CAPITOLO I

3123 Words
CAPITOLO I Sotto certi aspetti, nella vita sono poche le ore più piacevoli di quelle dedicate alla cerimonia del tè, il pomeriggio. Vi sono circostanze in cui, sia che si prenda il tè o no, c’è della gente che non ne vuol sapere; quel momento è in sé piacevole. Cominciando a scrivere questa semplice storia, le condizioni alle quali alludo, offrivano uno strumento mirabile per l’innocente passatempo. Gli oggetti necessari alla piccola cerimonia erano stati disposti sulla prateria di una vecchia casa di campagna inglese, nel cuore di uno splendido pomeriggio estivo, cui una parte era già trascorsa, ma ancora molta ne rimaneva: quella migliore e di raffinata qualità. Il crepuscolo sarebbe disceso di lì a parecchie ore, ma l’impeto della luce estiva aveva incominciato a scemare; l’aria si era addolcita e le ombre si protendevano a rilento sul folto e vellutato tappeto d’erba. La scena suscitava quel largo senso di benessere a chi, sapendo di disporre ancora di tante ore, le rende così piacevoli. Dalle cinque alle otto corre talvolta una piccola eternità che, nel nostro caso, non poteva essere che un’eternità di piacere. Le persone che vi prendevano parte assaporavano quel piacere pacatamente e non appartenevano al sesso che, di solito, fornisce regolari adepti a una tale cerimonia. Le loro ombre, dritte e angolose, si proiettavano sulla limpida prateria. Le ombre cioè, di un vecchio signore seduto in un’ampia poltrona di vimini, accanto alla bassa tavola dove il tè era servito, e quella di due uomini più giovani che passeggiavano sul prato discorrendo tra loro. Il vecchio reggeva in mano la sua tazza che era più grande delle altre, di tipo diverso, dipinta a vividi colori. Costui assaporava il suo contenuto con molta pacatezza, mantenendola per lungo tempo vicino al mento, quasi del tutto rapito dalla contemplazione della sua casa. I suoi compagni che avevano già finito il loro tè, continuavano a passeggiare fumando delle sigarette. Uno di essi, passandogli davanti, di tanto in tanto, guardava con premurosa attenzione il vecchio signore ignaro, che lasciava scorrere lo sguardo sulla ricca facciata rossa della sua dimora. Questa che si alzava oltre la prateria era però tale da meritarsi davvero una così lunga e amorosa contemplazione, ed era anche il particolare più tipicamente inglese del quadro che ho tentato descrivere. Sorgeva sopra una bassa collina in riva al fiume, il Tamigi, a una quarantina di chilometri da Londra. Una lunga facciata di mattoni rossi, cui il tempo e le intemperie avevano giocato ogni sorta di scherzi pittoreschi, riuscendo soltanto a renderla più fine e delicata, presentava alla prateria le sue macchie d’edera, le sue fungaie di comignoli e le sue finestre drappeggiate da rampicanti. Aveva una storia quella casa, e il vecchio signore sarebbe stato felice di raccontarvela. Costruita sotto Edoardo VI aveva offerto per una notte ospitalità alla grande Elisabetta I (la cui augusta persona aveva dormito in un magnifico letto terribilmente angoloso che costituiva tutt′ora il vanto degli appartamenti privati). Devastata poi e sfigurata durante la guerra di Cromwell, raffazzonata sotto la Restaurazione, rifatta e deturpata nel diciottesimo secolo, era finalmente passata nelle mani di un astuto banchiere americano il quale, in origine, l’aveva comprata semplicemente perché vi aveva visto un buon affare. L’aveva comprata mugugnando molto contro la sua bruttezza, la sua antichità, la sua assoluta mancanza di comodità, ma dopo vent’anni, si accorse di nutrire per essa una forte passione estetica. Ne conosceva ogni aspetto e vi avrebbe potuto mostrare i diversi punti da cui meglio gustarla nel suo assieme e l’ora nella quale le ombre, cadendo più dolci sul caldo mattone consunto, rendevano questo insieme più perfetto. Egli inoltre avrebbe potuto enumerarvi la maggior parte dei proprietari che vi si erano succeduti, parecchi dei quali erano personaggi noti, e lasciarvi capire che quest’ultima fase della storia della casa era delle più illustri. La parte a cui ci riferiamo, che si affacciava sulla prateria, non era la principale, ed ecco perché in quel punto il senso di pace e di riservatezza regnava assoluto e il molle tappeto d’erba che ammantava il dolce pendio della collina non sembrava che il prolungamento di un lussuoso interno. Le grandi querce immobili e i faggi lasciavano filtrare una luce più calma di quella che s’insinuava tra gli sfarzosi tendaggi di velluto, e il luogo era ammobiliato come una stanza: da poltrone ricoperte di cuscini, da tappeti di colori vivaci, da libri e carte sparsi sull’erba. Il fiume scorreva a qualche distanza e la prateria terminava dove il terreno cominciava a digradare; ma non per questo il percorso che scendeva all’acqua cessava di essere incantevole. Il vecchio signore, arrivato dall’America trent’anni prima, con il proprio bagaglio aveva portato la sua fisionomia americana e non solo, ma l’aveva anche conservata intatta, cosicché, se fosse stato necessario, egli l’avrebbe riportata in patria tale e quale. Ma per lui l’epoca del viaggiare era conclusa e ora si stava godendo quel ben meritato riposo che precede l’eterno. Aveva una faccia segaligna e ben sbarbata, dai tratti regolari, con un’espressione raffinata e tranquilla. Non aveva caratteristiche troppo marcate, cosicché quell’aria di astuzia soddisfatta che la pervadeva, era ancora la sua qualità dominante. Pareva un uomo consapevole di aver avuto fortuna nella vita, ma questa non era stata né egoista, né invidiosa; anzi, aveva avuto tutta l’inoffensività più tipica dell’insuccesso. Egli aveva fatto certamente una grande esperienza di uomini, ma c’era una semplicità quasi primitiva che aleggiava sulla sua guancia sottile e illuminava il suo occhio bonariamente canzonatore mentre deponeva lentamente sulla tavola la sua grande tazza di tè. Vestiva un abito nero ben spazzolato, uno scialle gli avvolgeva le ginocchia e calzava calde pantofole ricamate. Un bel cane collie era disteso sull’erba accanto alla sua poltrona e lo fissava in viso quasi con la stessa tenerezza con la quale egli stesso contemplava la casa; mentre un piccolo terrier irrequieto teneva d’occhio saltuariamente gli altri due gentiluomini. Il primo di questi era un bell’uomo sui trentacinque anni, con una faccia tanto inglese quanto quella del vecchio era americana: faccia realmente bella, dal colorito sano, dall’espressione aperta e leale, dai tratti decisi, illuminata da un occhio grigio e vivace, e ornata di barba castana. Aveva l’aspetto di un uomo eccezionalmente brillante e fortunato, l’aria di un temperamento felice, alimentato da un’elevata educazione, che quasi obbligava all’invidia chi l’osservasse. Portava stivali e speroni, quasi smontasse allora da cavallo; aveva in capo un cappello bianco, un po’ troppo grande per lui, e in una delle mani, che teneva dietro il dorso, grandi, bianche e ben fatte, stringeva un paio di guanti di pelle di cane. Il suo compagno che accanto a lui osservava in lungo e in largo la prateria, era un tipo assolutamente diverso. Ancorché avesse potuto destare una certa curiosità, egli non avrebbe provocato in voi, come l’altro, il desiderio di trovarsi al suo posto. Era alto, sottile, di costituzione gracile e malaticcia, aveva un viso scarno e sofferente, e nello stesso tempo spiritoso e simpatico, provvisto di un paio di baffetti e di basette che non gli donavano affatto. Aveva un’aria intelligente e patita nello stesso tempo, e indossava una giacca di velluto bruno. Teneva le mani in tasca, come per abitudine, e camminava incerto e un po’ strascicato, non molto fermo sulle gambe. Come dissi, ogni volta che passava davanti al vecchio fermava lo sguardo su di lui, e in quel momento, a vederli di fronte, voi avreste intuito che erano padre e figlio. I loro occhi s’incontrarono e il vecchio rispose con un dolce sorriso alla muta domanda che gli era rivolta. «Sto proprio bene.» disse. «Hai preso il tuo tè?» chiese il figlio. «Sì, e l’ho gustato.» «Ne vuoi dell’altro?» «Non so, - rispose il vecchio, dopo aver riflettuto - preferirei aspettare e vedere.» Parlava con accento americano. «Hai freddo?» chiese il figliolo. Il padre passò lentamente una mano sulle ginocchia. «Non so. Non posso dirlo per ora.» «Forse qualcuno per simpatia può sentirlo per te.» fece il giovane, ridendo. «Oh, io spero che ci sarà sempre qualcuno che possa capire per me... Della simpatia, magari. Tu e Lord Warburton, per esempio.» «Oh, sì, immensamente, - proruppe il giovane Warburton. - e devo dire che avete senz’altro tutto l’aspetto di uno che sta benone.» «In un certo modo, sì. - il vecchio abbassò gli occhi sullo scialle verde e se lo trasse con cura sopra le ginocchia - Il fatto è che sono stato bene per una così grande quantità di anni, che credo di essermici ormai abituato, fino al punto da non accorgermene più.» «Già, è la noia del benessere. Solo quando non ci troviamo più bene ce ne accorgiamo.» disse Lord Warburton. «Direi che siamo un po’ difficili.» aggiunse il suo compagno. «Oh sì, non c’è dubbio che siamo un po’ difficili.» mormorò Lord Warburton. Poi i tre uomini rimasero in silenzio: i due giovani in piedi, fissando l’altro che alla fine chiese un’altra tazza di tè. «Però direi che non siete comodo con quello scialle.» riprese Lord Warburton, mentre il compagno si chinava a riempire la tazza del vecchio. «No, no, deve tenerselo. - gridò il giovane dalla giacca di velluto - Non mettetegli in testa delle idee.» «È di mia moglie.» disse il vecchio signore. «Oh se è per una ragione sentimentale...» e Lord Warburton abbozzò un gesto di scusa. «Credo che glielo restituirò al suo ritorno qui.» continuò il vecchio. «Farai il piacere di non farlo. Continuerai a tenertelo per coprire le tue povere gambe.» replicò il figliolo. «Non trattare male le mie gambe: credo siano buone quanto le tue.» «Già, tu sei libero di trattar male le mie.» soggiunse il giovane porgendogli il tè. «Bene, siamo anitre zoppe tutti e due. Non credo vi sia molta differenza fra di noi.» «E dammi anche dell’anitra adesso! Com’è il tuo tè?» «Buono, ma scotta.» «Questo non è un difetto, ma un pregio.» «In questo caso un pregio un po’ eccessivo. - mormorò il vecchio bonario - È una brava infermiera, sapete, Lord Warburton.» «Forse un pochino impacciata?» «No, se si considera che lui pure è invalido. Insomma, una brava infermiera per essere un’infermiera inferma. Io lo chiamo così. La mia infermiera inferma.» «Oh via, babbo!» esclamò il giovane. «Be’, non lo sei forse? Naturalmente mi piacerebbe che tu non lo fossi, ma credo che non se ne possa fare a meno.» «Potrei provare, è un’idea.» «E voi non siete mai stato ammalato, Lord Warburton?» chiese il padre. Lord Warburton rifletté un istante. «Sì, una volta, nel golfo Persico.» «Si prende gioco di te, babbo. - fece il giovane - È una delle sue solite facezie.» «Già, adesso se ne fanno di molte specie.» rispose il padre. «Voi, Lord Warburton, non avete l’aria di sapere cosa sia la malattia.» «Eppure è stanco della vita. Me lo stava dicendo proprio adesso. Ci insiste senza ritegno.» disse l’amico di Lord Warburton. «È vero?» domandò il vecchio. «No, vostro figlio non mi ha dato proprio alcun conforto del caso. Come interlocutore poi è pessimo, un vero e proprio cinico, che non crede in nulla.» «Altra inezia.» disse l’accusato di cinismo. «Forse è colpa della sua poca salute. - spiegò il padre - Essa influisce sul suo modo di pensare, sul suo modo di vedere le cose, e fa sì che egli si senta come uno a cui non è andato mai bene niente. Ma si tratta quasi sempre di teorie. In effetti il carattere non si è modificato. Non l’ho mai visto di cattivo umore. Spesso, anzi, è lui che mi fa stare allegro.» Il giovane guardò Lord Warburton e rise. «È una lode o un’accusa di leggerezza? Ti piacerebbe che io per primo mettessi in pratica le mie teorie? Allora sì che ne vedremmo delle belle!» esclamò Lord Warburton.» «Spero che non avrai preso simpatia per questa sorta di musica.» disse il vecchio. «La musica di Warburton è peggiore della mia. Pretende di essere annoiato. Invece io non lo sono per nulla. Trovo la vita fin troppo interessante.» «Ah, troppo interessante. Sai, non dovresti permetterle di essere così.» «Io non mi annoio mai quando vengo da voi. - disse Lord Warburton - Trovo dei discorsi e degli interlocutori così fuor del comune!» «È questa forse un’altra sciocchezza?» domandò il vecchio, e aggiunse: «Ad ogni modo non avete scuse per questo vostro annoiarvi. Quand’ero giovane come voi non sapevo cosa fosse noia.» «Vi sarete sviluppato più tardi.» «No, mi sviluppai molto presto, invece: questa è la ragione. A ventun anni ero in pieno sviluppo e lavoravo con le unghie e con i denti. Ma anche voi non vi sareste annoiato se aveste avuto qualcosa da fare. I giovanotti della giornata come voi sono troppo oziosi. Pensate troppo a divertirvi. Siete troppo difficili, troppo indolenti, e troppo ricchi.» «Oh, dico, - esclamò Lord Warburton - siete proprio la persona adatta per accusare di ricchezza un pover’uomo.» «Forse perché sono banchiere?» «Anche per questo: ma soprattutto perché avete a vostra disposizione mezzi illimitati.» «Non è poi tanto ricco, - protestò il figlio - ha regalato tanto denaro.» «D’accordo, ma probabilmente era suo. - disse Lord Warburton - E ci può essere una miglior prova di ricchezza di questa? Non si può permettere a un pubblico benefattore di parlar male di chi è amante del piacere.» «Anche babbo è molto amante del piacere... del piacere degli altri.» Il vecchio scosse la testa. «Non pretendo di aver contribuito in alcun modo al piacere dei miei contemporanei.» «Troppo modesto, padre mio.» «E questa è un altro tipo di barzelletta.» fece Lord Warburton. «Voi giovani avete troppa ironia, troppo brio. Senza quelli, non sapete che fare.» «Oh no, per fortuna ce ne sono sempre delle altre.» «Non credo. Credo invece che le cose si facciano sempre più serie. I giovani se ne accorgeranno.» «La crescente serietà della vita: ecco una nuova fonte di barzellette.» «E allora saranno pagliacciate tremende. - disse il vecchio - Sono convinto che avverranno cambiamenti radicali, e non tutti per il meglio.» «Sono perfettamente del vostro parere.» dichiarò Lord Warburton. «Anch’io prevedevo grandi cambiamenti e sovvertimenti impensabili. Ed è per questo che trovo così difficile applicare il vostro consiglio. Vi ricordate? L’altro giorno mi diceste che io dovrei ancorarmi a qualche cosa. Si esita ad ancorarsi a qualcosa che può saltare per aria da un momento all’altro.» «Dovreste ancorarvi a una donna graziosa.» disse il suo compagno; poi volgendosi al padre: «Sta tentando ogni mezzo per innamorarsi.» «Ma anche le donne graziose possono essere mandate a quel paese!» esclamò Lord Warburton. «Non credo resteranno immutate. - disse il vecchio - I cambiamenti politici e sociali ai quali mi riferisco non le toccheranno minimamente.» «Molto bene. Metterò al più presto possibile le mani sopra una di esse e me la legherò al collo come un salvagente.» «Le donne ci salveranno; - fece il vecchio - cioè, la parte migliore di esse, poiché io faccio naturalmente una distinzione. Sceglietevene una buona e sposatevela. La vita vi sembrerà più interessante.» Il breve silenzio che seguì lasciò modo agli interlocutori di apprezzare tutta la nobiltà che era in queste parole, poiché non era un segreto, né per il figlio né per l’ospite, che l’esperimento matrimoniale del vecchio non fosse stato felice. Come aveva detto, però, egli faceva una distinzione, e queste parole potevano essere considerate come la confessione di un suo errore personale; quantunque, né l’uno né l’altro, avrebbero potuto affermare che la donna che egli aveva scelto per sé non fosse stata una delle migliori. «Se sposo una donna interessante, troverò ancora qualche interesse nella vita. È questo che volete dire? - domandò Lord Warburton - Ma io non ho alcuna volontà di sposarmi. Vostro figlio vi ha dato una falsa idea di me: non si può immaginare quello che una donna interessante potrebbe fare ancora di me.» «Vediamo un po’, qual è la tua idea della donna interessante.» disse l’amico. «Mio caro, le idee non si possono vedere. Specie quando sono così altamente metafisiche come questa. Bisognerebbe che prima di voi io stesso riuscissi a vederla, e sarebbe già un bel passo avanti.» «Innamoratevi di chi volete, - disse il vecchio - ma non innamoratevi di mia nipote.» Suo figlio scoppiò in una risata. «Penserà che dici questo per provarlo. Caro babbo, tu vivi con gli inglesi da trent’anni e hai imparato tante cose che dicono, ma non hai ancora imparato a non dire quello che essi tacciono.» «Io dico quel che piace a me.» replicò il vecchio serenamente. «Ma io non ho l’onore di conoscerla vostra nipote, - osservò Lord Warburton - è la prima volta che ne sento parlare.» «È nipote di mia moglie. La signora Touchett la porta con sé in Inghilterra.» «Mia madre, - spiegò il giovane Touchett – come sapete, ha trascorso l’inverno in America. Ora l’aspettiamo qui di giorno in giorno. Ci scrive che ha scoperto una nipote e che l’ha invitata a venire qui.» «Molto gentile da parte sua. - disse Lord Warburton - Ed è interessante la signorina?» «Ne sappiamo quanto voi. Mamma non ha abbondato in particolari. Lei ci scrive sempre per telegrammi, e i suoi sono sempre piuttosto enigmatici. Dicono che le donne non conoscano l’arte di scrivere telegrammi, ma mia madre è ormai perfettamente padrona di questo tipo di sintesi: ″Stanca, America caldo insopportabile, torno Inghilterra con nipote, primo vapore abbia cabina decente.″ Questo è tutto il suo messaggio, l’ultimo. Ma prima ce n’era stato un altro che penso già contenesse un accenno alla nipote: ″Cambiato albergo, pessimo, impiegato insolente, indirizzate qui. Presa con me figlia sorella morta scorso anno, andata Europa, due sorelle, affatto indipendente.″ Sul quale testo, mio padre ed io, non abbiamo finito ancora di almanaccare, giacché sembra dar adito a troppe svariate interpretazioni.» «C’è una sola cosa chiara in tutto questo, - osservò il vecchio - che ha dato una lavata di capo a un impiegato dell’albergo.» «Non sono sicuro nemmeno di questo, poiché è stata costretta a cedere il campo. Pensammo dapprima che la sorella che ha citato, potesse essere la sorella dell’impiegato; ma la seguente menzione di una nipote ci fece desumere che si trattasse di una delle mie zie. Poi c’era la questione delle altre due sorelle. Chi erano? Probabilmente altre due figlie della defunta. Ma chi è affatto indipendente? E in che senso lo si deve intendere? Questo è il punto che ancora non siamo riusciti ad appurare. Si riferisce più particolarmente alla signorina che mia madre ha adottato o caratterizza in egual modo le due sorelle? Usata in senso morale o in senso finanziario? O significa semplicemente che amano vivere a modo loro?» «Qualsiasi interpretazione si possa dare, è certo che l’ultima è più vicina al vero.» osservò il signor Touchett. «Lo potrete assodare. Quando verrà la vostra signora?» chiese Lord Warburton. «Siamo completamente al buio anche su questo punto. Appena avrà trovato una cabina decente. Potrebbe essere ancora là a cercarla, o potrebbe anche essere già sbarcata in Inghilterra.» «Nel qual caso vi avrebbe telegrafato, no?» «Non telegrafa mai quando sarebbe il caso di farlo, ma soltanto quando non ve lo aspettate. - disse il vecchio - Le piace piombarmi addosso all’improvviso; pensa forse di cogliermi quando sto facendo qualcosa di male. Ancora non c’è riuscita, ma non si scoraggia per questo.» «L’indipendenza della quale essa parla, è propriamente un carattere di famiglia. - il giudizio del figlio era più favorevole - A qualsiasi grado arrivi la capacità di quelle ragazze, la sua potrà essere forse raggiunta, ma giammai sorpassata. Le piace fare tutto da sé e per sé, e non ha nessuna fiducia nell’aiuto degli altri. Di me, per esempio; crede che io sia meno utile di un francobollo senza colla e non mi perdonerebbe mai se andassi a incontrarla a Liverpool.» «Quando vostra nipote sarà arrivata, me lo farete sapere?» domandò Lord Warburton. «Sì, ma alla condizione che non v’innamoriate di lei.» rispose il signor Touchett. «Strano, non mi riterreste degno?» «Anzi, fin troppo, ed è per questo che non desidero che essa si sposi. Non deve essere venuta qui per cercarsi un marito. Tante ragazze americane arrivano con quel proposito, come se a casa loro non trovassero mariti in gamba. Piuttosto, con ogni probabilità, sarà già fidanzata. Di solito, le ragazze americane lo sono. E dopotutto non sono completamente sicuro che voi abbiate i numeri necessari per essere un buon marito.» «Sarà fidanzata certamente; ho conosciuto parecchie ragazze americane, e quasi tutte erano fidanzate; ma non posso credere che ciò abbia una grande importanza. In quanto all’essere buon marito, io neppure sono sicuro di questo. Bisognerebbe provare.» «Provate fin che volete, ma non provate con mia nipote.» sorrise il vecchio, che giocava a intestardirsi. «Chissà! - rispose Lord Warburton sullo stesso tono - Forse non varrà neppure la pena di tentare.»
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