CAPITOLO XI

1358 Words
CAPITOLO XI La signora Dashwood e le sue figliuole non avrebbero certamente previsto, quando arrivarono nel Devonshire, che sarebbero sorti in breve per loro tanti impegni, e che avrebbero avuto tanti inviti e tanti e così costanti visitatori da lasciar poco tempo libero a più serie occupazioni. Eppure, così fu. Guarita Marianne, furono messi in esecuzione i programmi di spassi in casa e fuori, già preparati da sir John. Poi cominciarono i balli privati a Barton Park, e furono fatte tante gite sul fiume quante ne permise un ottobre piovoso. In ogni riunione era incluso il simpatico Willoughby; e la disinvoltura e la familiarità che naturalmente distinguevano quelle festicciole erano esattamente calcolate per accrescere la sua intimità con le Dashwood, offrirgli l’occasione di riconoscere le brillanti qualità di Marianne, manifestarne una vivace ammirazione e ricevere dal comportamento della fanciulla le più evidenti prove del suo affetto. Elinor non si stupiva di quella infatuazione. Avrebbe voluto soltanto che non fosse stata così apertamente sbandierata, e un paio di volte si attentò a suggerire a Marianne la convenienza di un certo riserbo. Marianne però aborriva le finzioni, quando nella schiettezza non c’era nulla di male, e nascondere sentimenti che in sé non avevano nulla di riprovevole le sembrava non solo uno sforzo inutile, ma una disonorante soggezione della ragione a idee convenzionali ed ingiuste. Willoughby la pensava allo stesso modo, e il loro comportamento era sempre e dovunque una illustrazione delle loro opinioni. Quando egli era presente, ella non aveva occhi per nessun altro. Tutto quello che lui faceva, era ben fatto. Tutto quel che diceva, era intelligente e spiritoso. Se la serata alla villa si chiudeva con una partita di carte, egli imbrogliava se stesso e il resto della compagnia per procurarle una buona mano. Se il divertimento del caso era il ballo, erano sempre compagni di danza; se costretti a separarsi per un paio di giri, badavano a star vicini, e di rado rivolgevano una parola a chiunque altro. Questa condotta li esponeva, naturalmente, alle risa di tutti; ma il ridicolo non riusciva a intimidirli; sembrava, anzi, che non se ne accorgessero nemmeno. La signora Dashwood partecipava a tutti quei sentimenti con un calore che non le permetteva nemmeno di tentar di frenare questa eccessiva esposizione del loro entusiasmo. Per lei, non si trattava che delle naturali conseguenze di un vivo affetto fra due spiriti giovani e ardenti. Fu, quella, la stagione della felicità per Marianne. Il suo cuore era tutto di Willoughby, e il profondo attaccamento per Norland che aveva portato seco dal Sussex finiva con l’essere addolciti più di quanto avrebbe creduto possibile dalla gioia che la presenza del suo amico conferiva alla nuova dimora. La felicità di Elinor non era così grande. Il suo cuore non era altrettanto tranquillo e la sua soddisfazione nei loro piaceri altrettanto completa. Essi non le offrivano una compagnia capace di compensare quello che aveva lasciato dietro di sé, e di farle pensare a Norland con minore rimpianto. Né lady Middleton né la signora Jennings potevano fornirle la conversazione che le mancava, quantunque quest’ultima fosse una chiacchierona instancabile e l’avesse trattata fin dal principio con una benevolenza che le assicurava gran parte delle sue ciarle. Le aveva raccontato già tre o quattro volte la storia della propria vita; e se la sua memoria fosse stata all’altezza dei mezzi che le si offrivano per esercitarla, Elinor avrebbe mandato a mente fin dai primi giorni della loro conoscenza tutti i particolari dell’ultima malattia del signor Jennings, e quello che aveva detto a sua moglie pochi minuti prima di morire. Lady Middleton era più simpatica di sua madre soltanto perché stava più zitta, ma ci volle ben poco perché Elinor si accorgesse che il suo riserbo era semplicemente una flemma di carattere con cui il criterio non aveva nulla a vedere. Con suo marito e sua madre si comportava come con le Dashwood, sì che non c’era da cercare né da desiderare da parte sua una maggiore intimità. Ella non aveva nulla da dire, un giorno, che non avesse detto il giorno prima. La sua scipitezza era invariabile, perché perfino il suo umore era sempre lo stesso; e quantunque non facesse opposizione alle feste combinate da suo marito, purché tutto fosse eseguito in grande stile e i suoi figlioli più grandi fossero presenti, sembrava che non ne traesse maggior piacere di quanto ne avrebbe provato restandosene a casa; e la sua presenza contribuiva così poco al piacere degli altri, in quanto apporto alla conversazione, che talvolta i suoi ospiti si ricordavano di averla fra loro soltanto per la sollecitudine che spiegava verso i suoi importuni ragazzini. Solo nel colonnello Brandon, fra tutte le nuove conoscenze, Elinor trovava una persona che poteva pretendere il rispetto per le proprie capacità, suscitare un interesse amichevole e rivelarsi una gradita compagnia. Willoughby era fuor di questione. Egli godeva tutta la ammirazione di Elinor, perfino un affetto di sorella: ma ahimè, era innamorato: la sua attenzione era tutta per Marianne, sì che un uomo molto meno simpatico sarebbe stato, nell’insieme, più piacevole. Il colonnello Brandon, sfortunatamente per lui, non aveva gli stessi incoraggiamenti per dedicarsi soltanto a Marianne, e nel conversare con Elinor trovava la maggior consolazione alla totale indifferenza della sorella. La compassione di Elinor per lui cresceva da quando aveva ragione di sospettare che gli erano ormai noti i dolori dell’amore non corrisposto, e ciò in seguito ad alcune parole che gli erano sfuggite per caso una sera, quando se ne stavano seduti insieme, per mutuo consenso, mentre gli altri ballavano. Teneva gli occhi fissi su Marianne, e dopo un silenzio di qualche minuto cominciò con un pallido sorriso: “ Sua sorella, oso dire, non ammette un secondo affetto nella vita”. “ No,” rispose Elinor, “le sue opinioni sono del tutto romantiche.” “ O meglio, come mi sembra, lo ritiene addirittura impossibile.” “ Credo sia proprio così. Ma come riesca a non pensare che suo padre ha avuto due mogli, io proprio non so. Basteranno pochi anni, tuttavia, per sistemare le sue opinioni sulla ragionevole base del buonsenso e dell’osservazione, e allora saranno più facili da definire e giustificare di quanto oggi non lo siano, da chiunque non sia lei stessa.” “ Così sarà, probabilmente,” replicò lui; “eppure c’è qualche cosa di tanto amabile nei pregiudizi d’una mente giovanile che dispiace vederli dar luogo alla professione di opinioni più comuni.” “ In questo non posso convenire con lei,” ribatté Elinor. “Sentimenti come quelli di Marianne comportano inconvenienti che nemmeno tutta la grazia dell’entusiasmo e dell’ingenuità riesce a giustificare. I suoi sistemi hanno l’infelice tendenza a disprezzare le convenienze, ed io spero che una miglior conoscenza del mondo sia di grandissimo vantaggio per lei.” Dopo un breve silenzio egli riprese la conversazione dicendo: “ Sua sorella non fa nessuna distinzione nella sua obiezione a un secondo affetto? O questo è ugualmente colpevole per tutti? Anche coloro che sono stati disgraziati nella prima scelta, sia per l’incostanza dell’oggetto del loro amore, sia per l’accanirsi delle circostanze, dovranno restare indifferenti per tutto il resto della vita?”. “ Parola d’onore, non sono al corrente di tutti i particolari dei suoi princìpi! So soltanto che non l’ho mai udita ammettere come perdonabile nessun esempio di un secondo affetto.” “ Questo,” replicò lui, “è possibile; ma un cambiamento, un totale cambiamento di sentimenti... No, no, non c’è da augurarselo, perché quando le romantiche esaltazioni di una mente giovanile sono costrette a battere in ritirata, quanto spesso vengono sostituite da opinioni anche troppo triviali e altrettanto pericolose! Parlo per esperienza. Conobbi una volta una signora che per temperamento e spirito somigliava molto a sua sorella, che pensava e giudicava come lei; ma per un cambiamento imprevisto... per una serie di sfortunate circostanze...”. Qui si fermò a un tratto; sembrò che pensasse di aver detto troppo, e col suo imbarazzo dette origine a congetture che altrimenti non sarebbero sorte nella mente di Elinor. La signora in questione sarebbe forse passata senza sospetto se con quel suo turbamento egli non avesse convinto la signorina Dashwood che nulla di quello che la riguardava avrebbe dovuto sfuggirgli dalle labbra. Comunque, ci voleva un ben modesto sforzo di fantasia per ricollegare l’emozione del colonnello ai teneri ricordi d’un affetto passato. Elinor non si attentò a pensare di più; al suo posto Marianne non si sarebbe contentata di così poco. Tutta la storia si sarebbe rapidamente ricostruita nella sua fervida immaginazione secondo il malinconico svolgimento di un amore infelice.
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