La luce che rischiarava il suolo fino a trenta piedi sotto la superficie dell’Oceano, mi sbalordì per la sua potenza. I raggi solari attraversavano agevolmente la massa d’acqua, e ne dissipavano la colorazione, tanto che a cento metri di distanza distinguevo nettamente gli oggetti. Più oltre il fondo si perdeva in lievi gradazioni d’oltremare, poi si faceva azzurrognolo in lontananza e spariva in una vaga oscurità. Davvero l’acqua che mi circondava non era che una specie d’aria, più densa dell’atmosfera terrestre, ma quasi ugualmente diafana. Sopra il mio capo vedevo la tranquilla superficie del mare. Camminavamo sopra una sabbia fina, unita, non rugosa, come quella delle spiagge, che serbano l’impronta delle onde. Quell’abbagliante tappeto, come un vero riflettore, rimandava i raggi del