«Non ti preoccupare, tra poco passerà» le disse lui.
«È... bello...» mormorò lei.
«Bene» disse l’albino, prima di spegnere la lucerna.
«Tu... tu ce l’hai un nome?» chiese lei.
Lui rimase in silenzio per qualche istante.
«Certo» disse, alla fine. «Mi chiamo Tyr».
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Viaggiavano da dieci giorni quando lo vide nutrirsi per la prima volta. Fino a quel momento Tyr non aveva né mangiato né bevuto. Aveva fatto in modo che lei avesse sempre acqua e cibo, ma lui non sembrava averne bisogno.
«No, no... ne ho bisogno anch’io» le aveva spiegato, quando Eno gliel’aveva chiesto. «Ma meno delle altre persone. E non mangio quello che mangiano loro».
Quel pomeriggio erano entrati in una piccola città lungo alla costa. Erano entrati di nascosto, lasciando il dromedario fuori dalle mura.
«E se qualcuno lo ruba?» chiese lei.
«Ne compreremo un altro» rispose Tyr. «Non voglio lasciarti da sola troppo a lungo».
Quella era un’altra cosa strana, in effetti. Tyr aveva delle monete d’oro, ma spesso non doveva nemmeno usarle. Guardava il mercante negli occhi e quello gli regalava tutto ciò di cui aveva bisogno.
Entrarono nella cittadina e si confusero tra la gente del suq. Tyr le comprò dei vestiti nuovi. La accompagnò all’hammam, in modo che si lavasse.
Poi, quando il tramonto era vicino, la prese per mano e la condusse nelle strette vie di pietra della cittadina.
«Non ti spaventare. Non vorrei portarti con me, ma non so dove lasciarti» le disse.
«Non mi spaventerò» disse Eno. Ormai era con lui da dieci giorni. Se avesse voluto farle del male l’avrebbe già fatto. Non sapeva che cosa Tyr fosse – e di certo non era una persona normale – ma Eno non aveva più paura di lui.
Percorsero i vicoli a casaccio, finché Tyr non trovò quello che cercava. Un giovane uomo appoggiato contro l’ingresso di una casa.
Tyr si avvicinò, senza lasciare la mano di Eno, e guardò il giovanotto negli occhi.
«Seguimi» gli disse, quando lui assunse l’espressione stuporosa che Eno ormai sapeva riconoscere. Il giovanotto li seguì docilmente in un altro vicolo, completamente deserto.
«Non ti allontanare» disse Tyr, lasciandole la mano.
Poi si voltò verso il giovanotto e gli alzò il mento con una mano. L’altro non oppose alcuna resistenza. Tyr si piegò sul suo collo ed Eno si rese conto che lo stava mordendo. Il ragazzo si appoggiò con la schiena al muro di una casa, mentre Tyr lo sorreggeva. Sembrava che... sì, Eno era sicura che stesse bevendo.
Il ragazzo chiuse gli occhi e iniziò a sospirare. Sconcertata, Eno vide i suoi larghi pantaloni gonfiarsi sul davanti. Sapeva benissimo che cosa significava. Era quello che succedeva a al-Badr Shan prima di...
Impaurita e disgustata, si allontanò di un passo, ma poi si fermò. Tyr le aveva detto di non spaventarsi. Tyr le aveva detto di non allontanarsi.
Come congelata, continuò a guardare.
Tyr beveva e beveva e il giovanotto si infilò una mano dentro i pantaloni. Tyr sembrò non farci caso. Eno lo vide toccarsi, muovere la mano su e giù, finché non emise un gemito più forte e una macchia bagnata non comparve sui suoi pantaloni.
Tyr si allontanò leggermente. Dal collo dell’altro colavano due rivoli di sangue sottilissimi. Tyr leccò la ferita, che a quel punto si richiuse.
Si allontanò appena, lasciando andare il ragazzo. Lui barcollò.
Delicatamente, Tyr gli tirò fuori la mano dai pantaloni. Gli sollevò di nuovo il mento.
«Dimenticami» gli ordinò.
Poi si voltò e tornò verso Eno.
«Ora è meglio che andiamo» le disse.
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«Che cosa è successo?» chiese Eno, quando furono accampati per la notte. Erano completamente al buio, quindi non riusciva a vederlo, ma probabilmente lui vedeva lei. Lui vedeva anche al buio, ne era sicura.
«Devo mangiare anch’io» le rispose Tyr, in tono vago.
Eno considerò la sua risposta. «Ed è questo che mangi? Sangue?».
«Non proprio».
Eno rimase in silenzio. Era solo curiosa, non preoccupata o spaventata. Era anche un po’ sottosopra per quello che aveva fatto quel ragazzo mentre Tyr beveva da lui.
«Non è solo il sangue... sono anche le sensazioni, sai. Ognuna ha il suo sapore. È difficile da spiegare».
«Ma perché... perché...» aggiunse lei, per poi interrompersi. Non capiva, ma non era sicura di poterlo davvero chiedere.
Tyr sospirò leggermente. «Ricordi quando ti ho curata?».
Eno lo ricordava perfettamente. Ricordava la sensazione di piacere formicolante e avrebbe voluto... be’, avrebbe voluto provarla ancora.
«Mh» si limitò a dire Tyr.
«È vero» sussurrò lei, con una certa urgenza. «È stato così bello».
«Dovevo guarirti» tagliò corto lui.
Eno si chiese perché fosse così reticente in merito. Perché quel ragazzo aveva cominciato a toccarsi? Per un istante aveva avuto paura che si divincolasse dalla stretta di Tyr e che... ma naturalmente era impossibile. Tyr non avrebbe mai lasciato che la raggiungesse. Né che le facesse del male. Non capiva perché la sensazione così gradevole che aveva provato lei in quel ragazzo fosse diventata una cosa così brutta.
«Non è una cosa brutta, di suo» le disse Tyr.
Eno restò in silenzio.
Ricordava che cosa avevano fatto al-Badr Shan e i suoi amici. Anche loro avevano quella parte dritta. E le avevano fatto male con quella parte. Non poteva essere una cosa bella.
«No, infatti non è stata una cosa bella».
«Non capisco» mormorò Eno.
«Capirai con il tempo».
Eno appoggiò il mento sulle proprie mani intrecciate, pensierosa. Guardò nell’oscurità dove sapeva esserci Tyr.
No, non riusciva a venirne a capo.
«Sono contenta che tu non abbia quella parte» disse, alla fine.
Tyr grugnì. Poi, per la prima volta in assoluto, Eno sentì la sua risata.
Quel nuovo suono continuò e continuò, nel buio, finché Tyr non riuscì a smettere.
«Mi dispiace deluderti, ma ce l’ho anch’io, quella parte. Solo che perlopiù non la uso. Adesso dormi e non preoccuparti, va bene?».
Eno, obbediente, chiuse gli occhi e cercò di addormentarsi.
Si chiese come fosse quella sua parte.
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Al-Andalus, così si chiamava quel posto. E quella città, la città in cui erano stati per quasi un anno, si chiamava Cordova. Secondo Eno era un posto magnifico. Il califfo, ʿAbd al-Raḥmân III, era un grande uomo, che oltre ad aver fatto costruire l’imponente Madînat al-Zahrâʾ fuori città, aveva anche incoraggiato la cultura.
Lei e Tyr avevano affittato delle stanze vicino al quartiere ebraico, in un palazzo vecchio ma ancora solido. Tyr si faceva passare per un eccentrico studioso. Eno non sapeva come avesse fatto a farsi lasciare in pace più o meno da tutti. Probabilmente aveva pagato. E poi, non davano fastidio a nessuno in realtà. Non facevano vita sociale. Solo Tyr, a volte, incontrava degli altri studiosi, mussulmani o cristiani.
Quella era un’altra specie che Eno aveva imparato a conoscere, anche se in città non ce n’erano molti e stavano per i fatti loro.
D’altronde, le cose che aveva imparato erano moltissime.
Aveva imparato a leggere e a scrivere, sia in arabo che in latino. Aveva imparato tre lingue nuove, anche se il catalano non lo parlava molto bene. Aveva imparato a cucinare (Tyr fingeva di mangiare).
Per tutti, lei era la figlia di Tyr. La gente, comunque, non la smetteva di fare facce strane, quando uno dei due lo diceva.
«Devi abituarti» le spiegò Tyr, quando lei gli chiese spiegazioni. «Le persone di solito si accoppiano tra simili. Io sono troppo chiaro sia per gli arabi che per i cristiani, tu sei troppo scura per entrambi. Quando gli dici di essere mia figlia immaginano che io abbia sposato una donna scura quanto te e questo non gli piace».
«Perché non gli piace?».
«Perché... mah. Per un sacco di motivi. Per la religione. Loro pensano che io sia cristiano e pensano che una donna nera non possa essere cristiana».
Eno sorrise. «Io sono mussulmana, infatti. Be’, a volte».
«Anch’io sono mussulmano, a volte. È difficile non schierarsi. Ma alla lunga questo sarà un problema. Dovremmo andarcene, sai».
«Oh, Tyr... ma...»
Lui le rivolse una lunga occhiata. «Dovremmo andarcene quando diventerai troppo grande per essere mia figlia. E ci siamo quasi».
«Be’, possiamo dire che sono tua moglie».
Tyr rise sottovoce. «Possiamo senz’altro dirlo, ma da un’altra parte. Penso che dovremo tornare a sud».
«Ma io voglio vedere il nord! Voglio vedere la Francia. Voglio vedere l’Inghilterra! Voglio vedere i posti da cui vieni tu!».
Tyr si accarezzò il mento, pensieroso. «Eno, potrebbe essere un po’ complicato. Più sali verso il nord, più la gente è chiara. Potresti essere la mia schiava, ma sarebbe comunque scandaloso».
«Perché?» chiese lei, esasperata.
Lui sbuffò. «Maledizione. Eppure hai letto. Hai studiato. Sai quali sono le conseuetudini cristiane. Perché un tizio abbiente a sufficienza da avere una servitrice dovrebbe avere una servitrice? Solo una? Giovane e bella? Nera come l’ebano? Niente moglie?».
«Be’, pensarebbero che fai con me quello che fai... con quelle donne, no? So che cosa fai con loro. L’ho visto. Non è niente di grave».
«Lo so che l’hai visto, anche se ti avevo chiesto di non farlo. E secondo i cristiani è peccato. O meglio, la parte divertente è peccato, la parte nutritiva è un abominio meritevole del rogo, probabilmente».
Eno gli lanciò un’occhiataccia. «Non riuscirebbero mai a catturarti» disse, in tono molto sicuro.
«Non possiamo andarci lo stesso. Ci sono molti... problemi. Non sono l’unico a essere... così. O forse sì, non lo so. Ma ci sono altri bevitori di sangue vecchi quanto me. Oppure più giovani, non importa. Per te sarebbero comunque letali. E a nord ci sono i lupi».
«I lupi?» sorrise Eno. «Dove sono cresciuta io ci sono i leoni».
Tyr le accarezzò una guancia, quasi intenerito. «Un giorno ti farò vedere la neve, te lo prometto. Ora, però... tra non molto... torneremo oltre il mare, verso sud».
Eno, rassegnata, chinò la testa e si godette il tocco della sua mano.
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Balarm splendeva nella notte, mentre Eno tornava verso casa. Le porte delle taverne erano illuminate e in alto si scorgeva il Quasr, il palazzo dell’emiro. L’aria era calda e piena di odori.
Eno si infilò nel vicolo dove lei e Tyr avevano affittato delle stanze, coprendosi bene la faccia con il velo. A quell’ora non avrebbe dovuto essere in giro, ma a Balarm i costumi erano rilassati, quindi non era troppo preoccupata. Quell’isola le piaceva ancora di più di Al-Andalus, e quella città era bella quanto Cordova.
Salutò con un cenno del capo il figlio del fabbro, che come tutte le sere sedeva all’esterno della bottega del padre affilando le sue lame.
«Di’ al tuo padrone che il suo pugnale è pronto» le disse lui, guardandola con occhi ammirati.
«Lo farò» rispose lei, senza dargli eccessiva confidenza.
«Forse non vuoi ancora... rientrare, però» ribatté l’altro.
Eno inarcò le sopracciglia.
«Non è da solo».
Lei scrollò le spalle e continuò per la sua strada. Doveva essere una di quelle sere. Una delle sere in cui Tyr si nutriva.
Eno provava dei sentimenti contrastanti al riguardo. Razionalmente capiva che anche lui aveva bisogno di mangiare e Tyr le aveva spiegato che il sangue non era sufficiente.
Dall’altro, ogni volta in cui lo sapeva con una donna provava una rabbia sorda nei suoi confronti. Non ne avrebbe saputo spiegare le ragioni, però era così.
Anche se, in fondo, avrebbe saputo spiegarne le ragioni.
Spinse la pesante porta di legno delle stanze che dividevano ed entrò. L’interno era buio, ma lei accese la candela accanto all’ingresso. I rumori si sentivano fin di lì.
Be’, i rumori si sentivano in tutto il quartiere, probabilmente. I gemiti sonori e fastidiosi di una donna. Quasi certamente una prostituta, dato che Tyr non si curava della qualità delle sue cene.
«Oh, ti prego, continua...» ansimava la donna, così forte che persino l’emiro nel suo palazzo avrebbe potuto dire che le piaceva.
Eno fu presa da una rabbia sorda.
Con la candela in mano, superò le tende che dividevano l’ingresso dalla stanza dello studio e quelle che dividevano quest’ultima dalla camera di Tyr.
La scena era più o meno quella che immaginava (e la immaginava perché ne aveva viste di simili un certo numero di volte).
La donna era sul letto, nuda. In realtà sarebbe stato più corretto dire che era sul bordo del letto, con le gambe sollevate e divaricate e i piedi sulle spalle di Tyr. Tyr, nudo anche lui, era inginocchiato ai piedi del letto, con la testa tra le gambe di lei. Stava bevendo, con quella parte che tutto sommato aveva ben dritta tra le cosce. La donna ansimava e gemeva senza ritegno, artigliando le lenzuola con le mani.
«Fuori di qua» disse Eno, a voce bassa.
Tyr sollevò la faccia. Aveva la bocca e il mento sporchi di sangue e quello Eno non l’aveva mai visto. La donna continuò a godere.
«Ottima attrice» commentò Eno, sarcastica.
Tyr si chinò per darle un’ultima leccata, poi tornò a guardarla. «Non parlare di cose che non conosci» disse, senza nessuna particolare inflessione. Si alzò e si appoggiò tra le gambe della donna. Le prese il mento, cercando i suoi occhi. «Shh...» mormorò. Lei si azzittì. «Vestiti e vattene. Non ti ricorderai di me».