Quel signorino aveva dato fuoco alla sua voglia, non meno che alla mia vanità, e, come se avesse scoperto che l'occasione c'era e che era un peccato non approfittarne, una mezz'ora dopo o giù di lì viene di nuovo di sopra e ricasca a portarsi con me come prima, solo con meno preamboli.
Per prima cosa, quando fu entrato nella stanza, si voltò e chiuse la porta. «Betty,» dice, «prima m'era sembrato di sentire qualcuno salire le scale, ma non era vero; comunque,» dice, «se mi trovano in questa stanza con te, non mi sorprenderanno mentre ti sto baciando.»
Io gli dissi che non capivo chi potesse salire le scale, perchè ero sicura che in casa non c'era nessuno, se non la cuoca e l'altra cameriera, che al piano superiore non salivano mai.
«Però, mia cara,» lui dice, «è sempre meglio esserne certi,» e così si siede, e ci mettemmo a discorrere. In realtà, siccome io ero ancora tutta accesa d'emozione per la sua visita di prima, e parlavo pochissimo, fu lui quasi a mettermi le parole sulle labbra, raccontandomi con quale passione mi amava e che, sebbene non gli fosse possibile nemmeno parlare di una cosa simile prima d'essere entrato in possesso dei suoi beni, era tuttavia deciso a farmi, allora, felice, e ad esser felice lui con me; come dire sposarmi, e una quantità di altre bellissime cose del genere, che io, povera sciocca, non capivo da che parte tirassero, e stavo al gioco come se nemmeno esistesse un certo tipo d'amore ben diverso da quello che conduce al matrimonio; e se lui avesse parlato di quello, a me sarebbero mancati lo spazio e la forza per potergli dire di no; ma non eravamo ancora andati così lontano.
Non eravamo seduti lì da molto tempo, che lui si alzò e, togliendomi il respiro con i baci, mi gettò di nuovo sul letto; ma poichè tutti e due ci eravamo riscaldati, lui si spinse, con me più in là del punto che la decenza mi consente di nominare; e a quel punto io non avrei più potuto contrastarlo nemmeno se lui avesse voluto darmi più di quel che mi diede.
Tuttavia, anche se lui si prese con me quelle libertà, non si giunse al cosiddetto dono supremo, che, sia detto per rendergli giustizia, lui non pretese; e quella rinunzia spontanea gli servì poi come giustificazione per le libertà che su di me si prese in altre circostanze. A cosa finita, lui si trattenne solo qualche istante, ma mi mise in mano una manciata quasi piena d'oro, e mi lasciò, facendomi mille dichiarazioni della sua passione per me e del fatto che amava me più di ogni altra donna al mondo.
Non meraviglierà che io incominciassi a pensarci su, ma, ahimè, furono, le mie, riflessioni non molto profonde. Possedevo una riserva illimitata di vanità e orgoglio, ma una ben piccola riserva di virtù. Cercai, per la verità, di chiedermi più volte, fra me, a che cosa mirasse il mio padroncino, ma non riuscivo a concentrare il mio pensiero altro che sulle sue belle parole e sull'oro; che lui avesse l'intenzione di sposarmi o avesse quella di non sposarmi, non mi pareva una cosa di enorme importanza; nè le mie riflessioni bastarono a suggerirmi la necessità da parte mia, come ora sentirete, di non capitolare fin quando lui non fosse giunto a farmi una domanda in piena regola.
Così, senza minimamente preoccuparmene, io mi resi disponibile per la mia rovina, e sono un bel monito per ogni giovane la cui vanità abbia il sopravvento sulla virtù. Più stupidi tutti e due non potevamo essere. Mi fossi io regolata come si doveva, e avessi resistito come imponevano onore e virtù, il signorino, trovando sbarrata la strada al compimento del suo progetto, o avrebbe desistito dalla sua offensiva, oppure mi avrebbe fatto una bella e onorevole domanda di matrimonio; nel qual caso, fosse pur stato criticato lui, da tutti, nessuno avrebbe potuto criticare me. In breve, se lui, conoscendo me, avesse capito quant'era facile avere la cosina che gli importava, non si sarebbe più lambiccato il cervello, ma mi avrebbe dato quattro o cinque ghinee e gli sarebbe bastato presentarsi per coricarsi con me. E avessi io saputo quel che pensava lui, e quanto difficile credeva che io fossi da conquistare, avrei potuto porre io a lui le mie condizioni; e anche senza capitolare per il matrimonio immediato, mi sarei potuta arrendere per il mantenimento fino al matrimonio, e avrei potuto ottenere tutto quel che volevo.
Lui era infatti già ricco a dismisura, oltre quel che doveva ereditare; ma per me fu come se avessi completamente abbandonato pensieri del genere, ed ero tutta presa solo dall'orgoglio per la mia bellezza e dal fatto di essere amata da un tal signore. Quell'oro passai ore intere a guardarmelo; più di mille volte, in un giorno solo, contai quelle ghinee. Mai una povera e vana creatura si trovò più di me chiusa nei risvolti di una faccenda, senza riflettere su quel che mi attendeva nè sul fatto che la rovina batteva già alla mia porta; e credo anzi, quella rovina, d'averla cercata, anzichè fare il possibile per scongiurarla.
In quel periodo, tuttavia, fui abbastanza furba da non dar modo a nessuno della famiglia di sospettare di me, nè di immaginare che io avessi la minima intesa con quel signorino. In pubblico, quasi mai guardavo dalla sua parte, e, se lui mi parlava quando c'era qualcuno vicino, io non rispondevo; ma, con tutto ciò, di quando in quando avevamo un breve incontro, nel quale trovavamo il modo di scambiarci una parola o due, e talora un bacio; ma non avemmo mai l'occasione buona per fare la cosa cattiva che meditavamo; soprattutto considerando che lui prendeva le cose più alla larga di quanto, se avesse capito il mio punto di vista, avrebbe potuto; e poichè l'impresa in apparenza gli risultava difficile, lui la faceva diventare difficile in realtà.
Ma il diavolo, da tentatore infaticabile qual è, non manca mai di trovare occasioni per il malfare cui ci invita. Fu una sera, che io ero in giardino con il giovane e le sue sorelline, e tutti eravamo di ottimo, innocente umore, che lui trovò modo di infilarmi in mano un biglietto, col quale mi raccomandava di tener presente che l'indomani mi avrebbe chiesto pubblicamente di andare a fare una commissione per conto suo in città, e che in qualche luogo a mezza strada avrei incontrato lui.
Secondo i piani, dopo colazione, presenti tutte le sorelle, lui mi dice con tutta serietà: «Signorina Betty, devo chiederti un piacere.»
«E quale?» dice la seconda sorella.
«Certo, sorella,» dice molto serio lui, «se non puoi privarti oggi della Betty, qualunque altro momento andrà bene.» Sì, dissero loro, potevano benissimo privarsene, e la sorella chiese scusa per la domanda, l'aveva fatta per pura inerzia, senza intenzione.
«Già fratello, però,» dice la maggiore, «alla signorina Betty devi per forza dire che piacere è; se fosse una faccenda privata, che noi non dobbiamo sentire, puoi invitarla fuori di qui. Eccotela.»
«Ma, sorella,» dice sempre tutto serio il signore, «che intendi dire? Io desidero solo che vada in High Street» (e tira fuori un colletto) «ad una certa bottega.» E si mette a raccontare una lunga storiella di due belle cravatte per le quali lui aveva offerto un prezzo, e voleva che io andassi per suo conto a comprare un interno per il colletto che mi dava, e scoprire se accettavano il mio denaro per le due cravatte; offrire uno scellino di più, e contrattare; e mi diede anche altri incarichi, che comportavano una tal quantità di piccole incombenze da svolgere, che sicuramente sarei dovuta star fuori casa per un bel po' di tempo.
Dopo che mi ebbe affidato le commissioni, raccontò alle sorelle la storiella di una visita che si recava a fare in una famiglia da tutti loro ben conosciuta, e disse che ci sarebbero stati questi e quelli, e che si sarebbero molto divertiti, e compitamente invitò le sorelle ad accompagnarlo; ma loro, altrettanto compitamente, si scusarono, perchè avevano appreso che nel pomeriggio sarebbe venuta a far loro visita una comitiva di amici; cosa questa che, per l'appunto, era stato lui appositamente a concertare.
Aveva appena finito di parlare con loro e di affidare a me il mio incarico, che entrò il suo servo ad annunciare che s'era fermata alla porta la carrozza di Sir W. H.; lui corre giù, ma torna di sopra subito. «Ahimè,» esclama. E dice: «Ecco sciupato tutto il mio spasso. Sir W. H. mi ha mandato la carrozza e vuol parlarmi di una faccenda molto importante.» Pare che quel Sir W. fosse un signore che abitava a circa tre miglia fuori città, al quale lui appositamente aveva parlato il giorno prima perchè gli prestasse la carrozza per una speciale occasione, e aveva stabilito che lo venissero a chiamare, come accadde, verso le tre.
Subito si fa portare la parrucca più bella, la spada, il cappello, e ordinando al servo di andare in quell'altro luogo a porgere le sue scuse (vale a dire, trovò lui una scusa per mandare via il servo), si accinge a salire in carrozza. Mentre se ne andava, indugiò qualche istante, e tutto serio mi parla dei suoi interessi, e trova la maniera di dirmi in tono molto sommesso: «Vieni fuori, più presto che puoi.» Io non dissi nulla, ma feci la riverenza, come tante volte facevo in risposta a quello che lui mi diceva in pubblico. Un quarto d'ora dopo o giù di lì, ero fuori anch'io; non avevo un abito diverso da prima, ma mi ero messa in tasca un cappuccio, una maschera, un ventaglio e un paio di guanti; in tal modo nessuno in casa ebbe il minimo sospetto. Lui mi aspettò in carrozza in un vicolo sul retro, dove sapeva che io sarei dovuta passare, e aveva dato al cocchiere la destinazione, che fu un certo posto chiamato Mile End, dove abitava una persona di sua fiducia, dove noi entrammo dentro, e dove c'era ogni comodità possibile al mondo per fare tutte le porcherie che volemmo.
Quando fummo insieme, lui cominciò a parlarmi in modo solenne, e disse che non mi portava colà per ingannarmi; che, cioè, la sua passione per me non gli permetteva di abusare di me; che lui aveva deciso di sposarmi non appena sarebbe entrato in possesso del suo patrimonio; che, nel frattempo, se acconsentivo alla sua richiesta, mi avrebbe mantenuto molto onorevolmente; e mi fece mille dichiarazioni di sincerità e di affetto per me, e disse che non mi avrebbe abbandonato mai, e, insomma, usò, direi, mille preamboli in più di quel che sarebbe stato necessario.
Tuttavia, poichè lui mi sollecitò a parlare, io gli dissi che non avevo ragione di mettere in dubbio la sincerità del suo amore per me dopo tante dichiarazioni, ma... e qui mi fermai, come se lasciassi a lui da indovinare il resto.
«Ma che cosa, mia cara,» dice lui. «Immagino quel che vuoi dire: che cosa succederebbe se tu avessi un figlio. Non è così? Ebbene,» dice, «io avrò cura di te e penserò anche al figlio; e affinchè tu possa capire che non dico per dire,» dice, «eccoti una prova,» e con ciò tirò fuori una borsa di seta, con un centinaio di ghinee, e me la dette. «E te ne darò un'altra uguale,» dice, «ogni anno, finchè ti sposerò.»
Io persi e ritrovai il colore del volto, alla vista della borsa, e, insieme, per l'ardore della dichiarazione, cosicchè non fui capace di dire una parola, e lui se ne accorse facilmente: perciò, riponendo la borsa in seno, non gli opposi più resistenza, ma gli lasciai fare esattamente quel che gli piacque; e così completai in un tratto la mia rovina, perchè da quel giorno, divenuta dimentica della mia virtù e del mio pudore, non ebbi più nulla che valesse a raccomandarmi alla grazia del Signore o alla solidarietà umana.
Ma le cose non finirono lì. Io tornai in città, feci le commissioni che lui pubblicamente mi aveva affidato, e fui di nuovo a casa prima che qualcuno potesse pensare che ero stata via troppo tempo. Quanto al mio signore, come mi aveva detto che avrebbe fatto, restò fuori fino a tarda notte, e nessuno ebbe in famiglia il minimo sospetto, nè su di lui nè su di me.