Capitolo uno
Nuda, si contorse e strattonò le catene che la tenevano prigioniera. Re Fluut, il ripugnante sovrano dei finn, l'aveva appesa al muro di fronte al trono, nella capitale del pianeta usurpato Zandia. Sì, l'aveva legata al muro. Nuda.
Però non pensava che fosse una questione sessuale per lui. Le guardava il corpo con nient'altro che disgusto. Il sentimento è reciproco, stronzo. La nudità era una specie di gioco di degrado.
Era stata una cogliona a venire a Zandia, ma il suo pianeta natale era come un'entità vivente, che respirava, che la chiamava. Dopo una vita di fame e debolezza, passata coricandosi stanca la notte, la promessa di ottenere forza dai cristalli di Zandia l’aveva ammaliata.
Quella parte, almeno, era stata vera. Anche nella sua attuale, terribile situazione, minuscole bolle di energia le scorrevano in corpo, vivificando parti di cui a malapena sapeva dell'esistenza. Lo sfortunato effetto collaterale era stato un risveglio della fessura tra le gambe. E la nudità non aiutava.
La figa si riscaldò e si inumidì, chiaramente scollegata dal cervello, che sapeva che la situazione non era per niente sexy. Poteva anche essere nuda, ma di sicuro non era ora di giocare. Perché allora i suoi dannati capezzoli si irrigidivano ogni volta che un nuovo maschio entrava nella stanza?
I maschi erano bestiali. Letteralmente. I finn erano una specie orribile e brutta. Bassi, dalla pelle grigia, con grotteschi nasi piatti e denti dall'aspetto feroce. Il re era il peggiore di tutti, con i denti appuntiti mezzo marci, il viso rugoso e cadente.
No, il suo corpo sicuramente non era interessato a quelli lì. Ma si era trovata a immaginare maschi di altre specie. Umani. Zandiani. Non che avesse mai visto uno zandiano. Diamine, non sapeva nemmeno di essere zandiana fino allo scorso ciclo solare.
Un viaggiatore al bar dove aveva servito come schiava per tutta la sua vita vi aveva accennato di sfuggita, chiedendole come fosse sopravvissuta lontana dai cristalli.
Quelle parole l'avevano accesa, come se fosse stata fulminata dalla più feroce tempesta elettrica che lo spazio avesse mai conosciuto. I capelli le si erano rizzati in testa, il sangue si era riscaldato, scorrendole nelle vene. Gli era corsa dietro, sapendo che al ritorno sarebbe stata picchiata dal suo padrone, Thurn, ma senza preoccuparsene.
«Cosa intendi?» aveva chiesto. «Quali cristalli?»
Il cliente, un commerciante dall'aspetto rozzo, l'aveva guardata come se fosse la più grande idiota che avesse mai visto. «Non sai dei cristalli?»
«Che cosa? Cristalli? Per favore, dimmi di cosa stai parlando.»
«Hai sentito parlare di Zandia, vero?» La voce trasudava derisione.
Era arrossita e aveva scosso la testa. «Hai detto che è da dove vengo?»
«Sì. Sei una zandiana. Zandia è il tuo pianeta natale. Quello da cui proviene la tua specie. È fatto da cristallo, utilizzato per alimentare le armi laser. Ecco perché i finn lo hanno invaso e hanno ucciso la maggior parte della tua specie. Presumibilmente, gli zandiani usavano i cristalli per produrre energia. Non hanno bisogno di cibo o bevande, solo di cristallo. O qualcosa del genere, comunque. Ecco perché i finn li hanno uccisi.»
Era rimasta a bocca aperta, tremando di quella nuova consapevolezza; un milione di convinzioni sulla sua esistenza erano andate in pezzi, finché non era arrivato Thurn per trascinarla via con una presa brutale sul braccio.
Portami lì, aveva quasi supplicato lo sconosciuto, ma aveva prevalso il buon senso. Non poteva svelare le sue intenzioni al padrone. Almeno non fino all’occasione giusta. Ed eccola. Aveva finalmente avuto il coraggio di rubare dalla cassa e scappare, acquistando il passaggio diretto per Zandia.
Cosa che ora sapeva essere stata tanto impulsiva quanto stupida. Mannaggia ai cristalli, che ora le infiammavano il corpo; la lussuria le pompava nelle vene nutrendola come ossigeno. Che aspetto aveva un maschio zandiano? Pelle violacea come la sua? Quanto era alto? Che tipo di cazzo aveva?
Stelle, stava pensando ai cazzi?
Si mosse irrequieta strattonando i legacci che la tenevano ben salda contro il muro. Il re di solito ordinava di farla scendere da lì e portarla nella prigione per la notte. Non le venivano dati vestiti, e la facevano sfilare lungo l'intera prigione perché ogni maschio di ogni cella la guardasse a bocca aperta ma, per fortuna, aveva una cella privata.
Non vedeva l'ora di andarci. Non solo per il sollievo di venire liberata da quella terribile posizione. Ma, per la prima volta nella vita, aveva bisogno di toccarsi. Laggiù. Disperatamente.
~.~
Sto arrivando, Talia.
Tomis si accasciò al suo posto sulla navicella prigione, cercando di sembrare nient'altro che un contrabbandiere da due soldi. Un ruffiano, che aveva commesso l'errore di tentare di acquistare cristallo zandiano al mercato nero. Il piano, nella migliore delle ipotesi una missione suicida, era penetrare nella prigione dei finn, sotterranea alla capitale di Zandia, prima di farsi uccidere.
Se ci fosse riuscito, aveva in programma di scappare con la bellissima Talia, forse l'unica femmina zandiana in età riproduttiva della galassia, la figlia del maestro Seke, il suo mentore.
Lo stornigiano seduto di fronte a lui lo fissò apertamente. «Sai cosa ne faranno di te quando arriverai nelle terre dei finn, vero?»
Terre dei finn. Che incazzatura. Il nome del pianeta era Zandia, dimora legittima degli zandiani, governata dal principe Zander, figlio del defunto re Zander. Zandia era la sua patria, un pianeta tempestato di naturali cristalli di grande bellezza e ricchezza.
Alzò il labbro superiore in uno sguardo accigliato e fece il finto tonto. «Che cosa?»
«I finn hanno sterminato la tua intera specie. Sistematicamente. Ovvero, hanno braccato e ucciso ogni singolo zandiano vivente che sono riusciti a trovare. Pensi che ti lasceranno vivere più di tre secondi sul loro pianeta?»
Il loro pianeta. Kazo di stronzi.
Grugnì come se non potesse importargliene di meno, ma un malessere familiare gli strinse il plesso solare. In parte odio, in parte disperazione. Il fatto che una specie commettesse un atto di genocidio così atroce lo faceva stare male. E ne ricordava ogni parte. Le urla. Gli edifici in crollo. Corpi insanguinati. Sua madre lo aveva spinto su una navicella piena appena prima che decollasse. L’aveva guardata salutare con la mano, il pugno infilato nella bocca, piangendo, appena prima che un'altra bomba cancellasse il terreno su cui si trovava. Il suo gesto finale era stato quello di salvargli la vita.
Fino a oggi aveva passato la vita ad allenarsi per la vendetta. Per far valere il suo sacrificio, riprendere il pianeta per il suo sovrano, il principe Zander.
Ma prima c’era Talia.
Ora che lo stornigiano aveva richiamato l'attenzione su di lui, anche gli altri membri della navicella prigione lo fissavano, con la curiosità che brillava negli occhi. Dieci erano finn. Poi c’era un umano, probabilmente uno schiavo fuggito. Tre stornigiani.
Un finn parlò. Erano creature basse e brutte: teste rotonde, denti aguzzi e appuntiti, pelle grigiastra. «Sei zandiano? Non sapevo che fosse rimasto qualcuno di voi» lo schernì. «Dove ti eri nascosto?»
Tomis fece un'alzata di spalle. «Qua e là.»
«Cosa stai cercando?» chiese un altro finn.
«Commercio illegale.»
«Come sei sopravvissuto senza i cristalli?» chiese il primo finn. «Pensavo ti fossero necessari per la sopravvivenza.» Quella era stata la ragione per cui i finn avevano sterminato la sua specie. Non avevano pensato che gli zandiani avrebbero semplicemente lasciato il pianeta rifugiandosi altrove. Non quando la loro biologia richiedeva i cristalli per ricaricarsi. Quando maestro Seke aveva evacuato il principe Zander dal palazzo in rovina, aveva avuto la saggezza di caricare quanti più grandi cristalli potessero trasportare, consentendo alla piccola comunità di rifugiati di sopravvivere per tanti anni lontano da Zandia.
Incrociò le braccia sul petto, adottando una postura da non rompermi il kazo per far capire che non avrebbe risposto ad altre domande.
La piccola navicella della prigione urtò contro a una piattaforma e guardie armate fino ai denti entrarono per scortarli via. Pregò che trovare Talia non fosse troppo difficile.
Per l'unica vera stella zandiana, se quei figli di puttana dei finn avessero ferito quella femmina, avrebbe ucciso anche l'ultimo di loro, kazo.
Ma quell'aggressività ora non gli serviva. La spinse giù, conservandola per un altro momento. Per adesso aveva bisogno di recitare alla grande. Se Fluut, il re dei finn, avesse capito che si stava occupando di affari zandiani ufficiali, sarebbe stato giustiziato immediatamente, e così sarebbe stato per Talia.
Dolce Talia.
Non aveva mai incontrato la femmina, ma era disposto a morire per lei dal momento in cui ne aveva visto l’ologramma terrorizzato nella trasmissione fatta da Fluut.
La scambierò con il tuo principe. Hai una settimana per consegnarmelo.
Era accaduto due rotazioni del pianeta prima. Ne mancavano altre otto poi Talia sarebbe stata uccisa.
Una guardia lo colpì alle costole con il calcio della gigantesca pistola laser. Tomis assimilò il dolore; lo usò come carburante per il suo potere.
Il dolore è solo una sensazione, diceva maestro Seke durante l'allenamento. Registralo. Usa quelle informazioni. Non dargli più peso di quanto meriti.
Talia era la figlia di maestro Seke, scomparsa dall'invasione di Zandia da parte dei finn. Seke l'aveva creduta morta fino a poco tempo fa, quando Rok aveva rivelato di essere fuggito con due bambine. Da allora Tomis aiutava Seke a cercarle.
Finse di inciampare e di girarsi all’improvviso, come debole e sbilanciato, quando le guardie lo spinsero giù dalla navicella prigione. Aveva abiti sporchi e laceri, stivali consumati. Aveva fatto tutto il possibile per apparire come un signor nessuno.
Una guardia stava all'ingresso; esaminava i loro corpi alla ricerca di malattie e dei codici a barre, se ne avevano. Non ne aveva. Era stato un essere libero per tutta la vita.
«Chi è?» chiese la guardia quando fu il turno di Tomis.
«Contrabbandiere. Stava cercando di comprare il cristallo. Ho pensato che re Fluut potesse volerlo come ulteriore merce di scambio.»
La faccia della guardia si allungò in un sorriso unto, mostrando una fila di denti appuntiti con incastrati rimasugli di cibo. «Eccellente. Portalo in prigione.»
Sì.
Il secondo passaggio del folle piano aveva funzionato. Ora doveva solo trovare Talia e scappare.
Quando la scansione fu completata, le guardie lo trascinarono rudemente giù per due rampe di scale di metallo fino ai sotterranei. Esattamente dove le piantine zandiane avevano posizionato la prigione. Non aveva armi tranne i pugni, ma il suo corpo era stato addestrato a uccidere dalla prima rotazione del pianeta dopo il genocidio zandiano. I suoi due assi nella manica erano l'enorme esplosione solare che Seke aveva pianificato di innescare quella sera per togliere l’energia ai finn, e il vasto sistema di tunnel sotterranei alle segrete che i finn sembravano non conoscere.
Sperava solo che anche Talia fosse nelle segrete.
Tenne la testa bassa mentre camminavano cella dopo cella, piene di ogni miserabile specie nominabile. Quasi tutti maschi. Nessun altro zandiano.
La guardia mise la mano sul pannello esterno a una cella e questa si aprì. Tre esseri enormi guardarono in alto mentre Tomis veniva spinto in avanti, nella cella, e il pannello si richiudeva.
Stirò i muscoli e si sgranchì il collo. Se avessero avuto bisogno di testare il suo dominio, sarebbe stato pronto. Si sperava che gli avrebbero permesso di combatterli uno alla volta, ma probabilmente sarebbe stato chiedere troppo.
«Niente combattimenti» grugnì il più grande, come annoiato. «Oppure ti tolgono i pasti.»
Uh. Questo non era previsto. Si sedette su una panchina accanto al gigantesco essere di una specie che non riuscì a identificare facilmente.
«I pasti sono buoni, vero?» chiese seccamente. Gli zandiani richiedevano poco cibo finché erano in contatto con il cristallo, quindi non gli importava.
Il ragazzo sbuffò. «Non c'è molto altro da aspettarsi da queste parti.»
Ok, quindi i compagni di cella erano amichevoli. O perlomeno non minacciosi. Aveva superato la terza prova. Quasi lo preoccupò quanto le cose fossero andate bene fino a quel punto. Era convinto di avere una probabilità di morire del settanta per cento prima di raggiungere quel punto.
«Avete visto esseri come me? Una femmina?»
Tutti e tre i compagni di cella si spostarono. «Oh sì. L'abbiamo vista. L'abbiamo vista tutta.»