XIII Dopo pranzo, nel salotto pieno di campane e di campanelle, sotto le lampade velate che lasciavano salire soltanto una luce tenue verso le Vergini senesi dalle lunghe mani, la buona signora Marmet si scaldava alla stufa, con una gatta bianca sulle ginocchia. La serata era fresca. La signora Martin, cogli occhi ancora pieni d’aria leggera, di cime violette e di querce antiche che torcevano le loro braccia mostruose sopra la strada, sorrideva d’una stanchezza felice. Era andata, con Miss Bell, Dechartre e la signora Marmet, alla Certosa d’Ema. E adesso, nell’ebbrezza sottile delle sue visioni, dimenticava le apprensioni dei giorni prima, le lettere importune, i rimproveri lontani, e non pensava che al mondo ci fossero altro che dei chiostri cesellati e dipinti, con un pozzo nell’erba de