CAPITOLO 2
Atterrarono a Shelby, California, poco dopo le otto di sera. Il cielo era bellissimo, con le stelle che luccicavano in alto. Trisha scelse quella più luminosa e disse silenziosamente a sua madre del progetto di tornare a casa. Avrebbe potuto giurare che la stella avesse ammiccato. Prendendo la cosa come un buon segno, lasciò che lo stress si dissolvesse. Gemette mentre si alzava lentamente, allungandosi.
Una cosa che non le sarebbe mancata dell’essere pilota erano i voli fra Stati e internazionali dove restava seduta così a lungo. Aveva ancora dei problemi a rimanere ferma per lunghi periodi di tempo. Sapeva che la rigidità non se ne sarebbe mai andata. Era un altro fattore che aveva contribuito alla sua decisione di dimettersi. Stava prendendo la giacca dallo schienale del sedile e si stava allungando verso la porta della cabina quando Ariel le appoggiò una mano sul braccio.
“Sai che, qualunque cosa tu mi stia nascondendo, io capirò, vero?” mormorò Ariel, guardandola negli occhi. “So che qualcosa non va. Ci sarò sempre per te.”
Le lacrime le pizzicarono gli occhi. Avrebbe dovuto sapere che Ariel avrebbe notato che, negli ultimi tempi, non era in sé. “Lo so.” Trisha trasse un respiro profondo prima di dire di getto ciò che aveva temuto di raccontare alla sua migliore amica.
“Ho dato le dimissioni dalla Boswell International e tornerò a casa per lavorare con mio padre,” disse tutto d’un fiato. Il cuore le batteva all’impazzata mentre aspettava la reazione di Ariel.
Ariel inarcò un sopracciglio prima di scoppiare a ridere. “Tutto qui? Pensavo che fossi moribonda! Allora, da dove cominciamo?”
Trisha la guardò in un silenzio stordito. “In che senso ‘cominciamo?’”
“Io e te. So che tuo padre avrebbe bisogno di una mano. Da quando ce ne siamo andate, mi ha chiamato almeno una volta la settimana per aiutarlo con le scartoffie. In fondo, ero la sua commercialista prima che ce ne andassimo per arruolarci nell’aeronautica. Mi occupo di quasi tutta la sua contabilità da più di dieci anni,” disse sorridendo Ariel.
“C-cosa?” balbettò Trisha. “Non mi aveva detto niente! Non avevo idea che avesse dei problemi.”
“Non direi che ha dei problemi. È solo che ha sempre odiato tenere i registri. Preferisce inseguire novellini fra i boschi. Era da mesi che gli dicevo che vorrei tornare a casa, ma non volevo abbandonarti. Sono stanca di viaggiare. È da quando le cose sono andate male fra me ed Eric che mi dico che è ora di cambiare. Un paio di mesi fa, ho chiesto a tuo padre se mi avrebbe assunta, nel caso fossi tornata a casa,” disse Ariel con un sorriso sollevato prima di voltarsi e uscire dalla porta della cabina.
Trisha rimase a fissare la schiena della sua migliore amica con un sorriso sbalordito. Erano cresciute assieme nella cittadina di Casper Mountain, in Wyoming. Ariel, Carmen e Trisha contro il mondo. Dato che Trisha era figlia unica, era stato bellissimo fare amicizia con altre due ragazze vicine alla sua età. Ariel e Trisha erano dello stesso anno, mentre Carmen era di un anno più giovane.
Ariel aveva cominciato a lavorare per il padre di Trisha, occupandosi della sua contabilità fra il terzo e il quarto anno delle superiori. Entrambe le ragazze avevano frequentato delle università on-line durante le superiori e avevano ricevuto il diploma associato prima della fine della scuola.
Avevano appena cominciato il primo anno di università quando i genitori di Ariel e Carmen erano morti in un incidente d’auto. Trisha era certa che l’unica cosa che aveva permesso a Carmen di superare il resto dell’anno era la presenza del padre di Trisha e di Scott, il suo fidanzatino delle superiori.
Carmen e Scott si erano sposati pochi giorni dopo il diploma. Ariel e Trisha avevano deciso di arruolarsi nell’aeronautica, dato che entrambe volevano entrare nel programma spaziale. Ariel non ce l’aveva fatta… ma Trisha sì, prima dell’incidente, almeno.
Trisha si riscosse. Non voleva pensarci. Ci aveva pensato mille volte e finiva sempre allo stesso modo. Sorrise cinicamente. Non è forse questa la definizione della follia? pensò fra sé. Ripetere continuamente la stessa cosa aspettandosi un risultato diverso? Scuotendo la testa, attraversò la cabina e seguì Ariel giù dalla scaletta. Ridacchiò al ricordo di aver sentito Cara aprire la porta del jet quasi prima che si fermassero completamente.
Abby stava guardando Cara con aria titubante quando lei e Ariel le raggiunsero. Trisha si chiese se stesse pensando di dover dare loro la mancia o qualcosa di simile. Sembrava molto a disagio. Cara, da parte sua, sembrava impegnata a cercare di trovare una ragione per non risalire a bordo del jet. Trisha aveva la sensazione che si sarebbe legata alla fusoliera, se avesse potuto. Trisha non lo aveva mai detto a Cara, ma lei e Ariel sapevano che Cara era claustrofobica. Avevano già deciso di fermarsi per la notte. Era inutile stancarsi entrambe e stressare Cara al punto che lei le avrebbe fatte impazzire.
“È davvero tardi per ripartire subito. Vi andrebbe di trascorrere la notte a casa mia? È un po’ in alto sulle montagne, ma è davvero bella. Ho una camera libera, se non vi dispiace stare in due, e un grande divano che è ottimo come letto,” disse Abby, spostando nervosamente lo sguardo su tutte e tre.
Trisha stava per aprir la bocca per accettare quando Cara esalò il fiato con sollievo palese. Ci volle tutta la sua autodisciplina per non ridere. Ariel levò gli occhi al cielo mentre cercava di celare il sorriso.
“Ci sto!” disse entusiasta Cara. “Uscirei di testa se dovessi tornare su quella lattina. E mi piacerebbe molto conoscere il tuo uomo. Hai detto che ha dei fratelli? Ci sarebbe la possibilità di conoscerli fra questa sera e domani mattina? Adoro conoscere uomini nuovi. Sto cercando di superare il record della velocità con cui li faccio scappare. Credo che il più tenace abbia resistito dieci minuti.”
Trisha e Ariel risero. “Cara, credo che quel tale Danny sia durato dodici minuti. Tu cosa dici, Ariel?”
“Oh, almeno dodici. Forse anche tredici,” aggiunse Ariel.
Trisha ebbe un sussulto. Era stata lei a procurare l’ultimo appuntamento al buio di Cara. Non era stato uno dei suoi momenti migliori. Aveva deciso di farle una sorpresa a cena, invitando un docente di fisica dell’Università locale che viveva nell’appartamento di fronte al suo. Cara non era stata molto contenta della scelta. Facendo una smorfia, Trisha ammise che non poteva certo biasimare Cara. Il tizio le aveva trattate tutte e tre come delle imbecilli.
Cara aveva rapidamente rovesciato la situazione quando aveva cominciato a esporre la teoria dei buchi neri di Stephen Hawking (nei minimi dettagli) e il modo in cui essa poteva applicarsi alle relazioni. Il poveretto aveva avuto un attacco di asma nel bel mezzo della serata.
Non sarebbe andata poi così male, se non fosse stato per il fatto che Trisha era sulla buona strada per una bella sbronza, in quel momento, e non aveva assolutamente notato l’agitazione dell’uomo. Aveva presentato le dimissioni alla Boswell quel pomeriggio e aveva cominciato a festeggiare con un certo anticipo. Era rimasta davvero sorpresa quando aveva constatato che Ariel non era in condizioni molto migliori. Cara, essendo l’unica persona sobria del gruppo oltre al professore di fisica, aveva dato una bella occhiata a entrambe e si era messa a ridere. In quel momento, nonostante fosse ubriaca, Trisha aveva capito che Cara stava mettendo da parte quell’immagine per ricattarle. L’ultima cosa che Trisha voleva era ricordarglielo.
“Voi due siete matte. Eravate così ubriache che non ricordate nemmeno il suo nome. Si chiamava Douglas. ‘Non dougie.’” L’imitazione perfetta dell’offesissimo docente di fisica fece ridere Trisha e Ariel così forte che vennero loro le lacrime agli occhi.
“Ah, sì, il buon vecchio Dougie,” disse Trisha, asciugandosi gli occhi. “Come abbiamo fatto a dimenticarcene?”
Trisha guardò Abby e sorrise. Sapeva che quello che stava per dire era rivolto più a Cara che a loro, ma non lo avrebbe mai ammesso. “A differenza di certa gente che conosciamo, Ariel e io abbiamo bisogno di dormire per almeno otto ore più di una volta al mese per sopravvivere. Saremo felici di accettare entrambe le offerte.”
Abby si accigliò. “Entrambe le offerte?”
“Sì, il letto e i fratelli.” Trisha, Cara e Ariel sogghignarono.
Trisha stette al gioco, ma dentro di sé fece una smorfia. Somigliava molto a Carmen, da quel punto di vista. Non era ancora pronta per un’altra relazione. Ridacchiò silenziosamente. Forse somigliava più a suo padre. Papà non aveva mai trovato un’altra donna con cui sostituire la mamma. I genitori di Trisha si erano sposati molto giovani, più giovani di lei e Peter, ma il loro era stato un matrimonio perfetto. Erano sposati da poco più di quattro anni quando la mamma era morta all’improvviso.
Il padre di Trisha aveva dedicato tutto il proprio amore e le proprie attenzioni alla figlia piccola. Trisha sapeva che suo padre aveva avuto qualche storia nel corso degli anni, ma nulla di duraturo. Non aveva mai fatto sul serio con nessuna di quelle donne, per quanto loro cercassero di convincerlo a impegnarsi. Una volta, Trisha gli aveva chiesto il perché, ma lui si era limitato a fare un sorriso triste e a dire che non aveva mai trovato un’altra donna che accendesse in lui la stessa luce che accendeva sua madre. Paul le aveva detto che, se mai avesse trovato un’altra come la mamma, l’avrebbe portata via così in fretta che lei non avrebbe capito cosa stava succedendo. Lui e Trisha avevano riso e fatto un elenco di tutte le caratteristiche che lui cercava in una donna. Trisha aveva concordato che non avevano mai trovato una donna che rispondesse a tutti i requisiti.
Trisha si rendeva conto che anche lei aveva cercato quella persona speciale. Aveva creduto di averla trovata in Peter, ma evidentemente si era sbagliata. Tornò a concentrarsi su quello che stava succedendo quando Carmen li raggiunse silenziosamente da dietro.
“Apprezzo l’offerta, ma penso che soprassederò. Mi sono fatta portare un mezzo di trasporto. Credo che mi metterò in viaggio, dato che ho dormito per tutto il tempo,” disse sottovoce Carmen mentre appariva come dal nulla.
Trisha ascoltò Cara spiegare con entusiasmo a Abby che non ci avrebbe messo molto a prendere le sue cose. Ma era concentrata su Ariel. Era preoccupata lei. Sapeva meglio di chiunque altro quanto Ariel si preoccupasse per la sorella minore.
Tre anni prima, nessuna di loro pensava che Carmen sarebbe sopravvissuta. Ariel non aveva rinnovato l’impegno nell’aeronautica per poter stare in ospedale durante quelle prime settimane critiche. Fra la convalescenza di Trisha e quello che era successo a Carmen, Ariel aveva le mani piene tre anni prima, pensò con rammarico Trisha. Accidenti, doveva proprio concentrarsi. Se non fosse stata attenta, si sarebbe trasformata in una vecchia bisbetica.
“D’accordo. Noi ci metteremo una decina di minuti per chiudere tutto,” disse Trisha, lanciando un’occhiata preoccupata ad Ariel.
Trisha si voltò e salì la scaletta del jet. Non ci sarebbe voluto molto tempo a prepararsi. Dovevano solo chiudere a chiave il jet e prendere le borse. Trisha si allungò verso lo scompartimento vicino alla parte anteriore della cabina e tiro giù i borsoni suoi e di Ariel. Con un borsone in ciascuna mano, si voltò per scendere di nuovo i gradini. Incontrò Ariel in fondo alla scaletta. Ariel chiuse il portellone del jet prima di voltarsi verso Trisha e protendersi a prendere il borsone.
Nel porgere la borsa ad Ariel, Trisha mormorò: “Si riprenderà. Ci vuole solo tempo.”
Gli occhi di Ariel luccicavano di lacrime non versate. Si schiarì la voce prima di rispondere: “Sì, ma quanto tempo? Sono passati tre anni.”
“Sono passati tre anni anche per me e ancora non sono pronta,” rispose a bassa voce Trisha. “Ha perso una persona molto speciale per lei, Ariel. Non tutti guariamo alla stessa velocità. Guarda mio padre. Bisogna prendere un giorno alla volta e sperare che le cose migliorino,” concluse Trisha, guardando nell’oscurità con un’espressione tormentata.
“Mi dispiace,” disse Ariel, cingendola a sé con un braccio solo. “A volte, mi dimentico che tu sai meglio di me cosa sta passando Carmen. Grazie per essere rimasta vicina a tutte e due.”
“Ehi, altrimenti a cosa servono le sorelle?” disse Trisha con un ampio sorriso. “Ora basta discorsi tristi. Sono stufa di sentirmi una vecchia barbogia. Concentriamoci su quanto ci divertiremo a fare uscire di testa i novellini. Credo che la Marina continui a mandare i SEAL a mio padre perché li addestri. Non vedo l’ora di vedere che faccia faranno quando li beccherò.”
Ariel ridacchiò al pensiero. “Sei pessima! Lo sai che avranno bisogno di terapia dopo che tu li avrai fatti uscire di testa, vero?”
Trisha stava per rispondere quando udì una detonazione soffocata. Lei e Ariel avevano udito abbastanza spari da riconoscere immediatamente quel suono. Entrambe lasciarono cadere i borsoni e si misero a correre verso il parcheggio, da dove avevano udito il rumore.
Trisha fu la prima a oltrepassare la recinzione, seguita da vicino da Ariel. Trasse un sospiro di sollievo quando vide Cara e Carmen insieme. Cercò velocemente Abby con lo sguardo. Udì lo stridere dei copertoni e si voltò in tempo per vedere i fanalini di un furgone che lasciava il parcheggio ad alta velocità.
“Merda. Cos’è successo?” chiese Trisha.
Carmen parlò prima che potesse farlo Cara. La sua espressione era cupa e minacciosa. Si vedeva che era incazzata. “Uno stronzo è saltato addosso a Abby. Da quel poco che ho capito, non è contento che lei abbia scelto Zoran e non lui. L’ha colpita con qualcosa e l’ha ammanettata. Io lo seguo. Tenete aperte le comunicazioni; potrei aver bisogno di rinforzi.” Carmen si mise a correre verso una moto nascosta nel buio fra due hangar prima che chiunque potesse dire qualcosa.
“Ci serve un mezzo di trasporto,” borbottò cupamente Ariel mentre guardava sua sorella partire all’inseguimento del furgone.
“D’accordo,” disse Cara con voce tremante prima di attraversare di corsa il parcheggio semibuio diretta verso il furgone di Abby. Trisha la guardò sbloccare con agilità il furgone e avviarlo nel giro di pochi istanti.
Il volto di Cara si illuminò di un gran sorriso quando lei vide il sopracciglio inarcato di Trisha. “Una volta, avevo il vizio di prendere a prestito i veicoli altrui.”
Trisha scosse la testa mentre Ariel saltava a bordo del furgone, spostandosi al centro in modo da farla passare. Nel combattimento corpo a corpo, Trisha restava comunque migliore di Ariel. Suo padre le aveva insegnato a combattere, a volte in maniera non esattamente corretta. Paul sapeva che, se Trisha rimaneva da sola nei boschi, a volte per giorni o settimane, in compagnia di certi clienti, doveva essere in grado di difendersi in qualunque circostanza. Alcuni clienti non amavano perdere contro una donna.
Paul Grove sosteneva che non importava essere maschi o femmine quando c’era da combattere per la sopravvivenza. O si sapeva combattere per sopravvivere o si moriva. E lui si era assicurato che la sua bambina sapesse combattere per sopravvivere.
Trisha ascoltò attentamente la conversazione fra Ariel e Carmen. Quando Cara fece uno dei suoi soliti commenti improbabili, Trisha non riuscì a trattenersi dal rispondere. Solo Cara poteva pensare a eseguire lavori di meccanica durante un inseguimento.
Trisha levò gli occhi al cielo quando Cara fece un commento sulla ripresa del furgone di Abby. “Solo a te poteva venire in mente una cosa del genere durante un inseguimento in mezzo al nulla.”
“Ehi, guarda che ce la faccio a pensare a più di una cosa per volta,” disse Cara un attimo prima di prendere una curva su due ruote invece di quattro.
Trisha non fu l’unica a lanciare una lunga serie di imprecazioni che avevano imparato nell’aeronautica. Ariel le tenne testa mentre Cara rideva. Trisha non sapeva se volesse sapere dove Cara aveva imparato a guidare in quel modo.