Capitolo I

1673 Words
Capitolo I Io nacqui nel 1632 nella città di York da una buona famiglia che peraltro non era del luogo. Mio padre infatti era uno straniero, di Brema, e in un primo tempo si era stabilito ad Hull. Poi, grazie al commercio, aveva accumulato un ragguardevole patrimonio, cosicché, abbandonati i propri affari, aveva scelto di vivere a York e vi aveva sposato mia madre, appartenente a un'ottima famiglia locale. Mia madre di cognome si chiamava Robinson, e perciò io ebbi il nome di Robinson Kreutznauer; ma siccome notoriamente gli inglesi inclinano a storpiare le parole ora noi veniamo chiamati, ed anzi ci chiamiamo e firmiamo, Crusoe; ed è così del resto che mi hanno sempre chiamato i miei compagni. Avevo due fratelli maggiori, uno dei quali era stato tenente colonnello in un reggimento di fanteria inglese di stanza nelle Fiandre, a suo tempo sotto il comando del famoso colonnello Lockhart, e cadde ucciso a Dunkerque combattendo contro gli spagnoli. Quanto all'altro mio fratello ho sempre ignorato quale sia stata la sua sorte, così come i miei genitori non hanno mai saputo quello che accadde a me. Poiché ero il terzogenito e non ero stato indirizzato a un mestiere purchessia, ben presto il mio cervello prese a fantasticare, a sognare di andare in giro per il mondo. Mio padre, che era molto anziano, aveva provveduto a corredarmi di una congrua istruzione, nei limiti normalmente consentiti dall'educazione familiare e dalle modeste scuole di provincia, e intendeva avviarmi alla carriera legale. Ma a me sarebbe piaciuta una cosa sola: navigare; e questa mia aspirazione mi portava a oppormi con tanto accanimento alla volontà, anzi agli ordini di mio padre, e del pari a tutti gli sforzi di persuasione e alle preghiere di mia madre e dei miei amici, che sembrava esservi alcunché di fatale in questa mia propensione istintiva, la quale tendeva direttamente alla vita miseranda che poi mi sarebbe toccata. Mio padre, uomo saggio e grave, si provò con serie ed eccellenti argomentazioni a dissuadermi dal proposito che indovinava in me. Una mattina mi convocò in camera sua dov'era confinato a causa della gotta, e con molta veemenza mi esternò la sua disapprovazione. Mi chiese quali ragioni avessi, a parte il desiderio di viaggiare per il mondo, di abbandonare la casa di mio padre e la mia città natale, dove non mancavo di opportune entrature e avevo la possibilità di impinguare il mio patrimonio col lavoro e con la buona volontà, e condurre così una vita agiata e serena. Mi disse che il far fortuna con iniziative avventate e acquistar fama con imprese fuori del comune toccava a uomini disperati o a coloro che aspirano per ambizione a raggiungere posizioni superiori alla propria; che si trattava di cose troppo in alto o troppo in basso per me, e che la mia condizione si poneva a un livello intermedio, cioè al gradino più basso fra quelli elevati, ed egli per lunga esperienza lo aveva considerato la miglior condizione di questo mondo, la più idonea a garantire la felicità dell'uomo, non esposta alle miserie e ai sacrifici, alle fatiche e alle angustie di quello strato dell'umanità che deve adattarsi al lavoro manuale, e al tempo stesso libera dalla schiavitù dell'orgoglio, dello sfarzo, dell'ambizione e dell'invidia cui soggiace la classe più abbiente. E aggiunse che potevo valutare la mia posizione dalla semplice constatazione che tutti invidiavano il mio stato; che non di rado persino i monarchi si erano lamentati delle costrizioni dovute a una nascita che destina a grandi gesta e avevano deplorato di non trovarsi in situazione intermedia, tra i due punti estremi: il più piccolo e il più grande; che anche il saggio, quando pregava l'Altissimo acciocché non gli fosse dato di conoscere né la povertà né la ricchezza, testimoniava che in questo stava la vera felicità. Come poi ebbi sempre a constatare, egli mi fece osservare che in questa vita le disgrazie sono sempre ripartite fra gli strati più alti e quelli più bassi dell'umanità; mentre per contro la condizione media era quella che annoverava minor numero di disastri e non era esposta a continue, alterne vicende come accade quando si fa parte della più bassa o della più alta condizione. Né d'altra parte vanno soggetti ai malanni, alle inquietudini del corpo e dello spirito come quelli che, per lusso, vizio o sregolatezza, oppure per soverchio affanno, per fatica e privazioni, per povertà e cibo insufficiente perdono la salute quale naturale conseguenza del loro regime di vita; che la pace e l'abbondanza erano le ancelle di una media fortuna; che la temperanza, la moderazione, la tranquillità, la buona salute, le amicizie e tutti gli svaghi e i piaceri desiderabili erano i doni celesti riservati alla condizione media della vita; che in questo modo gli uomini vivono la loro giornata terrena senza scosse, in silenzio e la concludono in serenità, senza il peso degli sforzi manuali o mentali, non costretti a piegarsi a un'esistenza da schiavi per guadagnarsi il pane quotidiano, non afflitti da condizioni malcerte e precarie che sottraggono la pace all'anima e il riposo al corpo; non rosi dall'invidia o dalla segreta ardente febbre dell'ambizione e del successo, ma consumando i propri giorni dolcemente, in condizione di agiatezza, gustandone con giusta moderazione i piaceri senza assaporarne l'amaro, sentendosi felici e imparando dall'esperienza quotidiana ad apprezzare meglio il valore della propria felicità. Infine mi rivolse la più calda e affettuosa esortazione affinché non facessi il ragazzo e non cercassi avversità dalle quali la natura e la mia condizione sociale mi avevano messo al riparo; mi disse che non avevo motivo alcuno di guadagnarmi il pane, che avrebbe provveduto lui stesso alla mia persona cercando di avviarmi nel modo migliore alla condizione che poco prima aveva caldeggiata e se la mia vita non fosse stata facile né felice avrei dovuto accusare solo me stesso o la mia sfortuna, ma non sarebbe stato lui a portarne la responsabilità, perché egli non aveva mancato al suo dovere di padre esortandomi a non prendere una decisione che si sarebbe risolta a mio danno. In una parola, mi disse che, come sarebbe stato pronto a fare del suo meglio se mi fossi trattenuto e sistemato in patria in conformità al suo suggerimento, così non voleva minimamente incoraggiarmi a partire, per non avere responsabilità alcuna nelle mie disgrazie. E per concludere mi fece osservare che un esempio utile mi veniva da mio fratello maggiore, col quale lui aveva fatto leva sugli stessi argomenti di persuasione per dissuaderlo dal partecipare alla guerra nei Paesi Bassi, ma non ci era riuscito proprio perché il suo impeto giovanile era prevalso e lo aveva indotto ad arruolarsi nell'esercito, ed era stato ucciso; e pur protestando che non avrebbe cessato di pregare per me, pure non poteva esimersi dal dirmi che, qualora avessi commesso quel passo insensato, Dio non mi avrebbe accordato la sua benevolenza e avrei avuto innumerevoli occasioni per dolermi di aver disdegnato il suo consiglio, quando ormai non ci sarebbe stato nessuno che mi aiutasse a ravvedermi. Durante quest'ultima parte del discorso, che si sarebbe rivelata profetica più di quanto mio padre stesso, immagino, non avesse pensato, osservai - dico - che le lacrime gli scorrevano copiose sul volto, specie nel momento in cui accennò a mio fratello che era stato ucciso; e quando disse che non mi sarebbero mancate le occasioni di pentimento, e non ci sarebbe stato nessuno accanto a me per assistermi, si commosse a tal punto che fu costretto a interrompersi perché, mi disse, aveva il cuore così afflitto che non si sentiva di aggiunger altro. Io fui sinceramente turbato dalle sue parole. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Decisi dunque che avrei rinunciato a imbarcarmi e sarei rimasto in patria, in ossequio ai desideri di mio padre. Ma ahimè, in pochi giorni tutto questo si dissolse; e in breve, onde scansare rinnovate insistenze da parte di mio padre, qualche settimana più tardi deliberai di fuggire di casa. Non agii però in modo inconsulto per immediato impulso di quella decisione, ma mi rivolsi a mia madre in un momento in cui mi era parsa meglio disposta del consueto, e le confessai che la mia mente era totalmente dominata dal desiderio di vedere il mondo; che pertanto non mi sarei mai applicato in alcunché con la risolutezza necessaria ad andare fino in fondo e che mio padre avrebbe fatto bene ad accordarmi il suo consentimento piuttosto che indurmi a partire senza di esso; che ormai avevo diciott'anni e quindi era tardi per entrare quale apprendista in una bottega artigiana o per entrare come praticante nello studio di un avvocato; che se lo avessi fatto, senza dubbio avrei sprecato il mio tempo e prima del tempo stipulato avrei lasciato il mio padrone per correre a imbarcarmi; e se lei avesse persuaso mio padre a lasciarmi partire per un solo viaggio oltremare, e se una volta tornato indietro non fossi stato soddisfatto della mia esperienza, mi sarei trattenuto per sempre, promettendo fin d'ora di recuperare il tempo perduto con raddoppiata diligenza. Queste parole suscitarono in mia madre un accesso di collera. Sapeva benissimo, mi rispose, che era perfettamente inutile parlare a mio padre di un simile argomento; che lui sapeva benissimo quale fosse il mio interesse per dare il suo consenso a una cosa tanto nociva per me, e in verità ella era sorpresa che io potessi pensarci ancora, conoscendo le espressioni trepide e affettuose che egli aveva avuto per me; e che, per farla breve, se proprio volevo rovinarmi del tutto nessuno era in grado di impedirmelo, ma potevo considerarmi certo che non avrei mai strappato il loro consenso. Da parte sua non voleva aver parte alcuna nella mia rovina né darmi modo di constatare che mia madre volesse ciò che mio padre non voleva. Sebbene mia madre si rifiutasse di parlare della cosa a mio padre, in seguito venni a sapere che aveva riferito tutto il discorso a mio padre, ed egli, dopo aver espresso tutta la sua apprensione le disse con un sospiro: «Se volesse restarsene a casa, quel ragazzo sarebbe felice, ma se invece se ne andrà sarà il più infelice, il più sventurato degli uomini. No, io non posso acconsentire a una cosa simile.»
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