Capitolo 1
L’Uomo Grigio era fermo sul bordo del prato, intento a guardarmi.
Non era la prima volta che mi capitava di incontrare tipi come lui. Era già successo in passato—solevano guardarmi, aspettando in silenzio e completamente immobili, come serpenti. Io avevo cominciato a chiamarli “Uomini Grigi”, perché la loro pelle era esattamente così: grigia e carnosa. Erano alti, tremendamente magri, ingobbiti in avanti e i loro occhi era vuoti.
Ed erano sempre fissi su di me.
L’ultima volta che ne avevo visto uno era stato un anno prima, eppure—nonostante fosse passato già del tempo—non mi ritrovai per niente stranita di ritrovarmene uno dietro adesso, seppure fossi al mercato. In passato si mostravano sempre quando ero da sola, senza nessuna protezione.
Ma non ero più da sola, ormai.
Deglutendo con fatica, mi nascosi tra gli stand del mercato, cercando di mettere velocemente quanta più distanza tra me e lui potessi. Avrebbe anche potuto seguirmi in altri posti, ma fin quando restavo al mercato, non poteva farmi nulla. Fino a quando fossi rimasta in mezzo alla gente, lui non si sarebbe avvicinato. Non lo faceva mai.
Mia sorella gemella si fermò a guardare dei prodotti su uno degli stand di fronte a lei. Mentre mi avvicinavo, la gente attorno a me evitava il mio sguardo, o lasciava libero il passaggio. Non per me; per gli enormi guerrieri che camminavano dietro di me. I miei protettori: i grandi guerrieri conosciuti come Berserker.
«Guarda, Fleur», disse mia sorella. Anche lei aveva una guardia Berserker accanto, un gigante enorme che, però, al contrario dei miei dietro, era il suo compagno. Era fermo accanto alla sua spalla, a gettare ombre su di lei, ma mia sorella non gli dava particolare attenzione. Io seguivo il suo esempio con i due guerrieri dietro di me: due alti, tremendamente muscolosi guerrieri di nome Arne ed Erik.
Mentre io, mia sorella e i tre guerrieri ci avvicinavamo allo stand pieno di tessuti colorati, il proprietario dall’altro lato del bancone mandò giù la paura e si fece improvvisamente pallido. Dietro di lui, la moglie si nascose quando più possibile lontano da noi, portandosi indietro anche i bambini, facendosi il segno della croce immediatamente.
Muriel sembrò non farci neanche caso.
«Questo nastro ti starebbe benissimo sui capelli» mi disse, alzando il nastro dorato verso di me. Io abbassai subito la testa gentilmente, lasciandole controllare da sé se il colore andasse bene con i miei capelli, e mi morsi la lingua per evitare di dirle che niente avrebbe mai potuto rendere i miei capelli, di un dorato slavato e terribilmente deboli a causa della mia costante malattia, più belli o accettabili.
«È bellissimo» continuò Muriel, ed io mi ritrovai ad annuire con molto meno entusiasmo di lei. Non mi servivano nuovi nastri o nuovi vestiti—vivevo in una caverna in montagna, controllata e circondata da enormi guerrieri bruti, non in un palazzo pieno di donne di corte e Lord—però il venditore e la sua famiglia mi facevano pena. Comprare quelle cose avrebbe giovato principalmente loro, anche se niente avrebbe potuto cancellare la paura nei loro occhi intenti a guardarci.
Il compagno di Muriel aleggiava su di lei, la faccia sfregiata, la testa rasata, l’enorme ascia che portava in spalla e quell’espressione così seria che cozzava così tanto con quel sorriso splendente che la sua compagna, invece, aveva in viso. Muriel era davvero, estremamente contenta di essere al mercato. Era ormai passato un anno da quando i Berserker erano venuti a prenderci nella nostra piccola casa, e questa era la prima vera uscita fuori dai loro territori lontani da allora. Nonostante avesse trovato il suo posto all’interno del branco insieme ai suoi compagni, Muriel amava stare in mezzo alla gente. Le era mancata la civiltà.
«Che colori accesi» aveva detto, rivolgendosi al venditore, che immediatamente strinse il bordo del tavolo come fosse l’unica cosa in grado di tenerlo in piedi. «Come riesce a farli?»
«È una ricetta segreta, che comprende spezie provenienti dall’Est, ed erbe di questa terra.»
«Affascinante» rispose lei. «E così bello! Fleur, con i tuoi capelli chiari è una meraviglia.»
Nonostante io e Muriel fossimo gemelle, i suoi capelli erano scuri come quelli di Brenna. I miei, invece, erano dorati come quelli di Sabine. «Questo lo prendiamo per te. Io, invece, prendo quello viola» disse, indicando i due, ma quando il venditore si avvicino per darle ciò che aveva chiesto, il compagno di Muriel lasciò andare un ringhio.
Lui immediatamente fece cadere l’offerta sul tavolo, tremando. «Perdonatemi, mio signore» disse, voce tremante.
«Va tutto bene» rispose Muriel, lanciando una piccola occhiata al suo compagno. Poi prese il nastro e lo misurò con i suoi capelli. «Mio marito è solo molto protettivo.»
Facendo un verso di scontento mentre guardava le armi dei guerrieri con noi, il venditore disse il prezzo per quei nastri.
E quando ce ne andammo, lo lasciammo spaventato ma molto più ricco. Poi continuammo a camminare verso altri stand, pieni zeppi di carne. Muriel andò avanti, le dita strette tra quelle del suo enorme compagno, e parlava con lui come se lui non fosse intento, nel frattempo, a fissare con occhi serrati ogni singolo uomo che si permetteva di guardare la sua compagna per un secondo in più del dovuto.
Io rimasi in silenzio, e continuai a controllare l’Uomo Grigio con la coda dell’occhio. Continuava a muoversi intorno al campo fuori dal mercato per tenermi d’occhio, ma sempre a debita distanza. Con i guerrieri al mio fianco sapevo di essere al sicuro, ma nonostante questo non riuscii ad evitare il nodo che sentii stringermi lo stomaco. Gli Uomini Grigi non erano riusciti ad avvicinarsi a me da quando i Berserker ci avevano prese, ma prima… quando eravamo soltanto io e le mie sorelle nella nostra casa, ero costantemente costretta a scappare da loro e nascondermi meglio che potessi, eppure il solo vederli riusciva a lasciarmi così senza forze che mi ritrovavo ad essere sempre malata.
«Muriel», sussurrai quando notai le nostre tre guardie distrarsi, «lo vedi quell’uomo?»
«Dove?» mi chiese lei, tenendo la voce bassa come la mia.
«Proprio lì, sul bordo del recinto degli animali.» Il bestiame si era allontanato dall’altro lato del recinto, quanto più lontano possibile dall’Uomo Grigio. Nessuno degli abitanti del villaggio sembrava andargli vicino. Le descrissi lo strano osservatore, e Muriel aggrottò la fronte.
«Vedo un uomo anziano appoggiato sul recinto, e le mucche poco lontano, ma nessuno con la pelle grigia come l’hai descritta.»
L’Uomo Grigio era, di fatto, appoggiato sul recinto. E immediatamente sembrò mettersi dritto quando si accorse che lo stavo guardando.
«Non guardare», sibilai.
«Fleur, chi è?»
«Non lo so.»
Chiusi gli occhi quando la mano di mia sorella andò inevitabilmente a toccare la mia fronte.
«Non hai febbre», disse. «Sei sicura di aver visto una creatura simile?»
«Sì. Non preoccupartene» dissi però, decidendo che far spostare l’attenzione di quell’uomo su mia sorella l’avrebbe soltanto messa in pericolo. Mi sarei occupata dei miei incubi da sola.
Osservai il cibo che le nostre guardie ci portarono, incapace di mangiare. Muriel continuò a parlare con il suo compagno, ma riuscivo a sentire il suo sguardo cadere su di me di tanto in tanto, preoccupato. Quando ero piccola, mi era capitato spesso di chiedere a mia madre o agli adulti intorno a me se riuscissero anche loro a vedere le cose terrificanti che mi ritrovavo accanto, ma le loro facce costantemente stranite o preoccupate mi aveva fatto intendere ben presto che non erano vere. Che fossi l’unica a vederle, ed era meglio tenerle per me.
L’unica persona con cui ne parlavo era Muriel, a cui però avevo fatto promettere di mantenere il segreto. Le mie due sorelle maggiori si preoccupavano della mia salute già abbastanza senza bisogno di sapere delle mie visioni.
Mi sedetti, cercando di ignorare l’Uomo Grigio, la testa che scoppiava come se cercasse di farmi esplodere il cervello. Il mio stomaco prese a brontolare, ma non per la fame.
«C’è qualcosa che non va, ragazza? Non ti piace la carne?» chiese una delle mie guardie, sporgendosi verso di me.
«No, va tutto bene, signore» risposi, tenendo lo sguardo basso. Mani ruvide e tatuate si avvicinarono alla mia ciotola, e la mia pelle prese a pizzicare come ogni volta che quel particolare guerriero si avvicinava a me: era stato il primo uomo tra i Berserker che avevo incontrato, quando i guerrieri erano venuti a prenderci nella nostra capanna—Erik, si chiamava, un norvegese che aveva vissuto nell’isola per abbastanza tempo da prendere il leggero accento degli abitanti del posto. Aveva il viso coperto da una barba accuratamente tagliata, e i tatuaggi gli scorrevano sulle braccia muscolose.
«C’è qualcosa che puzza di marcio. Che ne dici, Arne?» Erik passò la mia scodella alla seconda guardia, un guerriero dalla pelle abbronzata con la testa rasata e un naso ad uncino. Arne non era né della Norvegia né di Alba, ma di terre lontane di cui io non avevo mai sentito parlare. Con la sua pelle leggermente scura e quella sua bellezza esotica, era difficile non notarlo in mezzo a tutti i guerrieri pallidi. All’orecchio portava un orecchino fatto di piuma.
«Lo sento anch’io. Ma non è la carne», disse, alzando la testa e controllando il mercato. Il mio stomaco si strinse dal panico. L’istinto mi diceva che gli Uomini Grigi erano pericolosi… e se lo erano, i Berserker non ci avrebbero pensato due volte ad attaccare. Farsi prendere dalla loro Bestia in un posto così pieno di gente sarebbe stata la fine, ed io non potevo permettere a gente innocente di morire.
«Forse dovremmo andare a visitare l’altro lato del mercato» proposi immediatamente, e senza aspettare le loro risposte presi a camminare. Mi sentii pizzicare la pelle della schiena; sapevo che l’Uomo Grigio mi stava ancora guardando.
Il vento sembrò cambiare, portando via la puzza di marcio e invadendo le mie narici del profumo della carne e dello stufato. I due Berserker mi camminavano al fianco.
«C’è altro che ti piacerebbe comprare?» mi chiese Erik, camminando insieme a me. Io allungai il passo di due.
«No, signore.» Non c’era niente che mi serviva. Le mie sorella avevano i loro compagni—due guerrieri ciascuna—per cui farsi belle. Con la mia forma magra e malata, non sarei riuscita a farmi bella in ogni caso, neanche se avessi voluto. Neanche se avessi avuto qualcuno per cui farmi bella, in ogni caso.
«Niente proprio? Abbiamo abbastanza oro da comprarti qualsiasi cosa tu voglia» disse ancora, allungando la mano per fare un gesto verso tutto il mercato.
Io sospirai. Eravamo venute qui perché avrei dovuto comprare del materiale per un nuovo vestito. Le mie sorelle lo avrebbero creato per me, perché Metà Estate era alle porte. L’ultima febbre che mi aveva relegata a letto era ormai andata via quasi una Luna prima, e questo significava che era arrivato il momento, per me, di trovarmi un compagno. Sarebbero stati gli Alpha a scegliere a chi sarei andata. L’ultima volta, per Muriel avevano organizzato dei Giochi a cui tutti i guerrieri avevano partecipato per provare a vincere la sua mano. Fortunatamente, lei mi sembrava parecchio contenta dei suoi compagni.
Per qualche motivo, i Berserker prendevano la loro compagna in coppia, e le mie sorelle ed io eravamo le uniche donne in grado di spezzare la maledizione che giaceva sulle spalle di questi guerrieri. Avevamo dentro di noi una magia gentile, latente, che riusciva a placare la Bestia che dava ai Berserker la loro forza, e toglieva loro qualsiasi possibilità di vivere in pace, di vivere una vita normale.
Muriel, Sabine e Brenna erano già state reclamate. Presto sarebbe stato il mio turno.
Se fossi riuscita a sopravvivere fino a quel momento.
L’Uomo Grigio prese a camminare sul bordo del campo un’altra volta, trovandomi di nuovo.
Affrettando il passo, girai l’angolo e mi ritrovai faccia a faccia con un grande cane nero, una bestia di dimensioni enormi che mi arrivava alla vita.
Non un cane. Un lupo. Un Berserker.
Le persone attorno a noi si fecero improvvisamente silenziose, andando via piano piano. Non ero certa di sapere cosa le rendesse più nervose: gli enormi guerrieri dalle facce brute con le loro armi, o l’enorme lupo che camminava per la strada.
«Gunnr» sorrisi. Lui era l’unico Berserker con cui mi trovavo a mio agio. Era sempre nella sua forma da lupo.
Il lupo si avvicinò a me, strisciando sulle mie gambe con delicatezza, ed io lasciai che la mia mano scivolasse sul suo pelo morbido. Non si scostò dal mio tocco, così mi inginocchiai per guardare il suo viso, i suoi occhi dorati così diversi da qualsiasi altro lupo. Innaturali, e intelligenti.
E lo sguardo che mi risolve in risposta al mio sembrava quasi… consapevole. Come sapesse che c’era qualcosa che non andava.
«Fleur? Dov’è che andavi, così di fretta?» mi chiese l’ombra che cadde immediatamente sopra di me, Erik. Arne era immediatamente dietro di lui.
«Da nessuna parte. Credevo solo di aver visto—», ma non riuscii a finire la frase, perché un dolore lancinante sembrò scoppiare dentro la mia testa, facendomi chiudere immediatamente gli occhi. Sentii qualcosa scivolare vicino la mia bocca; mi toccai il naso, e le mie dita si tinsero di rosso. Sangue.
Gunnr guaì, come se provasse dolore per me.
Alzai la testa.
L’Uomo Grigio era improvvisamente a meno di un metro da me. I suoi occhi erano spenti ed opachi; gli occhi dei morti. La sua mano scheletrica si alzò immediatamente, indicando me.
La mia testa prese a scoppiare nuovamente.
«Fleur, che ti succede?» chiese Arne nello stesso momento in cui Erik chiese, «Che sta succedendo?»
Sentii il rumore del metallo delle loro armi mentre le prendevano.
«No! Non è niente, non fate del male a nessuno—» dissi, e il mio stomaco si strinse in una morsa dolorosa, costringendomi ad interrompere le mie parole. Il mondo sembrò vorticare attorno a me, i miei piedi persero contatto con il terreno. Le mie gambe presero a tremare, segno che la crisi stava cominciando.
Afferrai il braccio di Erik, aprendo la bocca alla sua espressione selvaggia, cercando di rassicurarlo che stessi bene, che queste crisi mi erano già capitate. La mia testa cadde indietro, i miei denti presero a sbattere ad ogni convulsione.
«Fleur!»
«Presto, prendila—»
Mani forti mi strinsero a sé. Poi, un corpo muscoloso premette contro la mia schiena, e delle braccia gentili mi incatenarono.
Il tremore sembrò venire meno in quel momento. Ero sul grembo di Arne, la testa poggiata sul suo braccio.
«Che cosa è successo?» chiese Muriel, correndo verso di me.
«Adesso sta bene» risposte Erik, accarezzando i miei capelli con dolcezza.
«La tengo io», continuò Arne, alzandosi con me. «Andiamo via. Questa gita è finita.»