Capitolo 1

2010 Words
Capitolo Uno Jesse attraversava in silenzio le strade deserte. Lo zaino nero sulla sua schiena conteneva il bottino della sua incursione notturna. Era riuscita a rubare quanto bastava per sfamare lei e le sue due sorelle minori per diversi giorni, purché razionassero il cibo. Doveva tornare al mucchio di macerie che nascondeva il parcheggio sotterraneo che avevano eletto a loro dimora temporanea. Aveva trovato quel rifugio quasi due mesi prima, per caso, quando era in cerca di un nascondiglio dal gruppo di uomini che girava per la strada. Si era infilata sotto una lastra di cemento caduta per nascondersi, ma aveva scoperto che essa era inclinata. Incapace di arrestare la propria discesa, era scivolata fino in fondo, ritrovandosi in quello che restava di un vecchio parcheggio. Dopo aver esplorato la zona, aveva ritenuto che fosse il luogo perfetto, per lei e per le sue due sorelle minori, in cui nascondersi dalle bande vagabonde che cercavano vittime ignare da rapinare o violentare. La sua vita, e quella delle sorelle, era cambiata molto negli ultimi quattro anni, dalla morte del loro padre. Perdiana, la Terra era cambiata molto negli ultimi quattro anni. Niente più vita in una bella casa nei sobborghi. Niente più assicurarsi che le sue sorelle facessero i compiti e arrivassero a scuola in tempo. Si era assunta il compito di fare da genitrice alle sue due sorelle minori quando la loro madre era morta, poco dopo il terzo compleanno di Taylor. Il mondo che lei conosceva era svanito a partire da quel giorno di novembre di quattro anni prima, quando i cieli si erano riempiti di navi spaziali provenienti da un altro mondo. Il Presidente aveva dichiarato lo stato di emergenza, ma non era servito a nulla. La gente si era riversata fuori dalle case in preda alla paura. La guerra, se così si poteva definirla, era durata solo pochi giorni. Gli alieni possedevano armamenti che avevano neutralizzato le armi nucleari che alcune nazioni cercarono di usare. Anche i sistemi di comunicazione di tutto il mondo erano stati sopraffatti. Inviti alla calma erano stati trasmessi ripetutamente, ma senza alcun risultato. Persino i messaggi, da parte dei governanti di tutto il mondo, secondo i quali gli alieni non avevano intenzioni ostili nei confronti popolazione, non erano serviti a nulla per calmare i disordini. Fanatici religiosi e gruppi eversivi erano insorti e avevano sopraffatto le forze dell’ordine. Il padre di Jesse, Jordan e Taylor era uno dei poliziotti di Seattle rimasti uccisi il primo giorno di disordini. Presto erano scoppiate le bombe e interi quartieri erano stati travolti dal caos. Jesse era appena arrivata a casa dopo essere andata a prendere a scuola le sue sorelle quando era stata data la notizia della cosiddetta “invasione” aliena. Avevano guardato il telegiornale con orrore. Il loro padre le aveva chiamate per dire loro di barricarsi in casa e di radunare quante più vettovaglie possibili, nel caso avessero dovuto fuggire velocemente. Sarebbero dovuti andare nel capanno vicino a Wenatchee se la situazione fosse degenerata. Quella era stata l’ultima volta in cui loro avevano avuto notizie di papà. Entro sera, gruppi vagabondi avevano rovesciato automobili e dato fuoco a case e negozi in tutta la zona. Jesse, Jordan e Taylor avevano raccolto tutto il possibile e si erano nascoste nella vecchia cantina dietro alla catasta di legna, quando sassi e mattoni erano stati lanciati attraverso le finestre della loro casa. Erano riuscite a malapena a mettersi in salvo, arrampicandosi dal balcone del secondo piano sull’albero che si trovava accanto esso, mentre la loro casa veniva invasa. Da allora, si erano date alla fuga e alla clandestinità. Jesse si fermò per sistemare la sciarpa nera che si era legata attorno al naso e alla bocca. Non voleva dare alcun indizio della sua presenza, compresa la nebbiolina del fiato nell’aria gelida. Troppo si basava sul fatto che lei non venisse catturata, dove per “troppo” si intendevano Jordan e Taylor, le sue sorelle di diciassette e quindici anni. A ventidue, Jesse faceva loro da madre, padre e protettrice. Quella sera, aveva avuto la fortuna di incontrare un piccolo convoglio di Trivator. Gli alieni avevano creato una stazione di razionamento a una decina di isolati di distanza. Jesse aveva afferrato una scatola che era caduta mentre gli alieni scaricavano delle provviste in uno dei centri di distribuzione che avevano istituito per gli umani come lei, che non volevano fidarsi di loro. Jesse aveva già trovato altri pacchi, in precedenza, e sebbene il cibo non fosse molto gustoso, era commestibile. Era svanita nel vicolo buio prima che qualcuno la vedesse. Nascondendosi dietro una pattumiera rovesciata, aveva svuotato la piccola scatola nel suo zaino ed era svanita. All’inizio, aveva avuto il terrore di essere scoperta. Non era mai stata così felice per la puzza di spazzatura marcia come lo era stata poco prima. Sapeva che i Trivator avevano un olfatto eccellente. Beh, perlomeno alcuni di loro. Aveva assistito da lontano alla scena di un piccolo gruppo degli enormi maschi che scopriva diversi uomini umani intenti a tendere loro un’imboscata, poco più di un anno prima. Uno dei Trivator aveva sollevato una mano e aveva annusato l’aria come il cane che lei e la sua famiglia avevano avuto un tempo. Poco dopo, gli uomini erano stati uccisi con spari precisi al petto. Jesse si era allontanata subito dopo. Sapeva solo che doveva evitare qualunque contatto coi maschi di entrambe le specie, Trivator e umani, se lei e le sue sorelle volevano restare al sicuro. Jesse si immobilizzò quando udì un rumore di camion che si muovevano lentamente lungo la strada, a fari spenti. Un cipiglio preoccupato le contrasse la fronte mentre cercava disperatamente con lo sguardo un luogo dove nascondersi. Le uniche persone in giro a tarda sera erano quelle come lei, che frugavano fra le ombre in cerca di cibo, e coloro dai quali Jesse non voleva essere trovata. Gli altri umani e i Trivator, la razza aliena che è giunta sulla Terra quattro anni prima in nome della “pace”, vanno evitati a tutti i costi, pensò amaramente Jesse mentre le tornava in mente sua sorella più piccola, Jordan. I Trivator potevano anche aver avuto intenzioni pacifiche nei confronti degli umani della Terra, ma ciò che avevano trovato erano stati guerra e odio. Avevano avuto un bel lavoro da fare, se avevano creduto che gli umani li avrebbero accolti a braccia aperte, pensò lei mentre si intrufolava in mezzo a due pezzi di lamiera metallica lacerata. Sibilò quando un bordo frastagliato le tagliò l’avambraccio, lasciando una ferita lunga, ma superficiale. Sgattaiolò fra diverse grosse sezioni di soffitto collassato e si sfilò lo zaino dalle spalle. Il rumore del motore dei camion riecheggiò fortemente mentre i veicoli si fermavano all’esterno dell’edificio. Jesse lasciò ricadere la testa all’indietro e gemette quando il grosso portellone di carico fu sbloccato e aperto. Si infilò ulteriormente fra le ombre, portandosi le ginocchia al petto per farsi il più piccola possibile. Un istante dopo, un furgone entrò in retromarcia, seguito da un pick-up. La zona tornò buia, la porta fu chiusa e lei udì un rumore di catene infilate nuovamente fra le sbarre. Questa volta, dall’interno. “Assicuratevi che quella maledetta porta sia chiusa bene,” mormorò una voce roca. “Quegli alieni del cazzo sono dappertutto. Odio questo schifo. Dovevamo essere fuori da qui ieri.” “C’è voluto più del previsto a catturare vivo uno di quei bastardi,” disse freddamente una voce femminile. “Perché te ne serve uno vivo? Non lo ucciderai comunque?” chiese un’altra voce, perplessa. “Ve l’ho detto: devo studiarne uno da vicino per capire esattamente quanto siano forti,” disse la donna a denti stretti. “Se vogliamo prendere il controllo di questa zona e, dopo, della metà occidentale degli Stati Uniti, dobbiamo scoprire come si ammazzano questi bastardi. Se riusciremo a ucciderli, potremo governare noi stessi il mondo,” aggiunse ridendo. “Sono delle brutte bestie. Hai visto quanto era protettivo nei suoi confronti?” ridacchiò il primo uomo. “Se tu non avessi fatto la donzella in pericolo, non l’avremmo mai catturato.” “Già,” disse un altro uomo, appena arrivato sulla scena. “Ma questo non gli salverà il culo. Mitch è morto. Quel figlio di puttana lo ha sbudellato quando pensava che stesse cercando di violentarti. Voglio appendere le sue palle al retro del mio furgone.” “Merda! È il quarto uomo che perdiamo in un mese,” disse il primo uomo. “Comincia a essere difficile trovare braccia. Da quando quei bastardi hanno cominciato a fornire cibo, riparo e medicine alla gente di qui, sempre più persone si rivolgono a loro.” “Non avrà importanza, se io riesco a trovare un modo per ucciderli tutti,” disse la donna. “Per il momento, tenetelo nel furgone. Non possiamo correre il rischio che i suoi amici lo sentano o fiutino le sue tracce. Potremo spostarci domani mattina, quando sarà finito il coprifuoco. Voglio cominciare a dissezionare il bastardo domani sera, al laboratorio che abbiamo preparato.” Jesse si passò le braccia attorno alle ginocchia e vi tuffò il viso. Il terrore la travolse mentre aspettava che il gruppetto si allontanasse. Le loro risate erano colme di gelido odio. Quello era il genere di persone che dava agli esseri umani una cattiva reputazione. Se lei fosse stata un’aliena, avrebbe liquidato l’umanità poche ore dopo averli conosciuti. Raddrizzò la schiena e appoggiò la testa al metallo della parete del vecchio magazzino. Avrebbe dovuto assicurarsi che quelle persone se ne fossero andate prima di potersi muovere in sicurezza. Chiuse gli occhi e avvertì il richiamo della fatica, che la incoraggiava a cedere all’oscurità. Si sfiorò il taglio sul braccio, lasciando che il sale sulle sue dita penetrasse nella ferita per farla pulsare. Aveva bisogno che il dolore la tenesse sveglia. I suoi pensieri corsero alle sue due sorelle. Era preoccupata per Jordan. Tre sere prima, lei e Jordan erano uscite insieme. Jordan era incappata in due uomini in uno dei vicoli che loro stavano attraversando per tornare al parcheggio. Si era allontanata da Jesse nell’entusiasmo di condividere quello che avevano trovato con Taylor. Jesse si era fermata brevemente a risistemare il contenuto dello zaino quando l’aveva sentito smuoversi. Qualche istante dopo, le urla di Jordan l’avevano raggelata fino alle ossa. Aveva dovuto costringersi a non correre in aiuto di sua sorella, come l’istinto le aveva suggerito immediatamente. Non sarebbe stato un bene, né per lei né per Taylor, se Jesse fosse stata catturata. Invece, aveva estratto il grosso coltello da caccia che era appartenuto a suo padre dallo stivale ed era arrivata silenziosamente alle spalle degli uomini che avevano aggredito Jordan. Jesse trattenne la nausea al pensiero di ciò che aveva dovuto fare per evitare che sua sorella venisse stuprata e assassinata. Aveva ucciso l’uomo che stava sopra a Jordan. Suo padre aveva sempre insegnato alle figlie che un uomo ferito era come un orso o un puma ferito: estremamente pericoloso e imprevedibile. L’altro uomo era fuggito non appena aveva visto che il suo amico, più grosso, era morto. Jesse aveva levato l’uomo di dosso a sua sorella minore e l’aveva presa fra le braccia. Avrebbe voluto poter trascorrere più tempo a darle conforto, ma era troppo pericoloso. Se n’erano andate senza il cibo che avevano rubato. Erano trascorsi tre giorni dall’ultima volta in cui avevano mangiato e ora Jordan stava male. Jesse doveva tornare indietro col cibo che aveva trovato quella sera, o nessuna di loro sarebbe riuscita a sopravvivere ancora a lungo. Sollevò la sciarpa per coprirsi naso e bocca, allo scopo di restare al caldo mentre aspettava. Il freddo del pavimento di metallo le mandava brividi lungo il corpo. In un certo senso, ciò era un bene: già si sapeva che non si sarebbe addormentata, scomoda e al freddo. No, adesso è solo una questione di pazienza prima che io possa sfuggire a quei pazzoidi, pensò mentre ascoltava la donna e tre uomini parlare di come avrebbero fatto a fette l’alieno che avevano catturato.
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