Jesse rotolò faticosamente in ginocchio prima di appoggiarsi al muro per alzarsi. Era rimasta immobile per quasi tre ore prima che le luci nell’altra stanza, finalmente, si spegnessero. Trattenne un gemito quando i suoi muscoli irrigiditi protestarono. Non era sicura se i tre uomini e la donna si sarebbero mai messi a letto. Il tipo grosso era uscito ogni mezz’ora per entrare nel furgone e uscirne di nuovo.
Si chinò a raccogliere lo zaino prima di esalare un sospiro di rassegnazione. Non ce la faceva. Non poteva abbandonare l’alieno al suo destino. Aveva sentito gli altri parlare di quello che gli avrebbero fatto. Tanto sarebbe valso conficcargli il coltello da caccia di suo padre nel cuore, se l’alieno ne aveva uno, piuttosto che lasciarlo nelle mani di quei pazzi furiosi.
Dopo essersi raddrizzata nuovamente, Jesse trasse un respiro profondo dietro la sciarpa nera che le copriva la maggior parte del viso. Avrebbe liberato l’alieno. Beh, avrebbe allentato per quanto più possibile i suoi legacci e lo avrebbe lasciato in grado di fare il resto da solo mentre lei scappava all’impazzata. Passò una mano sul set di chiavi universali che suo padre le aveva insegnato a usare. Sarebbe stata una grossa perdita, ma non aveva molta scelta.
Jesse posò lo zaino nero appena all’interno dell’apertura nella quale si era intrufolata in precedenza. Forse sarebbe stato meglio per lei fuggire velocemente, ma questa volta non poteva abbandonare il cibo. Le sue sorelle ne avevano disperatamente bisogno.
Estratto il coltello da caccia di suo padre, passò lo sguardo sulle macerie prima di uscire silenziosamente. Diede una lunga occhiata alla zona prima di correre rapidamente alla fiancata del furgone. Dopo aver premuto la schiena contro il metallo freddo, attese per diversi lunghi istanti, le orecchie tese. La sua fronte si imperlò di sudore, sebbene l’aria fosse gelida. Riuscì persino a sentire l’umidità che le scivolava in mezzo alle scapole, a riprova della sua paura.
Ma Jesse rifiutò di cedere al terrore che minacciava di strangolarla. Non poteva lasciarlo alla morte, anche se era un alieno. Nessuno meritava una morte come quella che gli uomini e la donna avevano in mente per lui. Se non fosse riuscita a liberarlo, il minimo da fare era togliergli la vita in maniera più umana.
Jesse si mosse lentamente, fermandosi ad ascoltare nel caso qualcuno fosse uscito ancora una volta per controllare il furgone. Sentì il cuore martellarle nel petto nell’allungare una mano e sfilare con prudenza la sbarra che bloccava il retro del furgone. Le tremarono le mani mentre apriva il portellone quanto bastava per infilarsi all’interno.
Il silenzio e l’oscurità che la accolsero la fecero ansimare. Non aveva mai visto uno degli alieni da vicino, in precedenza. Aveva sempre fatto tutto ciò che poteva per tenersi il più lontano possibile da loro, per cui non aveva idea di cosa stesse per vedere.
Frugò nella tasca frontale dei pantaloni cargo in cerca della piccola torcia a stilo che portava sempre con sé. La accese e passò la luce sul pavimento fino a quando vide la gamba di un tavolo di metallo. Facendo un timido passo avanti, passò la luce lungo il tavolo finché trovò gli enormi stivali dell’alieno.
Avanzò con passo felpato, fino a trovarsi all’altezza dei piedi della creatura. Si accigliò quando vide le spesse catene che lo bloccavano sul tavolo metallico. Risalì lungo il suo corpo, fissando le catene che ricoprivano ogni centimetro di esso. Puntò la luce verso gli angoli e notò che c’era un bloccaggio centrale a ogni angolo. Passò a controllare la sommità del tavolo metallico per verificare se ci fossero bloccaggi anche lì.
Si immobilizzò quando il suo sguardo incrociò quello di un paio di occhi gialli che la guardavano con rabbia silenziosa. La sua mano cominciò a tremare così forte che dovette usarle entrambe per tener ferma la torcia.
“Ecco…” esordì in un mormorio soffocato. Si leccò le labbra asciutte dietro la sciarpa prima di abbassarla con impazienza sul mento quando ebbe la sensazione di stare per soffocare. “Dunque… ah, che diamine.”
Jesse fissò gli splendidi lineamenti dell’uomo che giaceva sul tavolo. Nonostante il bavaglio alla bocca, lei capì subito che costui era di una bellezza esotica. Aveva lunghi e folti capelli neri, scostati dal viso. I suoi occhi erano della forma di quelli di un leone o di una tigre. Erano di un giallo profondo, quasi dorato, e brillavano riflettendo la luce della torcia. L’alieno aveva gli zigomi alti e delle piccole creste lungo il naso, che era più piatto di quello di un umano. Lo sguardo di Jesse scese lungo le sue spalle e il suo petto. Aveva pochissimi peli, considerato che sembrava in parte felino. Ma una caratteristica risaltava al di sopra di tutte: era gigantesco! Doveva superare i due metri e dieci, e Jesse non aveva mai visto un uomo altrettanto muscoloso, se non nei film.
Il suo sguardo tornò di scatto a incrociare quello dell’alieno quando percepì, più che sentirlo, il lieve rombo di un ringhio provenire da lui. Fu allora che si rese conto di aver lasciato cadere la mano sinistra sul suo ventre. Arrossendo, si staccò rapidamente la mano e si avvicinò di un passo alla testa dell’alieno. Doveva fargli capire che era venuta ad aiutarlo.
“Fai silenzio, per favore,” mormorò accanto al suo orecchio. “Se mi scoprono, mi uccideranno o peggio, e io non posso… Devo andarmene. Adesso ti toglierò il bavaglio dalla bocca. Annuisci due volte se capisci quello che sto dicendo.”
Allontanò la testa quanto bastava per verificare se l’alieno la capisse. Rassicurata che era così nel vederlo annuire due volte, staccò con prudenza un angolo del nastro. Poi, con un’occhiata di scuse, glielo strappò dalla bocca. Non appena il nastro fu rimosso, l’alieno voltò la testa e sputò il bavaglio.
Per poco Jesse non si diede alla fuga quando l’alieno riportò su di lei lo sguardo ostile e snudò i denti. Spalancò gli occhi e si morse il labbro in preda all’indecisione. Una sensazione di panico cominciò ad attraversarla per la decisione assurda che aveva preso. Se gli umani fuori dal furgone non l’avessero trovata e uccisa, l’alieno al suo interno aveva l’aria di chi lo avrebbe fatto senza alcuna esitazione.
“Ascoltami, per favore,” implorò disperatamente lei, lanciando un’occhiata alla porta prima di riportare lo sguardo sull’alieno. “Vogliono ucciderti in un modo molto brutto e doloroso. Non… non posso permettere che lo facciano, ma non posso nemmeno permettere che tu mi uccida. Capiscimi, per favore. Posso aprire i lucchetti che ti trattengono. Li aprirò tutti, tranne uno.”
Le tremò la mano mentre la allungava per sfiorare il viso dell’alieno. Aveva bisogno che lui le credesse. Aveva bisogno di essere certa che non le avrebbe spezzato il collo, oppure, pensò abbassando lo sguardo sui suoi denti affilati, che non le avrebbe strappato la gola a morsi quando lei si sarebbe chinata su di lui. Gli toccò delicatamente la mascella per fargli capire che non aveva cattive intenzioni.
“Ti mostrerò come usare le chiavi che ho qui per aprire il lucchetto. Una volta libero, devi andare verso sinistra. C’è una porta, all’estremità opposta dell’edificio, che ti guiderà all’esterno. A dieci isolati a ovest da qui ci sono alcuni dei tuoi. Ti aiuteranno,” mormorò Jesse, guardando fisso negli occhi dell’alieno mentre gli accarezzava gentilmente la mascella col pollice. “Capisci quello che ti ho detto?”
“Sì.”
Jesse gli rivolse un sorriso tremante prima di avvicinarsi a uno dei lucchetti vicino alla sua testa. Posata la torcia, estrasse il set di chiavi universali dalla tasca e si mise al lavoro. Impiegò diversi minuti ad aprire la serratura. Dopo averla fatta scattare, tolse il lucchetto il più silenziosamente possibile e lo posò sul fondo del furgone prima di passare a quello successivo. Nel giro di pochi minuti, aveva liberato le braccia dell’alieno. “Aspetta,” mormorò quando lo vide cominciare a levarsi le catene dal torso. “Dobbiamo fare il più in silenzio possibile, almeno finché non sarò riuscita a liberarti un piede. Riesci a togliere le catene in silenzio mentre io lavoro sull’altro lucchetto?”
“Sì,” sibilò l’alieno.
Jesse annuì in preda al sollievo. Cominciava ad avvertire un barlume di speranza: forse ce l’avrebbe fatta ed entrambi sarebbero riusciti a fuggire e ad andare ciascuno per conto proprio. Ora aveva acquisito familiarità coi lucchetti e impiegò solo pochi istanti per aprire il terzo di quelli che tenevano prigioniero il maschio. Stava per spiegargli come usare le chiavi, ma un rumore di passi proveniente dall’esterno del furgone attirò l’attenzione di entrambi.
Jesse guardò spaventata l’enorme maschio ora seduto sul tavolo. I suoi occhi corsero all’ultimo lucchetto. Doveva aprirlo, o l’alieno sarebbe stato un bersaglio facile per quelle persone. Si infilò fra la parete del furgone e il tavolo e si mise freneticamente al lavoro. I rapitori avrebbero capito che qualcosa non andava quando avrebbero visto il portellone aperto. Le tremavano le mani così tanto che, in più di un’occasione, per poco non le caddero le chiavi.
Avrei dovuto abbandonarlo, pensò Jesse mentre, alla fine, il lucchetto si apriva. Ho ucciso le mie sorelle e me stessa per salvare chi è responsabile della nostra situazione attuale.
Jesse ricadde all’indietro, scivolando fra il tavolo e la parete del furgone, mentre l’enorme maschio si levava l’ultima delle catene di dosso e le avvolgeva attorno alle mani massicce. Jesse si morse il labbro nel guardarlo sporgersi in avanti per un istante, come pronto ad attaccare. E fu proprio quello che fece quando loro due sentirono borbottare un’imprecazione fuori dal portellone. Tutto ciò che lei vide fu un lampo di movimento prima che il portellone esplodesse verso l’esterno.
Jesse non attese di vedere cosa sarebbe accaduto. Aveva fatto il possibile per salvare l’enorme alieno. Ora spettava a lui tornare dalla sua gente. Lei aveva la sua famiglia da proteggere. Balzata fuori dal retro del furgone, rotolò sotto di esso prima di uscire dalla parte opposta, vicino al suo vecchio nascondiglio. Afferrò lo zaino nero e si infilò fra le lastre di metallo strappato, ignorando il dolore quando il bordo tagliente le fece un profondo taglio sullo stomaco.
Corse il più velocemente possibile via dai forti ruggiti e dalle grida raggelanti che colmarono l’aria della notte alle sue spalle. Era finalmente arrivata faccia a faccia con uno degli alieni e l’esperienza l’aveva lasciata scossa e confusa. In fondo alla mente, sperò che l’alieno sarebbe sopravvissuto e che sarebbe riuscito a tornare dalla sua gente. Magari, avrebbe convinto gli altri che era meglio lasciare che la Terra si distruggesse da sola.