Aprii gli occhi. Invece della capanna, ero coricata sul pavimento di una grande caverna, coperta con pellicce. L’aria del mattino era fredda sulla mia faccia. Ero rimasta fuori tutta la notte?
Ma al pensiero della notte precedente, ricordai tutto. Quella voce profonda che diceva il mio nome, la mano intorno la mia gola. Mi guardai intorno, verso la grande caverna e il nulla che si stagliava di fronte a me, e realizzai che l’incubo che pensavo di aver semplicemente fatto durante il sonno era invece la realtà.
La paura prese possesso di me mentre mi alzavo in piedi, pronta a scappare di nuovo verso la foresta. Ma il mio intento di fuggire ebbe vita breve, perché d’un tratto mi sentii tirare la gamba; quando guardai sotto di me, vidi la mia caviglia legata con una catena.
«No», sussurrai, le dita già sulla catena. «No, no, no!»
Il mio aggressore doveva avermi portata in questa caverna per incatenarmi come sua prigioniera. Un Luposarebbe stato in grado di staccarsi il piede a morsi per potersi liberare. Io, invece, non potevo fare altro se non restare seduta per terra a tremare.
Non mi ritrovai ad aspettare molto. Il mio rapitore riemerse dalla foresta, camminando silenziosamente a piedi nudi. Io mi alzai, afferrando la pelliccia che avevo addosso.
Alla luce del giorno la sua faccia era pericolosa quanto la notte precedente, definita e crudele, affilata come una lama, coperta di barba. Aveva addosso dei pantaloncini di pelle, ma i piedi e il petto erano nudi. A scivolare su ogni singolo centimetro del suo corpo—le sue braccia, le sue mani, persino i suoi piedi—c’erano tatuaggi blu, i segni di un’antica tribù lontana da Alba.
Il mio cuore prese a battere dolorosamente mentre lo guardavo avvicinarsi, ma l’unica cosa che fece fu portare la legna che teneva tra le braccia oltre me per formare un piccolo fuoco tra le rocce. Quando si alzò, pulendosi le mani, i suoi occhi incontrarono i miei ed io mi sentii come colpita da un pugno. Le mie mani si chiusero immediatamente, ma mi rifiutai di distogliere lo sguardo.
Alla fine si abbassò, prese un cestello e lo avvicinò a me, non troppo vicino da portare anche lui a me, ma vicino abbastanza per permettermi di prenderlo nonostante la catena.
«Devi avere sete», disse con un ringhio. «Bevi.»
Aspettai che lui si allontanasse prima di forzare i miei piedi a muoversi per fare ciò che mi aveva ordinato. L’acqua era fresca. Non sapeva di veleno, anche se, se il mio rapitore avesse voluto uccidermi, non si sarebbe preso la briga di fare così tante cose. Era fermo in piedi come un guerriero pronto alla guerra, la faccia priva di espressione e i muscoli tesi, come pronto a combattere. La forza nelle sue braccia piene di muscoli mi aveva portata via da casa mia. Quando deglutii l’acqua, mi resi conto che la sua presa sulla mia gola mi aveva fatto male.
«Chi sei?», tirai fuori. «Perché sono qui?»
«Mi chiamo Maddox.» La sua voce sembrava roca, come se non l’avesse usata da tantissime Lune. Invece di rispondere alla mia altra domanda, mi diede le spalle e si occupò di preparare il fuoco.
Bevvi un altro po’ d’acqua. Il mio riflesso sembrava spaventato, così mi premurai di controllare le mie espressioni facciali e bevvi lentamente, guardandomi intorno per trovare una via di fuga.
«Non provare a scappare», disse Maddox senza neanche guardarmi. «La foresta è piena di mostri.» Girò la testa abbastanza da potermi scoccare un piccolo sorriso, grande abbastanza da farmi vedere i suoi canini appuntiti. Mi sentii congelare il sangue. «O forse ho messo io questo pettegolezzo in giro, per tenere tutti lontani.»
Io mi alzai, sentendo il bisogno di farmi forza dalla mia altezza. «Se non vuoi visitatori, perché sono qui?»
Maddox si alzò e camminò verso di me a passo misurato. La mia testa continuò ad inclinarsi all’indietro man mano che si avvicinava.
«Tu non sei solo un’ospite.» Sifermò ad un braccio di distanza. Ben più alto di me e chiaramente più grosso, avrebbe potuto farmi fuori in due secondi. E di certo poteva reclamare potere su di me. Lo aveva già fatto. Ma invece di farmi prendere dalla paura, io sentii i muscoli tendersi e strinsi i denti, perché non avevo intenzione di farmi mettere i piedi in testa. Se mi voleva qui, avrebbe fatto bene ad abituarsi al mio disaccordo. Se non mi voleva qui, allora sarei morta.
«Che cosa sono, allora?»
«Un’amica.» Il suo sguardo scese sul mio petto, ed io mi strinsi di più dentro la pelliccia così da nascondere i miei seni. Di fronte a quel guerriero tatuato dagli occhi affamati, mi sentii rabbrividire.
Lui si avvicinò a me. Rabbrividii, ma lo lasciai spostarmi qualche ciocca dorata di capelli dal viso. La sua faccia sembrò rilassarsi immediatamente mentre giocava con i miei capelli.
«Amica?», presi in giro. «Ti capita spesso di incatenare i tuoi amici?»
La su testa s’inclinò di lato mentre prendeva in considerazione quella domanda. Così vicino odorava di fumo, di legno, e di uomo.
Incapace di restare ferma ancora, mi allontanai. Il rumore della mia catena sembrò farlo risvegliare.
Tolse la mano e si avvicinò di nuovo alla foresta, gettando la risposta alla mia domanda oltre la sua spalla.
«Sì.»
La notte era già calata quando Maddox fece ritorno. Avevo passato il resto della giornata al Sole, il più lontano possibile dal buio della caverna. La mia catena non mi permetteva di raggiungere il fuoco, ma nel guardarmi intorno avevo trovato una roccia da battere contro la catena, per provare a romperla. Quando si era fatto già mezzogiorno mi ero ritrovata ad essere troppo stanca, perché quando sbattere la roccia contro la catena si era rivelato inutile avevo provato a tirare la roccia che invece teneva la catena ferma con le mie mani, con così tanta forza che le mie unghie avevano cominciato a sanguinare.
Alla fine mi sedetti sulla roccia, forzandomi a prendere lunghi, profondi respiri. Ero prigioniera, ma il mio rapitore sembrava non avere cattive intenzioni con me. Mi parlava. Quindi forse sarei riuscita ad arrivare ad una sorta di accordo.
Con il resto dell’acqua rimasta nel cestello, mi tolsi il sangue dalle mani e rinfrescai il viso. Mi sistemai i capelli con le dita, e persi tutto il resto della giornata a farmi le trecce solo per poi disfarle. Non sarei entrata nel panico. Ero Sabine, considerata la ragazza più amabile del villaggio, e una curatrice dai poteri sempre più forti. Le mie erbe andavano bene per i nobili e anche per i plebei. Sarei riuscita a sopravvivere a tutto, anche a questo.
Ma quel pensiero non mi fermò dal sentire il mio cuore salirmi in gola quando vidi Maddox ritornare dalla foresta con la sua camminata silenziosa. Quella volta portava con sé un cervo enorme sulla spalla. Una bestia di quelle dimensioni sarebbe stata praticamente impossibile da portare per un uomo solo, ma Maddox camminava con essa addosso senza nessuno sforzo, diretto verso il fuoco.
Con la gola secca, guardai il guerriero tatuato sventrare il cadavere e poi cominciare a costruire uno spiedo. Il coltello lungo che aveva in mano recise senza problemi la carne. La violenza di quel gesto, oltre tutto il resto, mi fece stare male, e dovetti distogliere lo sguardo.
«Non avere paura, Sabine.» Io guardai di nuovo quando sentii la sua voce. «Non ti farò del male.»
La mia mano trovò la mia gola, ancora dolorante a causa della stretta delle sue dita. «Lo hai già fatto.»
«È stato necessario.»
Camminai fino a quando la catena me lo permise, sempre più vicina a lui, per provargli che non avevo paura. «Avresti potuto lasciarmi da sola.»
I suoi occhi dorati si posarono su di me tutto d’un tratto. «Ho bisogno di te.»
«Perché?»
«Perché ho bisogno di essere curato.»
Presi un profondo respiro. «Allora ti esaminerò.»
«Non sto male. Non ancora.» Tagliò un altro pezzo di carne con il coltello e me lo porse. «Hai fame?»
Ne avevo, ma non ero certa di riuscire ad ingoiare qualcosa. Le mie mani combatterono contro il bisogno di chiudersi a pugno al suo evitare le mie domande. «Perché semplicemente non mi lasci andare?»
Lui non rispose. Continuò invece a tagliare piccoli pezzi di carne, mettendoli dentro una ciotola. Alla fine si avvicinò a me, con un altro pezzo di carne. «Mangia, piccola strega. Hai bisogno di forze.»
L’odore della carne mi fece sentire ancora più affamata. E poi, aveva ragione. Avevo bisogno di carburante per poter scappare. Ma l’espressione vittoriosa nel suo viso quando presi la ciotola dalle sue mani mi fece venir voglia di sbattergliela in faccia. Mi diede la parte più pregiata della carne, e considerata la mia fame, mi sembrava il pasto migliore che avessi mai avuto in vita mia. Maddox mi fece un sorrisetto furbo, mentre mi guardava divorare il cibo.
«Buono?», gracchiò.
«Sì», mi accigliai. Se si aspettava che lo ringraziassi, allora sarebbe morto nell’attesa.
Forzandomi di mangiare più lentamente, presi piccoli sorsi dal cestello con l’acqua tra un morso e l’altro. La mia gola sembrava farsi meno dolorante. Per un attimo sperai quasi che ritornasse a fare male, così da ricordarmi di odiare il mio rapitore invece di sentirmi incuriosita da lui. Mi aveva stretto la gola, strozzandomi fino a quando avevo perso i sensi. Avrei dovuto avere paura di quel guerriero, ma la sua voce profonda e il suo modo chiaro di parlare me lo facevano sembrare più un leader, una persona molto civile nonostante il posto dove ci trovavamo, che una bestia.
Anche i suoi movimenti intorno al fuoco erano pieni di grazia, efficienti. Aveva posizionato più legna vicino, dove avrebbe potuto raggiungerla facilmente per darla in pasto al fuoco ed evitare che si spegnesse. Per un guerriero così brutale come sembrava, mi dava l’impressione di essere più intelligente della media, anche se la sua voce era bassa e gutturale, simile a quella di un animale selvaggio, quasi come se non la usasse spesso.
Mi sentii in pena per lui, ed immediatamente odiai me stessa per questo. Non era lui, la vittima. Ero io. «Che diavolo di uomo si costruisce una casa all’interno di una caverna, come un animale?»
Rabbrividii quando vidi la sua ombra farsi più vicina a me, ma lui non fece altro che afferrare il cestello con l’acqua. «Penso che tu lo sappia, Sabine.» Mi sentii tremare da capo a piedi quando lo sentii pronunciare il mio nome, non trovando ancora una volta il coraggio di chiedergli come lo sapesse.
«Un barbaro?»
«Un emarginato.»
Quando tornò con più acqua nel cestello, il mio stomaco pieno mi diede coraggio.
«Ci deve essere stato un errore. Non puoi davvero pensare di tenermi qui. Cosa posso darti?»
Lui mi studiò, come decidendo cosa sarebbe stato il caso di dirmi. «Tu sei un regalo di tuo.»
Strinsi la pelliccia ancora di più intorno a me. «Che cosa hai intenzione di farmi?»
«Tenerti al sicuro, al caldo, e darti da mangiare.»
«Incatenata», dissi, facendo muovere la catena.
«Per adesso.»
Non riuscii a rispondere. Se mi avesse tolto la catena, sarei riuscita a scappare. Mi chiesi quale tipo di comportamento avrebbe potuto indurlo a ridarmi la mia libertà. Maddox sorrise, quasi come conoscesse i miei pensieri.
«Quindi sono il tuo animaletto domestico», lo accusai.
Lui non rispose, continuò soltanto a mantenere quel sorriso freddo mentre preparava il fuoco. Mi immaginai a toglierglielo dalla faccia a suon di pugni mentre cercavo di trovare nella mia testa una domanda che potesse metterlo alle strette.
«Non capisco cosa sta succedendo. Non sono nient’altro che una normale ragazza del villaggio. Non ho nulla. Non sono niente.»
«Tu hai la magia.»
«Io non—»
«Non mentirmi.» Il suo sorriso svanì. «Non te lo permetto.»
«Non sto mentendo! Io coltivo erbe e preparo dei tonici che aiutano a curare le ferite. Che funzionino o meno dipende dalla Dea, non da me.»
«Non conosci il tuo stesso potere...»
«Hai commesso uno sbaglio.»
«Sarà il tempo a dircelo.» Chinandosi, afferrò la catena che mi teneva legata e la spinse verso di sé, alzando la roccia che la teneva come se fosse fatta di carta. Poi cominciò a camminare verso il fondo della caverna, dove tutto era buio.
«No!»Afferrai la catena e tirai, senza sortire nessun effetto. «Per favore. Per favore non farmi andare lì. Voglio restare nella luce.»
Ma, ignorando le mie preghiere, Maddox continuò a trascinarmi verso l’interno buio della caverna, per niente scalfito dai miei tentativi di evitare l’inevitabile. Alla fine mi ritrovai a sedere nell’oscurità, quasi vicina al permettere alle mie lacrime di uscire. Ecco cosa mi aveva portato a fare il mio rapitore. Mi aveva spostato di poco, più in fondo nella caverna, ma io avrei preferito restare fuori con la natura. Senza il Sole in faccia, sentivo le mie speranze di fuga svanire completamente.
«Non aver paura, piccola strega. Sei al sicuro, per adesso.» Disse, poi prese a camminare verso l’uscita.
«Aspetta!», mi alzai in piedi, la voce a rimbombare in quello spazio chiuso. «Stai andando via?» Il mio nemico era in quel momento l’amico più caro che potessi avere, nel buio.
«Sarai più al sicuro, qui, se io non ci sono.»
Dopo essersene andato, io mi sedetti in silenzio vicino al fuoco, stringendo le mani. Il mio rapitore non mi aveva neanche ferita davvero, nonostante sembrasse più una bestia che un uomo. Forse sarei riuscita a sopravvivere. Dovevo, non solo per me, ma principalmente per Muriel e Fleur. Si sarebbero chieste cosa mi fosse successo, forse preoccupandosi per il mio destino e il loro. Erano più giovani soltanto di due anni, ma ero sempre stata io a prendermi cura di loro, a dare loro da mangiare, a tenerle al sicuro. Che cosa sarebbe successo a loro se io non fossi riuscita a tornare? Se—che la Dea potesse vegliare su di me—fossi morta in questo posto?
«Non morirò» mormorai a me stessa. Sarei riuscita a sopravvivere e scappare, e poi avrei avuto la mia vendetta contro quel guerriero dal sorrisetto antipatico che mi aveva portato in questo posto dimenticato dagli Dei contro la mia volontà.
Mentre il Sole calava oltre gli alberi, esplorai il posto dove mi trovavo per quanto la catena mi permettesse di farlo. Più in fondo dentro la caverna il pavimento era fatto di sabbia, e una predella era ferma in mezzo piena di coperte di pelliccia vecchie e maleodoranti. La puzza riempiva la caverna, ma il fuoco riusciva ad attutirne l’intensità. Tornai ad accucciarmi vicino alle fiamme più che potei, ringraziando il Cielo per la pelliccia che Maddox mi aveva dato. Almeno quella era pulita.
Mentre la Luna saliva più in alto nel Cielo, io pregai la Dea di tenere me e le mie sorelle al sicuro. I rumori provenienti dalla foresta mi arrivavano alle orecchie, compreso un pianto che sembrava chiamarmi da lontano, selvaggio e amorevole, e dolorosamente solo.
Mi addormentai con gli ululati dei lupi.
Quando mi svegliai era l’alba, ed immediatamente mi stiracchiai contro la roccia che mi teneva ferma. Maddox aveva lasciato un cestello pieno d’acqua fresca vicino a me. Non fu che dopo aver bevuto e aver rinfrescato la mia faccia, che mi accorsi di aver ricevuto un’altra visita durante la notte. Vicino alla roccia, dove avevo dormito, c’era un’impronta gigante, più grande della mia testa.
Non di un uomo.
Di un Lupo.