Moll Flanders-3

2074 Words
In tal modo io avevo, come ho già detto, tutti i vantaggi dell'educazione che avrei avuto se fossi stata una signora uguale a quelle fra le quali vivevo; e in alcune cose ero anche favorita rispetto alle mie signore, benchè loro fossero superiori a me; ma erano quelli doni di natura, che tutte le loro ricchezze non potevano bastare a procurare. Primo, io ero, d'aspetto, più bella di tutte loro; secondo, ero più formosa; e, terzo, cantavo meglio, perchè avevo voce migliore; e consentitemi di dire che a questo riguardo esprimo non già una mia presunzione, bensì l'opinione di quanti frequentavano quella famiglia. Avevo inoltre la vanità che è comune al mio sesso; considerata molto bella, o, se così preferite, una vera bellezza, io lo sapevo benissimo e mi stimavo da me più di quanto potesse stimarmi chiunque altro; e specialmente mi piaceva sentir qualcuno parlarne, il che accadeva tutt'altro che di rado e mi dava una gran soddisfazione. La storia che di me fino a questo punto ho narrato è una storia limpida e pulita; per tutto quel periodo della mia vita io non solo godetti della reputazione di chi vive presso un'ottima famiglia, una famiglia conosciuta e rispettata da tutti per le sue virtù, la sua serietà e tante altre belle cose; ma avevo anche l'animo della giovane seria, modesta, virtuosa, quale sempre ero stata; nè avevo ancora avuto l'occasione di pensare ad altro, nè di sapere che cosa vuol dire essere tentati al male. Ma la cosa per la quale ero così vanitosa fu la mia rovina; o meglio, causa della mia rovina fu la mia vanità. La dama in casa della quale stavo aveva due figli, due giovani gentiluomini di promettenti qualità e di bel portamento, e fu mia disavventura andare perfettamente d'accordo con ognuno dei due, mentre loro si comportarono nei miei riguardi in due modi completamente diversi. Il maggiore, gentiluomo gaio che era pratico di città come di campagna, sebbene fosse superficiale abbastanza da fare una cosa non per bene, aveva tuttavia il buon senso necessario per non pagar troppo cari i suoi divertimenti. Sfoderò il solito tristo trucco che è buono per ogni donna, e cioè ad ogni pie' sospinto notava che io ero carina, diceva, simpatica, piena di buone maniere, e cose simili. Si comportava con abilità sottile, quasi si fosse trattato per lui di prendere nella rete una donna come le pernici che prendeva a caccia. Faceva, infatti, in modo da parlarne con le sorelle quando sapeva che io, benchè non fossi presente, non ero però tanto lontana da non poterlo udire. Le sorelle gli rispondevano a bassa voce: «Zitto, fratello, ti sentirà, è proprio nella stanza accanto.» Allora lui si fermava, e a voce più bassa, come se non l'avesse saputo, cominciava a riconoscere di aver commesso un errore; ma poi, come se ne dimenticasse, si rimetteva a parlar forte, e io, che a sentirlo provavo un gran piacere, ero immancabilmente in ascolto in ognuna di quelle occasioni. Quando ebbe così posto l'esca all'amo, e trovato il modo più facile per gettarmelo, passò a fare un gioco più scoperto. Un giorno, entrato in camera della sorella mentre c'ero io, che stavo facendo qualcosa come aiutarla a vestirsi, si fa avanti con un'aria allegra: «Oh, signorina Betty,» mi dice, «come va, signorina Betty? Non ti fischiano le orecchie, signorina Betty?» Io feci una riverenza arrossendo, ma non dissi nulla. «Ma che dici fratello?» dice la sorella. «Sapete,» dice lui, «è mezz'ora che parliamo di lei al pianterreno.» «Ma sono sicura,» dice la sorella, «che non potete averne parlato male, e per questo non ci interessa sapere che cosa avete detto.» «Anzi,» dice lui, «si era ben lungi dal dirne male, tanto che ne abbiam parlato benissimo, e della signorina Betty sono state dette cose bellissime, ve lo assicuro; per esempio, che è la più bella ragazza di Colchester; e che in città c'è già chi si prepara a farle gli auguri per le nozze.» «Mi meraviglio di te, fratello,» dice la sorella. «È una sola la cosa che manca alla Betty, ma è come se le mancasse tutto, perchè di questi tempi il nostro sesso non ha un gran mercato; se una giovane possiede bellezza, nascita, educazione, intelligenza, gusto, garbo, modestia, sia pure nella massima misura, ma non ha denaro, allora non è nessuno, è come se le mancasse tutto, perchè soltanto il denaro è una buona raccomandazione per le donne; il gioco degli uomini è il pigliatutto.» Era presente il fratello minore, che gridò: «Ferma, sorella, corri troppo. Io sono un'eccezione alla tua regola. Ti assicuro che se io trovassi una donna con tutto quel che tu dici, io ti assicuro, ripeto, che non baderei al denaro.» «Oh, allora,» dice la sorella, «starai bene attento a non filare nessuna che non abbia soldi.» «Neanche questo puoi dire,» dice il fratello. «Ma scusa, sorella,» dice allora il fratello maggiore, «perchè te la prendi con gli uomini che hanno di mira la ricchezza? A te, se qualcosa manca, non è certo la ricchezza.» «Ho capito benissimo, fratello,» dice con molto spirito la sorella, «tu vuoi dire che io ho i soldi ma mi manca la bellezza; però, con i tempi che corrono, basteranno quelli senza questa, sicchè io mi posso prendere il meglio del vicinato.» «Già,» dice il fratello minore, «ma può anche darsi che il tuo vicinato, come lo chiami, faccia a meno di te, perchè certe volte la bellezza ruba il marito alla ricchezza, e quando capita che la cameriera sia più bella della padrona, può capitare anche che trovi il suo mercato, e che in carrozza vada la cameriera prima della padrona.» Pensai che fosse venuto il momento per me di ritirarmi e lasciarli, e così feci, ma non mi allontanai tanto da non poter udire tutti i loro discorsi, nei quali sentii dire sul mio conto una quantità di cose belle, che servirono a lusingare la mia vanità ma al tempo stesso, lo capii ben presto, non furono il mezzo più adatto per far salire le mie quotazioni in quella famiglia, poichè quella discussione tra la sorella e il fratello minore finì in modo penoso; lui, a proposito mio, aveva detto alla sorella cose molto scortesi, e io m'accorsi facilmente, dal modo in cui la sorella si comportò in seguito, che se l'era presa a male, e io lo trovavo ingiusto, perchè nemmeno lontanamente avevo pensato a quel che la sorella sospettava da parte del fratello minore; il maggiore, in verità, alla sua maniera, con distacco, aveva detto come per scherzo molte cose che io fui così pazza da prendere sul serio, cullandomi nella speranza di cose che avrei dovuto comprendere quanto fossero lontane, invece, sia dalla sua immaginazione che dalle sue intenzioni. Accadde un giorno che egli arrivasse di corsa al piano superiore, come tante altre volte, alla stanza dove le sorelle solevano starsene sedute a lavorare; le chiamò prima di entrare, anche questo come al solito, e io, che ero lì da sola, feci un passo verso la porta e dissi: «Signore, le signorine non sono qui, stanno passeggiando in giardino.» Avevo appena fatto il passo avanti per dirlo, che lui aveva già varcato la porta e, come per caso, abbracciandomi, diceva: «Oh, signorina Betty, sei tu? Meglio così; preferisco parlar con te che con loro.» E poi, tenendomi fra le braccia, mi baciò tre o quattro volte. Io lottai per tirarmi via, ma lo feci però molto debolmente, e lui mi tenne stretta e continuò a baciarmi, finchè gli mancò quasi il fiato, e allora si sedette e disse: «Betty cara, sono innamorato di te.» Le sue parole, lo confesso, mi accesero il sangue; tutti i sentimenti mi volarono al cuore e mi gettarono in un tale turbamento che lui poteva facilmente comprenderlo dall'espressione del mio volto. Lui lo ripetè più volte, che era innamorato di me, e il mio cuore gli rispondeva, come se avesse la voce, che ne era felice; anzi, ogni volta che lui diceva: «Sono innamorato di te,» era come se il rossore delle mie guance gli rispondesse: «Così fosse, signor mio.» Quella volta, però, non accadde altro; era stata soltanto una sorpresa, e quando lui se ne fu andato io tornai in me stessa. Lui sarebbe rimasto più a lungo con me, ma guardando dalla finestra vide tornare le sorelle dal giardino e perciò si congedò, baciandomi di nuovo, dicendomi che aveva parlato sul serio, e che prestissimo l'avrei rivisto; e se ne andò lasciandomi contentissima, benchè meravigliata; e io sarei stata anche nel giusto se non si fosse dato un caso sventurato, nel quale consisteva tutto lo sbaglio, e cioè che la signorina Betty era innamorata e il signorino no. Da quella volta mi passarono per la testa cose strane, e potrei dire che non ero più io; un signore così, che veniva a dirmi di essere innamorato di me, e che io ero una creatura, diceva, incantevole; erano cose che io non sapevo come reggere, la mia vanità saliva al più alto livello. La verità è che avevo la testa piena soltanto di orgoglio, ma, nulla sapendo della cattiveria dei tempi, non mi davo il minimo pensiero della mia integrità nè della mia virtù; e se il mio giovane signore me l'avesse offerto a prima vista, avrebbe potuto prendersi ogni libertà su quel che più gli andava di me; ma lui non vide l'occasione, così per quella volta mi andò bene. Dopo il primo assalto, non passò gran tempo che lui trovò il modo di saltarmi addosso di nuovo, quasi con gli stessi gesti; c'era, per la verità, tutta l'intenzione da parte sua, mancava da parte mia. Fu così: le signorine erano andate con la mamma a fare una visita, il fratello era fuori città, e il padre era da una settimana a Londra. Lui mi aveva tenuta d'occhio così bene che sapeva dov'ero, mentre io non sapevo nemmeno che lui era in casa; e lui vispo sale di sopra, mi vede che lavoro, entra diretto in camera da me e ricomincia come l'altra volta, a stringermi fra le braccia e a baciarmi incollato a me per almeno un quarto d'ora. Era nella camera della più giovane delle ragazze che io mi trovavo, e, forse perchè in casa non c'era nessuno se non le cameriere al pianterreno, lui fu un po' violento; incominciava a importargli davvero di me. Forse trovò con me la via un po' facile, perchè sa Dio che io non feci resistenza quando lui mi tenne fra le braccia e mi baciò; la verità è che io ci provavo troppo gusto per resistergli. Tuttavia, a un certo punto, stanchi di quell'esercizio, ci mettemmo a sedere, e lui mi parlò per un bel po'; disse che io l'avevo affascinato, e che lui non sapeva darsi pace notte e giorno se non poteva dirmi che era innamorato di me, e che, se io ricambiavo il suo amore, se lo facevo felice, gli avrei salvato la vita, e molte altre belle cose. Io a lui dissi molto poco, ma senza difficoltà mi resi conto di essere una sciocca che non riusciva a capir bene che cosa voleva lui. Allora lui si mise a passeggiare per la stanza, mi prese per mano, e io feci qualche passo con lui; e lì per lì, cogliendo l'occasione, mi gettò sul letto e mi baciò col massimo impeto; ma, per rendergli giustizia, va detto che non usò modi violenti, non fece che baciarmi proprio tanto. Dopo di che, gli sembrò di sentire qualcuno che saliva le scale, si alzò dal letto e mi tirò su, dichiarandomi ancora tanto amore, ma disse che si trattava di affetto più che onesto, che lui non voleva farmi del male; e, con questo, mi ficcò in mano cinque ghinee e scese giù. Io fui sbalordita per il denaro più di quanto lo ero stata per l'amore, e incominciai a sentirmi tanto per aria che non sentivo più il terreno sotto i piedi. Do tutti i particolari, di questa parte della storia, affinchè, se giovani innocenti avessero la ventura di leggerla, possano ricavarne insegnamento e apprendere a guardarsi dai guai che capitano quando si scopre troppo presto la propria bellezza. Una volta che una ragazza pensa di essere bella, non dubita della sincerità dell'uomo che le dice di essere innamorato di lei; infatti, se si considera tanto affascinante da catturare un uomo, è logico che si attenda da lui quella reazione.
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