Garden chiudono gli uffici alle tre del pomeriggio, non oltre. Il signor Gilderheim, un gentiluomo molto simpatico, sentendo bussare alla porta, era andato ad aprire con una pistola in tasca. Solo per prudenza. Si era sentito molto sollevato, è logico, quando aveva visto che il rischio paventato si era risolto in una simpatica chiacchierata con un poliziotto che conosceva bene. All'agente aveva spiegato che, proprio quel giorno, era arrivata una partita di gioielli da una ditta di Amsterdam e che bisognava classificare delle pietre prima di chiudere l'ufficio per la notte. Il poliziotto aveva fatto qualche commento spiritoso sulle tentazioni che dei diamanti del valore di sessantamila sterline potevano offrire agli insonni senza scrupoli e poi se n'era andato. Alle nove e quaranta in punto il signor Gilderheim chiuse i gioielli nella sua grossa cassaforte, davanti alla quale era sempre accesa, giorno e notte, una luce, e, accompagnato dal suo impiegato, lasciò il numero 93 di Little Hatton Garden, incamminandosi verso Holborn. L'agente di guardia augurò loro la buonanotte e l'ufficiale in borghese, che si trovava all'estremità del quartiere, scambiò un paio di parole con il signor Gilderheim. «Questa notte siete di turno?» chiese Gilderheim mentre il suo impiegato chiamava un taxi. «Certo, signore» rispose l'ufficiale. «Benissimo!» disse il commerciante di diamanti. «Sono felice che ci siate voi a dare un occhiata. Non mi piace l'idea di lasciare un simile malloppo in cassaforte. L'ufficiale sorrise. «Non preoccupatevi, signore» rispose e, dopo aver visto il signor Gilderheim partire con il suo taxi si incamminò verso il numero 93. Ma nel poco tempo trascorso dalla partenza del commerciante al ritorno del detective, capitarono molte cose. Il signor Gilderheim aveva appena raggiunto il detective quando due uomini comparvero dalla direzione opposta, camminando in fretta. Uno di loro svoltò al numero 93 senza esitare, aprì la porta con una chiave ed entrò. Il secondo uomo lo seguì. Non c'era alcun fare sospettoso nei loro movimenti e i due non sembravano per niente furtivi: avrebbero potuto essere benissimo inquilini dello stabile, visto il loro modo familiare di comportarsi. Mezzo minuto dopo che il secondo uomo era entrato nel palazzo, ne arrivo un terzo dalla stessa direzione, svoltò nel palazzo, aprì la porta con la stessa calma e sicurezza degli altri due, ed entrò. Tre minuti dopo, due dei tre uomini salirono le scale. Con straordinaria velocità uno di loro prese due piccole bottiglie di ferro dalla tasca e sistemò i tubi di gomma e il beccuccio della sua lampada mentre il secondo sparse sul pavimento una serie di attrezzi molto piccoli e ben lavorati. Nessuno dei due apriva bocca. Erano entrambi sdraiati davanti alla cassaforte e non fecero alcun tentativo per spegnere la luce davanti al forziere. Lavorarono in silenzio per un po' di tempo, poi il più grosso dei due, guardando un grosso specchio appeso in un angolo del soffitto che permetteva di vedere la parte superiore della cassaforte a chi passava per la strada, chiese: «Immagino che nemmeno questi specchi ci tradiranno». Il secondo ladro era un giovanotto magro con dei capelli così in piedi da farlo assomigliare a un musicista. Scosse la testa: «a meno che tutte le regole dell'ottica siano state stravolte per questa volta», disse con una leggera inflessione straniera, «è impossibile che ci possano vedere». «Meno male» esclamò il primo. Poi si mise a fischiettare e a canticchiare un motivetto mentre avvicinava il bagliore sibilante della fiamma ossidrica verso la cassaforte d'acciaio. Cominciò con determinazione a bruciare il lucchetto. Non aveva dubbi, ci sarebbe riuscito, perché la cassaforte era un tipo oramai superato. I due non si parlarono più per una trentina di minuti. L'uomo con la fiamma ossidrica proseguì il suo lavoro mentre l'altro lo guardava con silenzioso interesse, pronto a entrare in gioco al momento opportuno. Dopo una trentina di minuti il più anziano dei due si asciugò con il dorso della mano la fronte bagnata di sudore perché il calore emanato dalla porta in acciaio, resa incandescente dalla fiamma, era insopportabile. «Perché hai fatto tutto quel chiasso chiudendo il portone d'entrata, Calli?», chiese. «Di solito non sei così imprudente». L'altro abbassò lo sguardo verso il compagno con un'espressione di tranquillo sbalordimento. «Non ho fatto nessun rumore, mio caro George» replicò. «Se ti fossi trovato nel corridoio non avresti sentito niente. Infatti ho chiuso la porta, come l'ho aperta, senza il minimo scatto». L'uomo sudato sdraiato sul pavimento sorrise. «Sarebbe stato difficile fare rumore». disse. «E perché?» chiese l'altro. «Semplicemente perché io non ho chiuso il portone e tu mi hai seguito». Qualcosa nel silenzio che seguì le sue parole gli fece alzare lo sguardo. C'era un'espressione turbata sul viso del compagno. «Ho aperto la porta con la mia chiave» precisò il più giovane con una voce lenta. «Hai aperto...» L'uomo che si chiamava George aggrottò la fronte. «Io non capisco, Callidino. Ho lasciato la porta aperta e tu mi hai seguito subito. Ho salito le scale con te sempre dietro». Callidino guardò l'altro scuotendo la testa. «Ho aperto con la mia chiave» insistette calmo. «Se è salito qualcuno dopo di te... beh, George, allora sarà meglio accertarsi chi è». «Che cosa vuoi dire...?» «Voglio dire» concluse il piccolo italiano, «che sarebbe molto imbarazzante se ci fosse una terza persona ad assistere a questo avvenimento». «E perché?». Entrambi si voltarono sorpresi, perché chi aveva fatto la domanda non tradiva nella voce la minima emozione. Era la voce del terzo uomo che, dalla soglia, guardava la scena senza pericolo di essere riflesso dallo specchio nell'angolo del soffitto. Indossava un abito da sera e portava un leggero impermeabile sul braccio. Non c'era modo di capire che tipo di uomo fosse e quale aspetto avesse perché il suo viso era coperto da una maschera nera, dal mento fino alla fronte. «Vi prego di non muovervi» disse «e di non considerare come una minaccia la pistola che ho in pugno. È solo autodifesa e ammetterete che, viste le circostanze e, conoscendo l'estrema delicatezza della mia posizione, sono del tutto giustificato a prendere questa precauzione». George Wallis ridacchiò piano. «Signore,» obiettò senza muoversi «voi sarete anche un uomo molto simpatico ma lo saprò con maggior sicurezza quando mi direte che cosa volete». «Imparare» disse lo sconosciuto. Guardò i due con malcelata curiosità. Gli occhi che brillavano dietro la maschera erano vivi e attenti. «Continuate pure il vostro lavoro, ve ne prego» fece. «Non vi voglio interrompere». George Wallis riprese la fiamma ossidrica e si voltò di nuovo verso la cassaforte. Era un uomo molto deciso e non aveva ancora fronteggiato una situazione che lo facesse sentire in difficoltà. «Sapete, rappresentante della legge o dell'ordine, non farebbe alcuna differenza» precisò, «se io mi fermo o se vado avanti, decido di proseguire. Infatti, se non siete un rappresentante delle due supreme categorie sociali che ho appena citato, posso sempre salvare la metà del bottino dividendolo con voi». «Potete tenervelo tutto» ribatté l'uomo con una voce tagliente. «Non mi interessa una parte del bottino della vostra rapina, voglio solo imparare il mestiere, solo questo». «Imparerete» disse George Wallis, che era un ladro molto famoso, «dalle mani di un esperto, ve lo assicuro». «Lo so», rispose l'altro con calma. Wallis continuò a lavorare senza essere apparentemente turbato da questa clamorosa interruzione. Le mani del piccolo italiano si muovevano un po' nervosamente e questo poteva diventare un problema ma la forza dell'altro uomo, che doveva essere il capo tra i due, e la sua sicurezza, avevano dato coraggio anche al compagno, pronto a superare qualsiasi situazione. Fu l'uomo con la maschera a rompere il silenzio. «Non è singolare», disse, «che esistano scuole professionali che insegnano ogni tipo di arte, di commercio e mestiere mentre non ce n'è nemmeno una che insegna l'arte della distruzione? Credetemi, vi sono molto grato di avere avuto la possibilità di essere qui, davanti a un maestro». Non aveva una brutta voce ma c'era una certa durezza nel suo tono che strideva con il tono allegro che aveva usato. L'uomo sdraiato sul pavimento continuò a lavorare ancora un po' e poi, senza voltarsi disse: «Sono ansioso di sapere come avete fatto a entrare». «Vi ho seguito molto da vicino,» rispose l'uomo mascherato. «Sapevo che sarebbe passato un po' di tempo tra voi due. Vedete» proseguì, «avete tenuto sott'occhio questo ufficio per una settimana; uno di voi è stato di guardia più o meno ogni notte. Avete affittato un piccolo ufficio in questa strada, più su, per poter osservare meglio questo palazzo. Ho capito che avevate scelto questa notte perché questa mattina avete portato il gas. Siete rimasti nel buio ingresso del palazzo che ospita il vostro ufficio, mentre uno di voi due osservava la finestra del signor Gilderheim per vedere quando si spegneva la luce. Dopo che Gilderheim se ne è andato, voi, signore» e si rivolse all'uomo sdraiato sul pavimento «siete uscito subito e il vostro compagno non vi ha seguito immediatamente. Si è fermato a raccogliere un pacco di lettere che qualcuno aveva lasciato cadere e poiché c'erano anche due piccoli pacchi come quelli che i commercianti di Hatton Garden inviano ai loro clienti, ho avuto il tempo di avvicinarmi a voi senza farmi vedere dal vostro amico». Callidino rise piano. «È vero,» disse con un cenno all'uomo sul pavimento. «È stato un trucco molto intelligente. Immagino che siete stato voi a lasciar cadere quel fascio di lettere?» L'uomo mascherato chinò la testa. «Vi prego di continuare» fece «non intendevo interrompervi. «Che cosa accadrà quando avrò finito?» chiese George guardando verso la cassaforte. «Per quello che mi riguarda nulla. Quando avrete finito il vostro lavoro avrò imparato ciò che mi serve e quindi me ne andrò». «Immagino vorrete la vostra parte». «Assolutamente no». rispose l'altro con calma. «Non voglio percentuali. Non ne ho diritto. La mia posizione sociale non mi permette di andare oltre la connivenza con il vostro fare criminale, il vostro crimine». «Truffa» lo corresse l'uomo sdraiato sul pavimento. «Truffa» accettò l'altro. Aspettò fino a quando il rumore della pesante porta di acciaio della cassaforte annunciò che era ora di infilare le mani al suo interno per prenderne il contenuto. Quindi, senza dire una parola, uscì dalla porta chiudendosela alle spalle. Gli altri due uomini si sedettero e restarono in ascolto. Non udirono altro che il leggero rumore del portone d'ingresso che si chiudeva. Il loro strano visitatore se n'era andato. Si scambiarono delle occhiate: uno interessato, l'altro divertito. «Un uomo particolare», disse Callidino. L'altro annuì. «Molto particolare» ribatté. «Ma la cosa più importante adesso è uscire da Hatton Garden con il bottino». E questo si verificò senza difficoltà perché nessuno li vide andare via. Il furto con scasso della cassaforte che conteneva i gioielli del signor Gilderheim divenne un argomento di conversazione per il Derby di Sunstar.
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