CAPITOLO VII
Spesso i due si divertirono a conversare del pubblico inglese, quasi che la ragazza fosse stata in grado di attrarre la sua attenzione. Il pubblico inglese continuava, per il momento, a ignorare la presenza di Miss Isabel Archer, piombata, come diceva il cugino, nella più stupida casa d’Inghilterra.
Ammalato di gotta, lo zio riceveva pochissimo, e la signora Touchett, non avendo mai coltivato relazioni fra i vicini di suo marito, non aveva visite. Aveva però una passione tutta sua: quella delle carte da visita. Relazioni di società ne aveva poche, ma nulla le faceva maggior piacere che ricevere quei simbolici cartoncini rettangolari. Si lusingava di essere una donna obiettiva e si era ormai convinta della verità che il mondo non dà nulla per nulla. Lei non aveva rappresentato alcun ruolo sociale a Gardencourt e non poteva sperare che nel vicinato si badasse al suo andare e venire. Ma non era certo che il suo insuccesso, nella società inglese, non fosse dovuto all'asprezza di certe sue osservazioni sulla patria adottiva di suo marito, né si poteva giurare che non le dispiacesse di contare poco in essa.
Isabel ora si trovava nella strana condizione di dover difendere la costituzione inglese, contro l’opinione di sua zia, poiché la signora Touchett aveva ormai preso l'abitudine di piantare spilli in quel venerando cuscinetto. E allora Isabel provava un irresistibile bisogno di strappare via gli spilli, non perché credesse che potessero recare alcun danno alla vecchia pergamena indurita, ma perché le sembrava che la zia ne avrebbe potuto fare un uso migliore. Anche lei era uno spirito critico, - cosa inevitabile data l’età, dato il sesso e la patria - ma al tempo stesso era anche sentimentale e, al contrario, c’era qualcosa nell’aridità della zia che apriva subito le cateratte del suo sentimento.
«Qual è infine il tuo punto di vista, zia? - le chiese un giorno - Per trovare da ridire su ogni cosa, bisogna aver un punto di vista. Il tuo non mi sembra quello americano. Nulla ti andava a genio anche laggiù. Quando io critico qualcosa, ho sempre il mio punto di vista, e ti assicuro che è assolutamente americano.»
«Cara la mia ragazza, - rispose la signora Touchett - ci sono al mondo tanti punti di vista, quante sono le persone di buon senso in grado di appropriarsene. Si può osservare forse che questa condizione non li renda troppo numerosi. Ma è così ridicolmente limitato il punto di vista americano. Il mio, almeno, è tutto mio.»
Isabel giudicò la risposta assai migliore di quanto sembrasse: definiva abbastanza bene la sua maniera di giudicare le cose, ma avrebbe stonato sulle sue labbra. Sulla bocca di una persona meno avanzata negli anni, che la signora Touchett, e meno ricca di esperienza, poteva sembrare presunzione, forsennata arroganza. L’arrischiò tuttavia, discorrendo con Ralph, col quale l'affliggeva molto chiacchierare, anche con una certa libertà e stravaganza.
Al cugino piaceva scherzare amabilmente con lei. Nel suo concetto egli assumeva la figura di uno che di ogni cosa ne faceva una burla, e non era uomo da trascurare i privilegi che una simile reputazione gli conferiva.
Isabel lo accusava di mancanza di serietà, di voler ridere di tutti e su tutti, cominciando da se stesso. L'unico riguardo che gli restava si accentrava tutto su suo padre; per il resto egli esercitava il suo spirito in modo imparziale su di sé, sui suoi polmoni delicati, sulla sua vita inutile, sulla sua stranissima madre, sui suoi amici (su Lord Warburton, specialmente), sul suo paese di adozione, su quello natio, e sulla sua affascinante cugina novella.
«Ho sempre una banda nella mia anticamera, - le disse una volta - che ha l’ordine di suonare continuamente e che mi rende così due eccellenti servigi: impedisce che i rumori del mondo arrivino ai miei appartamenti privati e fa credere alla gente che qua dentro si sia eternamente in festa.»
Infatti c’era sempre una specie di musica da ballo intorno a Ralph: i valzer più vivaci gli fluttuavano intorno.
Isabel si sentiva irritata, a volte, da quel suo chiacchiericcio scoppiettante; le sarebbe piaciuto varcare l’anticamera dove stava la banda ed entrare nei suoi appartamenti privati. E non le importava affatto, come egli le aveva assicurato, che fossero luoghi desolati; a lei sarebbe bastato di scoparli e di tenerli in ordine. Ma, il lasciarla fuori così, non era buona ospitalità, e per punirlo, Isabel gli andava somministrando piccole sferzate d’intelligenza col suo giovane spirito baldanzoso. Ma bisogna dire che di questo spirito si serviva soprattutto in sua legittima difesa, poiché Ralph l’aveva soprannominata Columbia e l’accusava, di quando in quando, di un patriottismo fin troppo ardente. Anzi, le disegnò perfino una caricatura, nella quale Isabel era rappresentata nelle spoglie di una giovane donna avvolta, secondo l’ultima moda, nelle pieghe della bandiera americana.
In quel tempo, il timore più forte di Isabel, era di apparire una ragazza con idee circoscritte, e ciò che temeva era di essere realmente tale. Nondimeno non si faceva scrupolo di assecondare i pareri del cugino e di mostrare di sospirare gli incanti del paese natio. Voleva apparire americana quanto egli pensava che essa fosse, e se Ralph aveva voglia di ridere, lei gliene dava un’infinità di motivi. Difendeva a spada tratta l’Inghilterra contro gli assalti di sua zia, ma quando il cugino ne cantava le lodi, era capace di dissentire da lui su innumerevoli punti. Vero è che le bellezze di questo piccolo paese, ormai maturo, le sembravano dolci come il gusto di una pera d’ottobre, e questo appunto le faceva accogliere con spirito gli scherzi del cugino, che essa garbatamente gli restituiva. Se poi, di quando in quando, il suo buonumore si smorzava, non era che si sentisse offesa, ma perché provava un improvviso dolore per Ralph. Le pareva che parlasse come un cieco e che mettesse poco cuore in quello che diceva.
«Non vi conosco ancora abbastanza, - gli disse un giorno - ma temo che siate un gran ciarlatano.»
«Oh, potete dirmi tutto quel che volete.» fece Ralph, che non era abituato a sentirsi apostrofare così crudamente.
«Non sono ancora riuscita a capire di che cosa importi a voi. Di nulla! Né dell’Inghilterra, quando la lodate, né dell’America, quando pretendete denigrarla.»
«M’importa soltanto un po’ di voi.»
«Se potessi crederlo, ne sarei felice.»
«Vorrei sperarlo.» disse il giovane.
Isabel, in verità avrebbe potuto crederlo e non sarebbe stata lontana dal vero. Ralph pensava molto a lei, anzi, si può dire che essa fosse sempre presente nelle sue riflessioni. In un periodo nel quale i pensieri erano diventati un peso per lui, quell’improvvisa apparizione, che non prometteva nulla, ma che era come un dono inatteso dal destino, li aveva ravvivati e aveva dato loro ali per volare.
Per settimane e settimane il poveretto era stato immerso nella malinconia; il suo umore abitualmente triste era stato oscurato da una nuvola più nera: la salute di suo padre era peggiorata, la gotta che sino allora l’aveva preso soltanto alle gambe, minacciava d’invadere parti più vitali. In primavera, il vecchio era stato seriamente in pericolo e i dottori immaginavano che un secondo attacco non sarebbe stato facile da superare. Ora però sembrava si fosse completamente ristabilito, ma Ralph non si poteva liberare dal sospetto che fosse un tranello del nemico che si ritirava per sorprenderlo poi alla sprovvista. Se la manovra fosse riuscita, ci sarebbe stata poca speranza di vittoria.
Fino allora, Ralph aveva sempre pensato che il padre gli sarebbe sopravvissuto, e che il suo nome sarebbe stato il primo a echeggiare. Padre e figlio erano sempre stati compagni indivisibili e l’idea di essere lasciato solo per il resto di una vita insipida e incolore non sorrideva per nulla al giovane, che aveva sempre contato segretamente sull’aiuto del vecchio per volgere in bene la sua miseria.
Alla prospettiva di perdere l’unico scopo che ancora gli rimaneva nella vita, Ralph smarrì la sua poca serenità. Se avessero potuto morire nello stesso tempo, tutto sarebbe ancora andato bene, ma privato del coraggio e della calma che suo padre sapeva infondergli, egli non avrebbe certamente avuto la pazienza di aspettare la sua volta. Non aveva neanche la qualità di essere indispensabile a sua madre, poiché per lei era una regola non rimpiangere nulla o nessuno. Rifletteva, naturalmente, che era una ben piccola gentilezza per suo padre, l’augurarsi che dei due, la parte attiva, piuttosto che quella passiva, dovesse sentire la ferita.
Ricordava che questa previsione del figlio, di una sua fine immatura, il vecchio l’aveva sempre considerato come un abile diversivo, che egli sarebbe stato felice di smascherare, morendo per il primo; ma dei due trionfi, quello di confutare un figlio visionario e quello di mantenersi più a lungo in uno stato di cose che, nonostante tutto, non gli dispiaceva, Ralph non credeva peccato lo sperare che l’ultimo fosse concesso al signor Touchett.
Problemi sottili che però, con l’arrivo di Isabel, furono sopiti. Gli suggerirono, anzi, che forse per lui ci poteva essere un compenso, se gli fosse toccata la noia di sopravvivere al suo vecchio e geniale amico. Si chiese stupefatto se si stesse innamorando di Isabel, di questa schietta ragazza di Albany; ma poi concluse che ciò non era possibile. Dopo che ebbe frequentato la ragazza per qualche settimana, decise che proprio non era amore quello che sentiva per lei, e ogni giorno se ne convinse sempre più.
Lord Warburton non si era ingannato: Isabel era veramente interessante. Ralph si domandava perplesso, come mai il suo vicino se ne fosse accorto così rapidamente, e finì per concludere che anche questa non era che una prova del potere d’intuito dell’amico che egli aveva sempre ammirato. La cugina dunque, non era altro che un passatempo per lui, ma un passatempo di prima qualità.
«Un carattere come quello, - disse a se stesso - è una piccola forza vivente da vedere all’opera, la più bella cosa della natura. Più bella della miglior opera d’arte, di un bassorilievo greco, di un Tiziano, di una cattedrale gotica. È davvero piacevole essere così favoriti quando non si è fatto nulla per meritarselo. Non ero mai stato più di cattivo umore, più annoiato, che nella settimana che precedette il suo arrivo, non mi ero mai nemmeno aspettato qualcosa di bello dalla vita. Ed ecco, ricevo per posta un Tiziano da appendere in casa mia, un bassorilievo greco da far murare sopra il mio camino. La chiave di un meraviglioso edificio è messa nelle mie mani e mi si invita a entrarvi e a passeggiarvi a mio agio. Mio povero amico, siete stato orribilmente ingrato e ora fareste meglio a starvene tranquillo e a non brontolare più.»
Giustissime riflessioni, ma non era altrettanto giusto che Ralph Touchett avesse una chiave nelle sue mani. Sua cugina era una ragazza molto brillante che avrebbe richiesto, secondo lui, molto studio; ma questo studio andava fatto, e per ora la sua propensione verso di lei, ancorché critica e contemplativa, non era quella di un giudice competente. Guardava l’edificio dall’esterno e lo ammirava; spiava dentro le finestre e ne riceveva un’impressione di proporzioni egualmente perfette. Ma capiva di vederne soltanto barlumi e che ancora non aveva oltrepassato la soglia. La porta restava chiusa, e sebbene egli ne avesse le chiavi in tasca, nessuna certo avrebbe aperto la porta.
Isabel era una ragazza intelligente e generosa, una natura bella e libera; ma cosa avrebbe fatto di sé? Questa domanda era strana, la maggior parte delle donne non se la pone. La maggior parte delle donne non fa nulla di sé: aspetta in un’inclinazione, più o meno graziosamente passiva, che un uomo venga sul loro sentiero e le provveda di un destino.
L’originalità di Isabel, stava invece nel fatto che dava l’impressione di avere intenzioni tutte proprie.
«In qualunque momento essa si metta all’opera, possa io essere presente ed assistervi.» pensava Ralph.
Ad ogni modo, ora toccava a lui fare gli onori di casa. Il signor Touchett giaceva confinato nella sua poltrona e la posizione di sua moglie era quella di un’ospite alquanto bisbetica; ma questo ruolo di ospite era piacevolissimo per il giovane. Pur non essendo un gran camminatore, si compiaceva di passeggiare per i campi con la cugina; svago per il quale il tempo si mantenne favorevole, con una costanza che smentì le malinconiche previsioni di Isabel in fatto di clima inglese.
Nei lunghi pomeriggi, la cui durata era soltanto la musica del soddisfatto ardore di Isabel, andavano in barca sul Tamigi, - il caro piccolo fiume, come lo chiamava Isabel - la cui la sponda opposta appariva ancora al primo piano del paesaggio; oppure percorrevano i dintorni, in un basso e capace calesse, dalle ruote molto pesanti, che era assai di moda al tempo del signor Touchett, ma che egli aveva cessato di adoperare.
Isabel godeva assai e, tenendo lei le redini in modo da farsi giudicare provetta guidatrice dallo staffiere, non si stancava di guidare i bei cavalli dello zio per vie tortuose, per sentieri abbandonati, ricchi di colore locale, che essa vi aveva già immaginato, con dei vecchi cottage di legno dai tetti di paglia, vecchio riparo dalle finestre a graticci e piene di polvere, vecchi recinti di antichi parchi abbandonati in mezzo a siepi folte di vegetazione estiva.
Quando tornavano a casa, trovavano di solito il tè, servito sul prato, e la signora Touchett che non si era sottratta al dovere di porgere la sua tazza al marito. Ma per lo più i due sedevano in silenzio accanto al vecchio col capo abbandonato all’indietro e gli occhi chiusi, e la moglie tutta intenta nel suo lavoro a maglia, con quell’aspetto racchiuso e assorto col quale le signore, di solito, valutano i movimenti dei loro aghi.
Finalmente un giorno arrivò una visita. I due giovani tornavano a casa dopo aver trascorso un’ora sul fiume, quando scorsero Lord Warburton che, seduto sotto le piante, s’intratteneva con la signora Touchett. Era venuto in una carrozza con una valigetta e aveva chiesto - come spesso padre e figlio l’avevano invitato a fare - pranzo e alloggio per la notte.
Isabel, che l’aveva visto soltanto per mezz’ora al giorno del suo arrivo, aveva scoperto, in quel breve tempo, che egli le piaceva; aveva pensato varie volte a lui: egli si era veramente imposto alla sua fine sensibilità, e lei aveva sperato di vederlo ancora, e di vederne degli altri.
Il soggiorno a Gardencourt non era affatto noioso, il luogo era superbo, lo zio vi assumeva ogni giorno più l’aspetto di un nonnino d’oro, e Ralph era diverso da tutti gli altri suoi cugini. Oltreché le sue impressioni erano ancora così fresche e si andavano così rapidamente rinnovando, che non sentiva per ora desiderio di novità; ma Isabel non dimenticava certo che stava studiando la natura umana e che la sua maggiore speranza, nel venire in Europa, era di poter conoscere un gran numero di persone.
Quando Ralph le aveva detto, e più volte: «Mi stupisce che voi troviate sopportabile questa vita; dovete conoscere qualcuno dei nostri vicini e dei nostri amici, poiché qualcuno ce l’abbiamo.»
Per quanto non sembri, quando le aveva promesso di invitare un gran numero di persone e di farle conoscere la società inglese, Isabel aveva incoraggiato questi suoi nobili propositi e promesso che si sarebbe gettata nella mischia. Però, quasi nulla era accaduto di quanto detto dal giovane, e se egli rimandava di giorno in giorno, era perché trovava l’incombenza di provvedere da solo alla compagnia di Isabel così poco pesante da non richiedere affatto l’aiuto di estranei.
Isabel gli aveva parlato molto spesso di campioni : una parola questa che occupava una parte di primo piano nel suo vocabolario usuale; gli aveva dichiarato che voleva conoscere la società inglese attraverso le sue personalità eminenti.
«Ebbene, eccovi finalmente un campione.» le disse mentre tornavano dal fiume, additandole Lord Warburton.
«Un campione di che cosa?» domandò la ragazza.
«Di gentiluomo inglese.»
«Volete dire che i gentiluomini inglesi sono tutti così?»
«Non tutti.»
«Un campione privilegiato, allora. - commentò Isabel - Poiché sono certa che è un uomo molto fine.»
«Molto fine e anche molto fortunato.»
Il fortunato Lord Warburton scambiò una stretta di mano con la nostra eroina, e auspicò che le andasse tutto bene.
«Del resto non ho bisogno di chiedervelo, - aggiunse - vedo che avete remato.»
«Un po’, - disse Isabel - ma come lo sapete?»
«So che lui non rema: è troppo pigro.» disse Sua Grazia indicando Ralph Touchett con un sorriso.
«Ha delle buone scuse per la sua pigrizia.» ribatté Isabel, abbassando un po’ la voce.
«Ha buone scuse per tutto!» esclamò Lord Warburton, senza lasciare la sua rumorosa allegria.
«La scusa che io ho per non remare è che mia cugina rema deliziosamente. - disse Ralph - Ma a dire il vero tutto quello che fa, lo fa deliziosamente. Abbellisce tutto ciò che tocca.»
«Questo farebbe venire voglia di essere toccati, signorina Archer.» dichiarò Lord Warburton.
«Purché si sia toccati nel giusto senso, non ci sarà mai da perderci.» disse Isabel, che se si compiaceva di sentirsi dire che le sue doti erano numerose, e pensava con piacere che tale compiacimento non era per nulla indizio di una mente debole, poiché in realtà erano parecchie le cose nelle quali eccelleva.
L’unico elemento di umiltà che attenuava il suo desiderio di pensare bene di se stessa, era che per questo voleva sempre una prova.
Lord Warburton non solo passò la notte a Gardencourt, ma si lasciò convincere a trascorrervi anche il giorno successivo, e quando fu trascorso, decise di rimandare ancora la partenza all’indomani. Durante questo periodo fece parecchie osservazioni a Isabel, che accettò molto amabilmente questo segno della sua stima.
Lei si accorse che la prima impressione che egli aveva fatto su di lei le piaceva assai. Aveva in ciò la sua importanza, ma dopo una sera trascorsa in sua compagnia, la ragazza non si poté trattenere dal considerarlo quasi come un eroe da romanzo; e se ne andò a riposare con un senso di buon auspicio e di possibile felicità futura.
«È molto bello conoscere due persone così simpatiche.» si disse, intendendo col due , il cugino e l’amico del cugino. Ma c’è da aggiungere che poco prima, le era capitato un incidente che aveva messo alla prova tutto il suo buonumore.
Il signor Touchett era andato a letto alle nove e mezzo e sua moglie era rimasta in salotto con gli altri della compagnia. Ma dopo un po’ meno di un’ora, alzandosi, disse a Isabel che era tempo di augurare la buona notte. Isabel non aveva alcuna voglia di andare a letto; la serata aveva per lei un carattere festoso e le feste non usava concluderle così presto.
Rispose semplicemente: «Devo proprio venire anch’io, zia? Vi raggiungerò fra mezz’ora.»
«Non posso aspettarti.» rispose la signora Touchett.
«Non c’è bisogno. Ralph accenderà la mia candela.» propose allegramente Isabel.
«L’accenderò io la vostra candela, signorina, se permettete. - disse allora Lord Warburton - Solo vi supplico di una cosa, che questo non avvenga prima di mezzanotte.»
La signora Touchett fissò per un momento su di lui i suoi occhietti brillanti, poi li rivolse freddamente alla nipote. «Non potete restare sola con due uomini. - ripeté - Non siete mica... nella vostra Albany, mia cara.»
Isabel si alzò arrossendo. «Vorrei esserci.» disse.
«Insomma, mamma...» intervenne Ralph.
«Cara signora Touchett.» mormorò Lord Warburton.
«Non l’ho fatto io il vostro paese, milord. - dichiarò la signora Touchett con sussiego - Devo prenderlo come l’ho trovato.»
«Non posso dunque restare con mio cugino?» domandò Isabel.
«Non sono al corrente del fatto che Lord Warburton sia tuo cugino.»
«Forse è meglio che vada io a letto. - suggerì Lord Warburton - Questo accomoderà la cosa.»
La signora Touchett lo guardò con aria disperata e tornò a sedere: «Se è necessario posso stare alzata fino a mezzanotte.»
Ralph frattanto aveva teso il candeliere a Isabel, e osservandola gli era parso che il suo buonumore stesse per lasciarla; ciò poteva essere cosa rilevante, ma se si aspettava da lei un moto d’ira, restò deluso, poiché la ragazza gli sorrise leggermente, diede la buona notte e si ritirò, accompagnata dalla zia. Lui fu seccato del contegno della zia, ma sapeva che aveva ragione.
Di sopra le due donne si separarono alla porta della signora Touchett. Isabel non aveva più aperto bocca.
«Certo sarete seccata che io metta così il naso nei vostri affari.» disse la signora Touchett.
«Non sono seccata, - ribatté la ragazza - ma sono sorpresa, e molto perplessa. Non dovevo dunque rimanere in salotto?»
«No, qui le ragazze, almeno nelle migliori famiglie, non restano alzate da sole in compagnia di uomini.»
«Allora hai fatto bene a dirmelo. - dichiarò Isabel - Non lo capisco, ma sono contenta di saperlo.»
«Ti avvertirò sempre, - rispose la zia - ogni volta che mi sembrerà tu stia per prenderti troppa libertà.»
«Ti prego di farlo senz’altro, ma non ti posso giurare che troverò sempre giusti i tuoi avvertimenti.»
«Oh questo sarà facile; ti piace troppo fare il tuo comodo.»
«Sì, credo infatti che mi piaccia molto. Ma desidero, in ogni modo, sapere quali sono le cose che non si debbono fare.»
«Per poterle poi fare?» chiese la zia.
«No, ma per poter scegliere.» rispose la nipote.