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Arena Due (Libro #2 Della Trilogia Della Sopravvivenza)

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“Ti prende... ARENA UNO è uno di quei libri che si leggono fino a tarda notte, quando gli occhi cominciano a incrociarsi perché non riesci a metterlo giù”.

--The Dallas Examiner

La serie bestseller continua con ARENA DUE!

In ARENA DUE, dopo essere scappati dall’isola trappola di Manhattan, Brooke, Ben, Logan, Bree e Rose si fanno strada sul fiume Hudson a bordo della barca che hanno rubato, a corto di carburante e di cibo, e alla ricerca disperata di un riparo dal freddo. Sulle loro tracce ci sono i mercanti di schiavi, che non si fermeranno di fronte a nulla per catturarli e riportarli indietro.

Mentre risalgono il fiume in questo thriller post-apocalittico pieno di azione, alla ricerca della mitica città in Canada, dovranno fare ricorso a tutto le loro doti di ingegno e di sopravvivenza per rimanere vivi. Sul loro cammino troveranno sopravvissuti impazziti, bande erranti di predoni, cannibali, animali selvaggi, una terra desolata, e una tempesta perfetta. Si feriscono, si ammalano, e l’Hudson ghiaccia mentre fanno del loro meglio per salvare quel che possono e sfuggire ai mercanti di schiavi. Trovano una piccola isola e pensano di poter prendersi una tregua — fino a quando gli eventi smettono favorirli. Solo quando salgono a bordo di un misterioso treno per il nulla capiscono che le cose possono sempre peggiorare.

Lungo la strada, i sentimenti di Brooke per Logan diventano più forti, e lo stesso quelli per Ben. Combattuta tra i due ragazzi, oggetto della loro gelosia, non sa come sentirsi —fino a quando gli eventi non decidono per lei.

Quando si ritrovano nuovamente in un’arena, sono sconvolti nel vedere che Arean Due è anche peggio. Buttati in un barbarico palcoscenico da combattimento, armati, in lotta con altri ragazzi — e tra di loro —Brooke e gli altri sarano costretti a scegliere cos’è importante, e a fare i sacrifici più difficili della loro vita. Perché ad Arena Due, nessuno sopravvive. Mai.

“Mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere… Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.”

--Paranormal Romance Guild {su Tramutata}

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U N O-1
U N O Ci sono giornate in cui tutto al mondo sembra perfetto. Giornate in cui il mondo è ricoperto da uno strano silenzio, in cui la calma ti avvolge completamente fino a farti credere di stare scomparendo, e c’è un tale senso di pace da sentirsi liberi da tutte le preoccupazioni della vita. Liberi dalla paura. Dal domani. Momenti come questo si contano sulle dita di una mano. E uno di quei momenti è adesso. Ho tredici anni, Bree sei, ci troviamo su una spiaggia di soffice sabbia finissima. Papà mi tiene la mano, mamma quella di Bree, e camminiamo tutti e quattro sulla sabbia rovente, cercando di raggiungere l’oceano. L’acqua fresca delle onde mi schizza in faccia, alleviando il caldo di questa giornata d’agosto. Le onde s’infrangono tutto attorno a noi, papà e mamma ridono, spensierati. Non li ho mai visti tanto rilassati. Li vedo guardarsi teneramente negli occhi, un’immagine che si fissa nella mia mente. È una delle rare volte in cui li vedo davvero felici assieme, e non voglio dimenticarmelo. Bree strilla come una pazza, eccitata dalle onde che le arrivano al petto, e dalla corrente che la spinge. Mamma la tiene forte, e papà stringe la mia mano, proteggendoci dal risucchio dell’oceano. “UNO! DUE! TRE!” grida papà. Vengo lanciata verso l’alto non appena papà mi lancia tenendomi la mano, e lo stesso fa mamma con Bree. Volo in aria e supero l’onda, urlando mentre ci passo sopra e la sento infrangersi dietro di me. È sorprendente che papà riesca a rimanere fermo, forte, come una roccia, praticamente invulnerabile rispetto alla natura. Sprofondo nell’oceano impattando bruscamente sull’acqua fredda, di petto. Stringo ancora di più la mano di papà come sento tornare la corrente, e lui di nuovo mi tiene forte. In quel momento ho l’impressione che mi proteggerà da tutto, per sempre. Le onde si abbattono una dopo l’altra, e per la prima volta da chissà quando, mamma e papà non hanno fretta. Ci fanno volare in continuazione, e Bree strilla felice sempre più. Non so quanto tempo passa in questa magnifica giornata estiva, su questa spiaggia così pacifica, sotto un cielo terso, con gli schizzi in faccia. Vorrei che il sole non tramontasse mai, che tutto rimanga esattamente com’è. Vorrei stare qui, così, per sempre. E in questo momento sembra poter succedere. Apro gli occhi lentamente, disorientata da quanto ho di fronte. Non sono al mare, ma seduta sul lato passeggero di una barca a motore che corre su un fiume. Non è estate, ma inverno, e le rive sono ricoperte di neve. Ogni tanto spunta un blocco di ghiaccio che galleggia. Sento gli schizzi d’acqua sulla faccia, ma non è quella fresca delle onde dell’oceano estivo bensì quella gelata dell’Hudson ghiacciato durante l’inverno. Strizzo gli occhi diverse volte prima di rendermi conto che non è una tersa mattina estiva, ma un nuvoloso pomeriggio invernale. Cerco di ricostruire cos’è successo, come ha fatto tutto a cambiare. Mi metto seduta tremando un po’, mi guardo attorno, subito in guardia. Non mi addormentavo durante il giorno da non so quanto tempo, e sono sorpresa. Inizio a orientarmi, vedo Logan, stoicamente al timone, con gli occhi fissi sull’acqua, intento a navigare l’Hudson. Mi volto e vedo Ben, con la testa fra le mani, che fissa il fiume, perso nel suo mondo. Dall’altro lato della barca c’è Bree seduta, con gli occhi chiusi, appoggiata sul suo sedile, e la sua nuova amica Rose abbracciata a lei, addormentata sulla sua spalla. Sul suo grembo dorme il nostro nuovo amico animale, il chihuahua con un occhio solo. Sono stupita dal fatto di essermi addormentata così, ma non appena guardo in basso e noto la bottiglia di champagne che tengo in mano, capisco che a mettermi fuori combattimento dev’essere stato l’alcool — che non toccavo da anni — combinato a tante notti insonni e altrettante giornate adrenaliniche. Ho il corpo talmente a pezzi, pieno di lividi e ferite, che dev’essersi addormentato da solo. Mi sento in colpa: non avevo mai perso di vista Bree prima d’ora. Ma appena guardo Logan, con la sua presenza così forte, capisco che devo essermi sentita abbastanza protetta per farlo. In qualche modo, è come avere di nuovo mio papà. Sarà per questo che l’ho sognato? “Piacere di riaverti tra noi” risuona la voce profonda di Logan. Guarda verso di me, e gli si forma un piccolo sorriso sull’angolo delle labbra. Mi sporgo in avanti e osservo il fiume davanti mentre lo tagliamo come il burro. Il rombo del motore è assordante. La barca risale la corrente, muovendosi su e giù con lievi oscillazioni, sbattendo un poco. Gli schizzi gelati mi arrivano dritto in faccia, guardo in basso e vedo che ho ancora addosso gli stessi vestiti che indosso da giorni. I vestiti sono praticamente appiccicati alla pelle, incrostati di sudore, sangue e sporcizia — e ora umidi per gli schizzi. Sono bagnata, infreddolita e affamata. Farei di tutto per una doccia calda, una cioccolata calda, un bel fuoco, e un cambio d’abiti. Scruto l’orizzonte: l’Hudson sembra un grande mare. Stiamo al centro, lontano dalle rive; Logan ci tiene saggiamente lontano da possibili pericoli. Come mi viene in mente, mi volto immediatamente indietro per controllare che non vi siano tracce di mercanti di schiavi. Non ne vedo. Mi rigiro e cerco segni di barche all’orizzonte. Niente. Scruto le sponde, alla ricerca di segni di attività. Niente. È come se il mondo fosse tutto per noi. È consolante e desolante al tempo stesso. Lentamente, abbasso la guardia. Mi sembra di aver dormito una vita, ma dalla posizione del sole in cielo vedo che è solo metà pomeriggio. Ho dormito al massimo un’ora. Mi guardo intorno cercando punti di riferimento familiari. Dopotutto, siamo quasi vicino casa. Ma non ne vedo. “Per quanto ho dormito?” chiedo a Logan. Alza le spalle. “Forse un’ora”. Un’ora, penso. Sembra un’eternità. Controllo l’indicatore della benzina, e vedo che è mezzo vuoto. Non promette bene. “Segni di benzina in giro?” domando. Nel momento in cui lo chiedo, mi rendo conto che è una domanda stupida. Logan mi guarda, come a dire sul serio? Ovviamente, se avesse visto un deposito di benzina, ci sarebbe andato. “Dove siamo?” domando. “Siamo dalle parti tue” risponde. “Stavo per farti la stessa domanda”. Osservo nuovamente il fiume, ma non vedo ancora niente che riconosco. Con l’Hudson funziona così — è ampissimo, si estende all’infinito, ed è facile perdere l’orientamento. “Perché non mi hai svegliato?” domando. “Perché avrei dovuto? Avevi bisogno di dormire”. Non so cos’altro rispondergli. È questo il punto con Logan: mi piace, e sento che gli piaccio, ma non so se abbiamo tutte queste cose da dirci. Il suo atteggiamento guardingo non aiuta, e neanche il mio. Proseguiamo in silenzio, con l’acqua che schiuma bianca sotto di noi, e mi chiedo quanto ancora potremo andare avanti. Cosa faremo quando si esaurirà il carburante? Scorgo qualcosa all’orizzonte. Sembra una specie di struttura, nell’acqua. All’inizio non sono neanche sicura che ci sia, ma poi Logan allunga il collo, in allerta, e capisco che deve averla vista anche lui. “Credo sia un ponte” dice. “Un ponte crollato”. Mi accorgo che ha ragione. Un grosso pezzo di metallo attorcigliato si fa sempre più vicino, spuntando fuori dall’acqua come una specie di monumento all’inferno. Ricordo questo ponte: una volta attraversava splendidamente il fiume; ora è un grosso cumulo di pezzetti metallo, con gli angoli spigolosi sott’acqua. Logan rallenta la barca, il motore si fa più silenzioso man mano che ci avviciniamo. La nostra velocità precipita e la barca inizia a sbattere e sbandare. Ovunque sporge metallo frastagliato, e Logan va spostando la barca a destra e a sinistra, creandosi così una piccola via. Appaiono i resti del ponte e non appena ci arriviamo sollevo gli occhi. Sembra innalzarsi per decine di metri, come una testimonianza di ciò che l’umanità è stata una volta in grado di fare, prima di iniziare a uccidersi a vicenda. “Il Tappan Zee” commento. “Siamo a circa un’ora a nord della città. Abbiamo un buon vantaggio su di loro, nel caso in cui ci stiano inseguendo”. “Ci stanno inseguendo” dice. “Ci puoi scommettere”. Lo guardo. “Come fai a essere così sicuro?”. “Li conosco. Non dimenticano mai”. Superiamo l’ultimo rottame di metallo, Logan riprende velocità e vengo spinta all’indietro mentre acceleriamo. “Quanto pensi che siano lontani?” domando. Guarda l’orizzonte, stoico. E alla fine, alza le spalle. “Difficile da dire. Dipende da quanto ci mettono a radunare le truppe. C’è tanta neve e questo è buono per noi. Forse tre ore? Forse sei, se siamo fortunati? La cosa buona è che questo gioiellino va veloce. Credo che possiamo distanziarli, finché abbiamo benzina”. “Ma non ne abbiamo” dico, facendo notare qualcosa di ovvio. “Siamo partiti con il pieno — e ora siamo a metà. Saremo a secco in poche ore. Il Canada è parecchio lontano. Secondo te come faremo a trovare del carburante?”. Logan fissa l’acqua, riflette. “Non abbiamo scelta” dice. “Dobbiamo trovarlo. Non ci sono alternative. Non ci possiamo fermare”. “A un certo punto dovremo riposarci” dice. “Avremo bisogno di cibo, e di un qualche riparo. Non possiamo rimanere fuori con questa temperature tutto il giorno e tutta la notte”. “Meglio morire di fame e di freddo che essere catturati dai mercanti di schiavi” dice. Penso alla casa di papà, in fondo al fiume. Stiamo per passare proprio di lì. Mi ricordo della promessa fatta al mio vecchio cane, Sasha, di seppellirla. Penso anche a tutto il cibo che c’è lassù, nel cottage di pietra — potremmo recuperarlo, ci manterrebbe per giorni. Penso a tutti gli strumenti nel garage di papà, a tutte le cose che ci possono servire. Senza parlare di vestiti, coperte e fiammiferi. “Voglio fermarmi”. Logan si gira e mi guarda come se fossi pazza. Vedo che non gli piace. “Di cosa stai parlando?” “La casa di mio papà. A Catskill. Un’ora circa verso nord. Voglio fermarmi là. Ci sono un sacco di cose che posso recuperare. Cose che ci serviranno. Come cibo. E” faccio una pausa, ”voglio seppellire il mio cane”. “Seppellire il tuo cane?” domanda, con voce più alta. “Sei pazza? Vuoi farci uccidere tutti per questo?”. “Gliel’ho promesso” rispondo. “Promesso?” replica. “Al tuo cane? Al tuo cane morto? Mi vuoi prendere in giro”. Lo guardo fisso, e si rende conto abbastanza rapidamente che non sto scherzando. “Se faccio una promessa, la mantengo. Seppellirei anche te se l’avessi promesso”. Scuote la testa. “Ascolta” dico seria. “Tu volevi andare in Canada. Saremmo potuti andare ovunque. Questo era il tuo sogno. Non il mio. Chi lo sa se questa città esiste davvero? Ti sto seguendo in questo tuo capriccio. E non è che questa barca sia tua. Tutto quello che voglio è fermarmi un attimo a casa di mio papà. Prendo qualcosa, cose di cui abbiamo bisogno, e metto il mio cane a riposo. Non mi ci vorrà molto. Abbiamo un gran vantaggio sui mercanti di schiavi. Senza dire che abbiamo anche una piccola riserva di carburante lassù. Non è tanto, ma sarà d’aiuto”. Logan scuote lentamente la testa. “Preferisco rinunciare a quel carburante e non correre questo rischio. Stai parlando delle montagne. Stai parlando di addentrarsi per trenta chilometri, giusto? Come pensi di arrivare là una volta attraccati? Camminando?”. “C’è un vecchio camioncino. Un pickup malmesso. Non è altro che un rottame arrugginito, ma funziona, ed ha abbastanza carburante da portarci avanti e indietro. È nascosto dalla sponda del fiume. Ci arriviamo dritti dritti col fiume stesso. E il furgone ci porterà su e giù. Sarà una cosa veloce. E poi possiamo continuare il nostro lungo viaggio verso il Canada. E saremo messi meglio per farlo”. Logan fissa a lungo l’acqua in silenzio, coi pugni stretti attorno al timone. Poi dice “Fai come vuoi. Rischia la tua vita. Ma io rimango sulla barca. Hai due ore di tempo. Se non torni in tempo, me ne vado”. Mi volto e guardo l’acqua, incavolata nera. Volevo che venisse con me. Mi sembra che stia pensando solo a sé stesso, e questo non mi piace. Pensavo che si sarebbe comportato meglio. “Praticamente pensi solo a te stesso, non è così?” domando. Mi preoccupa anche il fatto che non vuole accompagnarmi a casa di mio papà; non l’avevo messo in conto. So che Ben non vuole venire e avrei apprezzato un po’ d’aiuto. Non importa. Sono ancora decisa. Ho fatto una promessa e la manterrò. Con o senza di lui. Non mi risponde, vedo che è infastidito. Guardo l’acqua, non ho voglia di incrociare i suoi occhi. Mentre l’acqua schiuma in mezzo al rumore costante del motore, mi rendo conto che sono arrabbiata non solo perché sono delusa da lui, ma perché iniziava davvero a piacermi, iniziavo a contare su di lui. Era da tanto tempo che non dipendevo da nessuno. È una sensazione inquietante, dipendere nuovamente da qualcuno, e mi sento tradita. “Brooke?”. Mi sento sollevare al suono di una voce familiare, mi giro e vedo la mia sorellina sveglia. Anche Rose è sveglia. Queste due sono già pappa e ciccia, sembrano una il prolungamento dell’altra.

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