2.
Il primo giorno dei lavori della commissione Neptune si vestì con cura. Chi prendeva in giro le donne per le dimensioni del loro guardaroba non teneva conto di una cosa: spesso sbagliare abbigliamento per le donne poteva diventare un vero problema, perché venivano costantemente giudicate in base al loro aspetto. Succedeva anche agli uomini, ma da loro nessuno pretendeva fantasia. Se una donna indossava sempre completi simili, invece, presto qualcuno l’avrebbe criticata.
E poi dovevi avere un vestito per tutte le occasioni, certo.
Neptune, a trentasette anni, doveva ancora combattere con un aspetto – secondo alcuni – troppo vistoso. Era alta, aveva le tette grandi, le gambe lunghe e i capelli rossi. Al problema dei capelli aveva ovviato tagliandoli alla maschietta, ma per il fisico esuberante non c’era molto da fare. Né per le labbra piene e gli occhi allungati.
Si truccò in modo sobrio – le donne struccate erano sciatte, quelle troppo truccate mignotte – e si mise un tailleur-pantalone nero, con sotto una maglietta morbida color cipria. Un sottile foulard bianco e azzurro attorno al collo per coprire almeno in parte la grossa cicatrice.
Si guardò nello specchio. Si sentiva agitata.
Negli ultimi dieci anni aveva affrontato un po’ di tutto, ma mai una prova come quella. Aveva paura di non riuscire a essere efficace. Che nessuno la considerasse. Di sedersi a un tavolo e non ottenere nulla, non indirizzare nella giusta direzione le cose. Aveva paura di deludere le aspettative di tutte le persone – principalmente donne – che nel corso del tempo avevano appoggiato il suo Osservatorio.
Mentre usciva di casa chiamò Selene, la sua segretaria. Le chiese come andavano le cose. Se l’ufficio stampa aveva già contattato i principali siti e giornali del paese, se erano riusciti ad avere uno spazio alla TV...
«L’ufficio stampa del parlamento ha preso in mano le cose. Siamo stati praticamente tagliati fuori. Sto cercando di comunicare con loro per dargli tutto il materiale necessario».
«Okay, grazie» disse Neptune.
I suoi timori si stavano già trasformando in realtà.
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All’ingresso del Numero Uno di Svetlands Avenue fu perquisita. La sua valigetta fu passata allo scanner. Gli agenti le spiegarono che era per motivi di sicurezza, ma Neptune lo trovò ugualmente un po’ intimidatorio.
L’interno del Numero Uno... metteva paura anche quello. Corridoi dalla tappezzeria grigia, coperti di moquette morbidissima, blu scuro. Tutto sobrio, sottotono. E un vero e proprio dedalo di porte e passaggi nei quali si sarebbe persa di sicuro, senza la sua guida: un valletto in completo blu, dall’aria cortese e distante.
Alla fine la mollò davanti a una sala conferenze nei toni del grigio e del blu. Neptune si rese conto di essere la prima.
Si sedette e aprì il suo porta-documenti. Tirò fuori i fogli che pensava le sarebbero serviti. Iniziò ad avere la paranoia di essere stata portata nel posto sbagliato e che la commissione si stesse riunendo in un’altra sala, senza di lei.
Si disse di non essere stupida, ma la paranoia restò finché gli altri membri non entrarono tutti insieme, in blocco, come se fossero stati da qualche parte a fare qualcosa. Be’, tutti tranne Brennan.
«Oh, giusto. Tu devi ancora scoprire l’ubicazione della caffetteria, vero?» disse Marisol.
Indossava un tailleur- pantalone color ruggine, piuttosto acceso, e stava benissimo.
Le presentò il resto della compagnia, compreso il Mattew Picarest contro cui l’aveva messa in guardia. Solo che oggi le disse che Mattew si occupava da un pezzo delle disparità di genere ed erano fortunati ad averlo in squadra.
Si sedettero attorno al tavolo e Picarest iniziò a chiedere dove fosse Brennan, visto che aveva insistito per partecipare. Marisol gli rispose che stava arrivando. Neptune non pensava che la loro capo-commissione lo sapesse davvero, ma che lo stesse trattando come un bambino durante un viaggio: “Siamo quasi arrivati”.
Brennan arrivò sul serio poco dopo, in compagnia del suo assistente personale, Gerald Toa.
Salutò con un cenno del capo e si sedette. Anche quel giorno portava la cravatta.
«Resterò solo quaranta minuti e non prevedo di parlare molto, ma c’è una cosa che vorrei dire ora, perché lo sappiate: non è una cazzata. Non vogliamo solo tenere buone due femministe. Mi aspetto che questa commissione produca una legge, una buona legge, e specialmente una legge che possa essere approvata dalle camere. Non parteciperò ai lavori – come sapete ho sul tavolo anche la legge di bilancio – ma mi terrò aggiornato. Serve un volontario».
Neptune alzò la mano prima di rendersene conto. Un attimo dopo pensò: Dio, cosa ho fatto? E l’attimo ancora seguente si disse che invece aveva fatto bene a provarci, perché quale modo migliore per non essere irrilevante, a quel tavolo? Se avesse pensato che gli altri non prendessero sul serio il loro compito avrebbe potuto farlo presente al cancelliere.
Okay, come una bambina con la maestra, alle elementari, ma che alternative aveva?
Brennan si rese conto benissimo di qual era il suo scopo, Neptune lo capì dall’occhiata che le lanciò.
«Ci sono obiezioni?».
«Be’, non so se la signora Morgan sappia come redigere un verbale degli incontri...» iniziò a obbiettare Picarest.
«Ha fatto le scuole superiori, signora Morgan?» chiese Brennan, ora quasi divertito.
«E anche l’università» rispose lei, con un sorrisetto.
«Credo che ce la possa fare, Mattew. Se avesse dei problemi sono certo che qualcuno la aiuterà. Molto bene. Io ho finito».
Marisol disse che avrebbe fatto una panoramica sul problema della violenza di genere. Prese i dati che in realtà tutti avevano e iniziò a spiegarli.
Neptune osservò i partecipanti alla riunione. L’avvocatessa non era attenta, Picarest prendeva appunti (senza dubbio per sollevare grane in seguito), la psichiatra aveva l’aria di annoiarsi un po’, come anche Brennan. D’altronde erano cose che sapevano già più o meno tutti.
Neptune si chiese che tipo fosse il cancelliere. Se davvero fosse deciso a intervenire, o se il suo fosse solo un atteggiamento di facciata. Era difficile a dirsi.
Quando il cancelliere era stata sua moglie, lui non veniva intervistato quasi mai. Quelle poche volte sembrava spiritoso e spigliato, molto più alla mano di Winchester. Ma ora il cancelliere era lui, e non sembrava spiritoso e spigliato. Sembrava serio come una tomba.
Negli ultimi due anni la stampa ne aveva fatto un ritratto piuttosto istituzionale. Era il cancelliere, grave per ufficio.
Non era solo quello, era ovvio. Brennan era vedovo e tutti ricordavano lo shock, quando era stato annunciato che Mirian Winchester, la prima donna eletta premier delle Svetlands, era morta in meno di sei mesi per un tumore all’utero. Che era per via della malattia che in realtà non si era candidata per il terzo mandato. Che una tragedia umana era avvenuta sotto il naso di tutti, mentre la nazione era impegnata a combattere il terrorismo nazionalista harbattiano.
Quattro anni più tardi Brennan, lo spin doctor di sua moglie nelle due precedenti campagne elettorali, annunciava che si sarebbe candidato a sua volta per il cancellierato, per finire quello che Mirian aveva dovuto lasciare in sospeso. La sua vittoria era stata inarrestabile.
Da allora erano passati due anni e l’opinione generale era che Brennan stesse mantenendo la sua promessa.
«Ogni anno nelle Svetlands abbiamo circa centocinquanta vittime di femminicidio» stava dicendo Marisol. «C’è chi parla di epidemia, ma il numero, in quanto tale, non è in aumento. Subisce delle fluttuazioni che definirei naturali. Non so se sei d’accordo con me, Neptune».
Lei annuì e non interruppe.
«Questo vuol dire che non abbiamo nessun problema? Proprio no. Abbiamo il problema che gli uomini vengono uccisi per una pluralità di ragioni e da diverse tipologie di assassini, le donne quasi unicamente da una: un familiare, un compagno, un maschio all’interno della loro cerchia più ristretta di affetti. È questo il problema dei femminicidi, che altrimenti potremmo definire omicidi e basta».
«È comunque un termine abusato» intervenne Picarest. «Ormai ogni volta che muore una donna viene definito femminicidio».
«Lo è nella maggior parte dei casi» ribatté Marisol. «Vuoi sapere quante donne sono state uccise per questioni relative alla criminalità organizzata o comune, l’anno scorso?».
«Ehm».
«Due. Una era una passante sfortunata. Vuoi sapere quante sono state uccise dal marito da cui stavano divorziando o dall’ex-marito? Centoventisette. I contorni del problema sono questi».
«Dico solo che definire femminicidio ogni omicidio che coinvolga una donna è improprio» sospirò Picarest.
«Su questo ha ragione» sbuffò Neptune. «Bisognerà insegnare agli uffici stampa dei tribunali e delle forze dell’ordine a usare il termine solo quando è appropriato, ossia suppergiù nel novantanove percento dei casi».
«Concordo. E propongo di rimandare a un altro momento il dibattito sull’uso di femminicidio» disse Brennan.
Marisol continuò a snocciolare i suoi dati. Quando chiese a Neptune di spiegare quali fossero i principali problemi evidenziati dal suo osservatorio, Brennan guardò l’orologio. Lo guardò anche Neptune: Marisol aveva consumato trenta dei quaranta minuti “concessi” dal cancelliere, mentre cinque erano stati usati in precedenza.
Gli mostrò cinque dita, rivolgendogli un sorriso che diceva: “per favore, resti ancora un attimo”.
Lui le fece cenno di continuare.
«In pratica servono dei soldi» fu la prima cosa che disse Neptune.
«Forse era meglio che me ne andassi» sospirò Brennan.
«Servono soldi, perché se una donna sente di essere in una condizione di pericolo spesso non può andarsene perché dipende economicamente dal marito o perché non ha abbastanza quattrini per proteggersi. Servono soldi perché, se denuncia il suo aggressore, spesso non ci sono i fondi per metterla sotto scorta o per controllare in modo efficace lui. E servono dei soldi perché il substrato culturale in cui nascono il femminicidio e le violenze di genere va combattuto con campagne di informazione, formazione e sensibilizzazione che non sono gratis».
Brennan sospirò di nuovo e si appoggiò al tavolo con gomiti. «Ma questa commissione ha lo scopo di produrre una legge che combatta le violenze di genere meglio di quelle attuali, non di formulare un piano integrato contro le violenze di genere» le fece notare. «Lei si sta allargando troppo, signora Morgan».
«È un vecchio vizio: mi tocca farlo ogni volta in cui qualcuno cerca di mettermi in un angolo e rendermi innocua. Qual è il progetto implicito di questa commissione? Varare una legge che introduca un’ulteriore aggravante all’omicidio, un’aggravante per la violenza di genere? Mi dispiace, ma sarebbe un inutile proclama, nient’altro».
«Cioè, lei non vuole che venga inserita un’aggravante. Un’aggravante, poniamo, che tenga al fresco per molto più tempo un uomo che prova ad ammazzare sua moglie».
Era stato brutale e Neptune deglutì. Non si aspettava che ci fosse un’escalation delle ostilità così veloce e così aspra, per di più con il cancelliere.
Ma il suo riferimento era stato preciso, quindi vide bene di rispondere con precisione.
«A che cosa serve? E, guardi, io spero che il mio ex marito ci crepi, in prigione, ma non ho paura di quando uscirà. Quando uscirà non sarò così stupida da farmi avvicinare un’altra volta da lui. Che esca tra tre anni non mi rende euforica, ma se uscisse tra sei non cambierebbe molto, per me come per centinaia di altre donne. Il fatto è che l’inasprimento delle pene non funziona come dissuasore. Un uomo che è disposto a uccidere la sua ex compagna non si ferma pensando: oh-oh, mi beccherò quarantacinque anni invece di quaranta. Non si ferma e basta. Per fare qualcosa di efficace servono dei soldi. Ha detto che per lei questa commissione non è una cazzata. Lo dimostri».
Lui le rivolse un sorriso dolce e sottile.
«Quanto meno è stata velocissima. Be’, unire alla commissione anche un membro del ministero delle finanze non mi crea nessun problema. Ve lo regalo. Può cercare di convincere lui, signora Morgan. Sarò lieto di ricevere i suoi aggiornamenti».
Detto questo si alzò dal tavolo e se ne andò senza salutare.
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Marisol l’aveva rimbrottata, ovviamente. Era stata lei a portarla in quella commissione e Neptune non era stata ai patti. Non aveva dato suggerimenti utili, aveva provato a ribaltare il tavolo.
Neptune le diede ragione e le chiese scusa. Ma non si offrì di fare retromarcia, perché, in fondo, non lavorava per i libdem, lavorava per i parenti delle vittime, per le vittime sopravvissute e per le donne che stavano lottando proprio in quel momento con il loro aguzzino. Le conosceva una per una e non intendeva abbandonarle. Se l’avessero cacciata via dalla commissione, amen. Inutile restare, se non era per fare qualcosa di efficace.
Tornò a casa per cambiarsi, prima di andare al lavoro, e si chiese quanto fosse davvero irritato Brennan.
Non lo conosceva, non aveva idea di quali reazioni aspettarsi. Poteva essere inferocito e non averlo dato a vedere, oppure essere quasi ammirato e aver risposto a muso duro solo per metterla alla prova.
Nella sua carriera ormai pluriennale con l’Osservatorio sulla Violenza di Genere aveva avuto avversari di tutti i tipi. Era pronta a combattere in ogni caso, ma avrebbe voluto conoscere meglio il suo avversario.
Una volta in ufficio, cercò di documentarsi su Ray Brennan. Tra l’altro, era chiaro che lui si era documentato su di lei, almeno fino a un certo punto. Che il suo ex-marito l’avesse quasi uccisa e che lei si fosse salvata per miracolo non era certo un segreto di stato, ma comunque per saperlo doveva essersi dato almeno lo sbattimento di leggere la sua pagina Wikipedia.
L’idea le fece provare una specie di vertigine. Il primo ministro delle Svetlands aveva letto la sua pagina Wikipedia o qualcosa di simile. Wow.
Passata la vertigine, si mise a leggere la sua, di pagina Wikipedia.
Ray Brennan, cinquantacinque anni, un figlio di quattordici avuto dalla moglie Mirian Winchester, a sua volta ex-cancelliere.
Rimasto orfano di madre in età piuttosto giovanile, Brennan aveva iniziato a lavorare nel campo della politica mentre ancora finiva di laurearsi. Non all’interno di un partito, però, ma per un’agenzia di political advisors. Aveva fatto carriera fino ad aprire un’agenzia tutta sua, agenzia che aveva portato alla vittoria i libdem in un’elezione amministrativa. Più o meno in quel periodo era morto anche suo padre. In seguito era stato assunto per la campagna presidenziale di Mirian Winchester. Non solo Mirian aveva vinto, se l’era anche sposato. Da quel momento era stato il suo consulente politico personale. Per entrambi i mandati. Pagato sempre dai libdem.
Neptune pensò che per farsi un’idea migliore di lui doveva esaminare anche la figura di sua moglie.
Winchester era stata una riformista, con opinioni politiche orientate a sinistra in campo sociale e moderatamente stataliste per quanto riguardava il welfare. Nel contempo aveva perseguito delle politiche del lavoro piuttosto liberiste, guadagnandosi l’apprezzamento delle associazioni degli industriali.
Era uno strano mix, Mirian. Capace di tenere in pugno una folla durane un comizio, ma anche di trattare e venire a patti. Un gran politico, o così sembrava, apprezzata persino da Doyle.
E quindi Brennan, ora... che cos’era? Voleva portare avanti il programma di sua moglie o aveva delle idee sue? O le sue idee avevano già influenzato quelle di Mirian durante i suoi due mandati?
Al contrario della maggior parte dei politici, sembrava essere stato autenticamente fedele alla moglie, nello spirito se non nel corpo. In quanto al corpo, prima del matrimonio aveva la fama di usare il proprio con disinvoltura. Non dopo essersi sposato, però. Durante gli undici anni circa della loro relazione, non c’erano state voci di avventure galanti più o meno credibili.
Neptune si lasciò trasportare verso una serie di pensieri diversa, anche se attigua.
Nelle Svetlands i cancellieri avevano la strana abitudine di sposarsi durante il proprio mandato. Era stato Doyle a inaugurare la tradizione, sposando Hanna Faye durante il suo ultimo quinquennio. Al matrimonio c’era stato persino un attentato.
Poi Turner durante il suo periodo come primo ministro aveva divorziato. Tecnicamente si era sposato la seconda volta dopo essersi dimesso, ma tutti sapevano che la relazione con Jackie Dunn andava avanti da tempo. Poi Winchester aveva impalmato Brennan, anche se il fidanzamento risaliva a prima della sua vittoria. Lyndon aveva sposato il capo della sua scorta, Vera Lin. Quando Brennan era stato eletto, tuttavia, l’entusiasmo per il gossip dei giornalisti si era spento. In molti si erano rassegnati all’idea che la tradizione sarebbe stata spezzata e che nessuno avrebbe gridato durante una conferenza stampa: “Cancelliere, si sposa?”.
L’uomo vivace e divertente che gli svetlandesi avevano conosciuto come First Gentleman durante i mandati Winchester sembrava essere finito sottoterra insieme al corpo della moglie.
Era comprensibile.
Nei quasi sette anni trascorsi, Brennan non aveva dato il minimo segno di interesse per la compagnia femminile. Non gli era stato attribuito neppure un piccolo flirt. Si era preso cura di suo figlio e, quattro anni più tardi, si era candidato a sua volta. Ma sembrava logico supporre che non ci sarebbe stato nessun matrimonio al Numero Uno, quella volta.
Neptune guardò il monitor del computer e si chiese come cavolo fosse arrivata a fare un ragionamento del genere. Sullo schermo, una fotografia a figura intera del cancelliere le forniva una parziale risposta: era un bel pezzo d’uomo. Anche ora, non più un ragazzino, restava attraente. Neptune scommetteva che ci sarebbero state parecchie ragazze disposte a consolarlo, se solo lui lo avesse voluto. Il fatto di non volerlo, in fondo, glielo faceva rispettare un po’ di più.
Se solo il rispetto fosse servito a qualcosa, nelle circostanze attuali. Fino a prova contraria, doveva considerarlo un nemico.
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Il giorno seguente scoprì due cose. La prima fu il nuovo membro della commissione, che veniva direttamente dal ministero delle finanze e si portava dietro un aiutante dell’ufficio tecnico. Non prometteva bene, ma l’inviato in quanto tale non era il giovane e arrogante azzeccagarbugli che si aspettava Neptune. Era invece un signore più vicino agli ottanta che ai settanta, senza capelli e dall’aria mite. Si chiamava Jim Sherman.
Quel giorno a relazionare doveva essere la psichiatra. Forse ringalluzzita dalla baruffa della sessione precedente, annunciò con un sorriso di aver ampliato il suo intervento, che ora non comprendeva più solo un’analisi delle motivazioni psicologiche delle aggressioni di genere, ma anche un compendio della letteratura scientifica in quanto a ipotesi di trattamento.
«Non ci interessa curare questi svitati» fece presente Picarest.
La dottoressa lo fulminò con lo sguardo. «A noi forse interesserebbe anche, se solo fosse possibile farlo prima che agiscano. E in parte lo è, in alcuni casi, ma comunque si tratta di interventi mirati molto rari. No, a noi interessa l’empowerment delle vittime. Dare alle donne minacciate o in situazioni rischiose i mezzi psicologici per andarsene o almeno capire di essere in pericolo». Si voltò verso Neptune e Jim Sherman. «E il primo modo, ovviamente, è dir loro che se vogliono lasciare la casa in cui vivono possono farlo. Che i loro figli saranno protetti».
«Quindi... mmm... maggiori stanziamenti per i consultori?» andò al punto Sherman.
«Per consultori che hanno delle strutture dedicate. O che intendono dotarsi di un sistema antiviolenza».
Sherman prese una nota. Non aggiunse altro.
La psichiatra spiegò tutti i risvolti psicologici del caso. Neptune apprezzò il suo lavoro, anche se erano cose che aveva già sentito molte volte. Picarest, al contrario, sembrava scocciato. Neptune si chiese se il suo partito l’avesse davvero mandato come guastatore o se fosse solo un borioso idiota.
I lavori di quella mattina si chiusero con un giro di considerazioni preliminari, un giro a cui Sherman partecipò solo con un laconico: «Man mano che proseguiamo vedrò di capire se possono esserci le coperture economiche».
La seconda cosa che Neptune scoprì quel giorno, fu che il cancelliere aveva deciso di fare lo stronzo. Le comunicarono che poteva consegnargli il verbale sui lavori odierni ogni sera nel suo ufficio, “appena il cancelliere aveva un minuto libero per lei”.