IV.La strana consuetudine di andare a fare propaganda tra gli elettori era in piena attività nei dintorni di Condaford. Ogni abitante era stato invitato a riflettere come sarebbe stato conveniente che votasse per Dornford e come sarebbe stato altrettanto conveniente che votasse per Stringer. Tutti erano stati esortati pubblicamente da vociferanti signore, in automobile o non in automobile, e nella quiete delle loro case da voci che parlavano nei megafoni. Giornali e manifesti li avevano incitati a comprendere che soltanto essi potevano salvare la Patria. Erano stati pregati di andare a votare presto e per poco non li pregavano persino di votare spesso. Così si erano trovati davanti a questo preoccupante dilemma: che, in qualsiasi modo avessero votato, avrebbero salvato la Patria. Erano stati esortati da persone che, pareva, sapevano tutto tranne il modo con cui la Patria andava salvata. Né i candidati né le loro propagandiste né le misteriose voci senza corpo né gli ancor più incorporei stampati avevano fatto il benché minimo tentativo di spiegare questo punto. Era meglio così, perché in primo luogo nessuno lo sapeva, in secondo era superfluo accennare ai particolari quando poteva bastare il generico. Perché far venire in mente che il generale è formato di particolari, oppure che in politica una promessa non è mai debito? Meglio, molto meglio fare delle affermazioni ampie e vaghe, ingiuriare l’altro partito, chiamare gli elettori le persone più vigorose e intelligenti del mondo.
Dinny non faceva propaganda. Non ne era capace, aveva detto, forse perché dentro di sé si rendeva conto della stranezza di questa consuetudine. Clare, anche se si era resa conto di una certa ironia nella cosa, aveva troppo desiderio di essere occupata per astenersene. L’aiutava molto il modo con cui la gente se la prendeva. Avevano sempre sentito fare propaganda e avrebbero continuato a sentirla fare. Alle loro orecchie era un diversivo abbastanza innocuo, come il ronzio delle zanzare che non pungono. In quanto al voto, lo avrebbero dato mossi da tutt’altre ragioni: perché, prima di loro, i loro padri avevano votato per questo o per quel candidato, per qualche ragione inerente alle loro occupazioni, per via dei loro padroni, delle loro chiese e dei loro sindacati, perché volevano un cambiamento pur non aspettandosi molto da questo, e non pochi guidati dal loro buon senso.
Clare, temendo qualsiasi domanda, ripeteva alla gente una breve tiritera e poi passava subito a parlare dei loro bambini e della loro salute. Generalmente finiva col domandare a che ora volevano che andassero a prenderli, il giorno delle elezioni. Preso nota dell’ora in un taccuino, usciva senza essere molto più illuminata. Essendo una Charwell – cioè non una “di fuori’’ - era presa come una cosa naturale e, benché da loro non fosse conosciuta personalmente come Dinny, faceva parte di un’istituzione; Condaford senza Charwell era quasi inconcepibile.
Se ne stava ritornando in automobile, diretta verso la Grange, da questo pregevole passatempo ed erano circa le quattro del sabato prima delle elezioni, quando si sentì chiamare per nome da una auto a due posti che la voleva sorpassare; scorse il giovane Tony Croom.
«Che diamine fate da queste parti, Tony?»
«Non potevo più resistere senza vedervi almeno una volta».
«Ma, mio caro, venire fin qui è troppo compromettente».
«Lo so, ma sono riuscito a vedervi».
«Non sareste mica andato a cercarmi a casa, spero?»
«Se non v’avessi vista altrimenti, sì. Clare, oggi siete bellissima».
«Anche se è vero, non è una buona ragione per andare a rompermi le uova nel paniere a casa».
«Questo proprio non vorrei farlo; ma ho bisogno di vedervi ogni tanto, altrimenti divento matto». Aveva un’aria così seria e una voce così commossa che Clare, per la prima volta, sentì qualche cosa muoversi in quella parte del corpo umano volgarmente chiamata cuore.
«Male; perché ho abbastanza da pensare ai fatti miei e non posso avere altre complicazioni».
«Lasciate che vi dia un bacio, uno solo. Così me ne andrò felice».
Ancora più turbata Clare porse la guancia.
«Fate presto!» disse.
Egli accostò le labbra alla sua gota, ma, quando tentò di arrivare alle labbra, lei si ritrasse.
«No. Adesso, Tony, dovete andarvene. Se volete vedermi bisogna che sia in città. Ma che scopo c’è di vedermi? Non servirà che a renderci infelici».
«Grazie per quel “renderci”».
Gli occhi scuri di Clare sorrisero; avevano il colore di un bicchiere di vino di Malaga messo contro luce. «Avete trovato un impiego?»
«Non ce ne sono».
«Sarà più facile quando saranno finite le elezioni. Io sto pensando di tentare di fare la modista».
«Voi?!»
«Qualche cosa bisogna che faccia. I miei sono al verde come tutti. Su, Tony, avevate detto che ve ne sareste andato».
«Promettetemi che mi avvertirete la prima volta che verrete a Londra».
Clare fece cenno di sì e rimise in moto il motore. Mentre l’automobile si allontanava lentamente si volse indietro e sorrise un’altra volta.
Egli rimase con le mani davanti agli occhi fino a che l’automobile infilò una discesa e scomparve.
Mentre Clare faceva voltare la macchina nella corte davanti alla stalla, pensava con un certo compiacimento: “Povero ragazzo!”. Una donna giovane e bellina, qualunque sia la sua posizione rispetto alla legge o alla morale, respira più liberamente se è corteggiata. Può avere uno spirito purissimo, avere intenzioni onestissime, ma sa anche quello che le è dovuto e non le piace che vi sia sperpero. Clare fu più bella e si sentì più felice per tutta la serata. La notte fu dominata dalla luna, quasi piena, sospesa davanti alla sua finestra impedendole di dormire. Clare si alzò e scostò le tende.
Avvoltasi nella pelliccia, si mise alla finestra. Evidentemente stava venendo una gelata, una nebbia bassa si stendeva sui campi come un manto e sembrava che i grandi olmi, tutti frastagliati, salpassero al di sopra dei bianchi vapori. Il paesaggio là in fondo le era sconosciuto, come se fosse caduto giù dalla luna. Ebbe un brivido. Poteva anche essere bello, ma era freddo e misterioso, un incantesimo del gelo. Ripensò alle notti sul Mar Rosso, quando buttava via le coperte dal letto e sembrava che perfino la luna mandasse calore. A bordo del piroscafo la gente aveva ‘‘parlato” di lei e di Tony; ne aveva avuto molte prove ma non ci aveva fatto caso. Perché avrebbe dovuto badarci? Egli non le aveva neanche dato un bacio in tutto quel tempo, neppure la sera in cui era andato nella sua cabina e lei gli aveva mostrato delle fotografie e avevano chiacchierato. Un simpatico ragazzo, semplice e gentiluomo! E se adesso lui era innamorato, lei non ne aveva colpa; lei non aveva fatto nulla per conquistarlo. In quanto a quello che sarebbe successo in seguito… qualunque cosa si facesse, la vita cercava sempre di fare lo sgambetto! Meglio lasciar fare al destino. Prendere decisioni, fare progetti, scegliere quella che si chiama una linea di condotta era del tutto inutile! Ne aveva avuto la prova con Jerry. Rabbrividì, poi rise e infine fu presa da una specie di furore. No! Se Tony si aspettava che lei si buttasse fra le sue braccia, si sbagliava di grosso. L’amore sensuale! Lo conosceva fino in fondo. No, grazie tanto! Adesso si sentiva gelida come quel chiaro di luna. Le era impossibile parlare di quello che le era accaduto, perfino con sua madre, anche se i suoi avessero pensato le cose peggiori.
Dinny doveva aver detto loro qualche cosa, perché erano stati pieni di riguardi verso di lei. Ma neppure Dinny conosceva tutta la verità. Nessuno doveva mai venire a saperla! Se almeno avesse avuto qualche soldo, il male non sarebbe stato grande. “Una vita rovinata” e altre frasi del genere non erano che sciocchezze fuori moda; la vita può sempre essere divertente, se si vuole. Non si sarebbe certo persa d’animo né si sarebbe ritirata dal mondo. Tutt’altro! Ma in qualche modo doveva guadagnare. Sentì freddo nonostante la pelliccia. Sembrava che i raggi lunari le penetrassero fino al midollo delle ossa. Queste case vecchie… senza riscaldamento, perché non avevano i mezzi per farlo mettere! Appena finite le elezioni, sarebbe andata a Londra e si sarebbe messa in azione. Fleur forse poteva consigliarle qualche cosa. Se non c’era da fare con i cappelli, avrebbe potuto occuparsi come segretaria politica. Sapeva scrivere a macchina, conosceva bene il francese e aveva una scrittura leggibile. Sapeva guidare un’automobile e sapeva allenare un cavallo. Conosceva a fondo le consuetudini e l’etichetta della vita delle case di campagna. Doveva esserci un mucchio di deputati che avevano bisogno di una persona come lei, capace di dir loro che vestito dovevano indossare o come rifiutare una cosa o l’altra senza offendere, in una parola risolvere tutte le incertezze. Aveva molta esperienza in fatto di cani, si intendeva un po’ di fiori, soprattutto sapeva accomodarli bene nei vasi. Se c’era bisogno di avere qualche nozione di politica, avrebbe fatto presto a farsene un’infarinatura. E in quella irrealtà lunare Clare non poteva concepire che non avessero avuto bisogno di lei. Con uno stipendio e le sue duecento sterline all’anno avrebbe potuto tirare avanti benissimo. La luna, che ora si era nascosta dietro un olmo, non aveva più la sua scoraggiante indifferenza ma invece un’espressione vivace e intrigante, che spuntava con occhio cospiratore attraverso i rami ancora frondosi. Clare strinse le braccia a sé, fece qualche salterello per riscaldarsi i piedi e si rimise a letto…
Il giovane Croom, con la sua due posti presa in prestito, era ritornato in città a una innocua media di novanta chilometri all’ora. Il primo bacio dato sulla guancia fredda ma profumata di Clare lo aveva messo in delirio. Aveva fatto un immenso passo avanti. Ma poiché non era un giovanotto libertino, il fatto che Clare fosse sposata non gli recava nessun vantaggio. Non si poneva la questione se, nel caso che non fosse stata sposata, i suoi sentimenti verso di lei sarebbero stati proprio gli stessi. La misteriosa differenza che c’è nel fascino della donna che ha conosciuto l’amore fisico e lo stimolo che questo dà ai sensi di un uomo, è materia per uno psicologo piuttosto che per un giovanotto schietto e innamorato sul serio per la prima volta. La voleva, come moglie se fosse stato possibile e, se non fosse stato possibile, in qualsiasi altro modo. Era stato a Ceylon per tre anni a lavorare duramente, vedendo poche donne bianche di cui nessuna gli era piaciuta. Fino allora la sua passione era stato il polo, e aveva incontrato Clare proprio nel momento in cui aveva perso l’impiego e il polo. Questa aveva riempito quel gran vuoto che gli era rimasto. Come per Clare, così per lui c’era il problema del denaro, ancora più impellente.
Aveva messo da parte circa duecento sterline con cui doveva vivere e, finite queste, se non trovava un impiego, sarebbe stato con l’acqua alla gola. Riportata l’auto nella rimessa dell’amico, pensò in che luogo avrebbe potuto cenare più a buon mercato, e si decise per il suo club. Praticamente viveva lì, ma aveva una stanza in Ryder Street, dove dormiva e faceva colazione con tè e uova sode. Era una stanza modesta, a pianterreno, con un letto e un armadio, che dava sul retro di una casa alta; una di quelle stanze dove suo padre, quando veniva a Londra sul finire del secolo scorso, aveva dormito e fatto colazione per la metà di quello che spendeva lui.
Il sabato sera il club “Coffee House” era deserto; vi si trovavano solo alcuni vecchi arnesi che avevano l’abitudine di passare il sabato e la domenica a St. James’s Street. Il giovane Croom ordinò un pranzo di tre portate e lo mangiò fino all’ultima briciola. Bevve un bicchiere di birra e scese nella sala dei fumatori a fumare la pipa. Mentre stava per sprofondarsi in una poltrona, notò, dritto davanti al caminetto, un signore piuttosto alto e smilzo con delle sopracciglia scure mobili e dei baffetti bianchi, che lo stava esaminando attraverso un monocolo cerchiato di tartaruga. Agendo sotto l’impulso di un innamorato, assetato di qualche cosa che ricordi la sua bella, chiese:
«Scusate, voi non siete forse sir Lawrence Mont?»
«Così ho creduto per tutta la mia vita».
Il giovane Croom sorrise.
«Allora io ho avuto il piacere di conoscere vostra nipote, lady Corven, nel viaggio di ritorno da Ceylon. Mi ha detto che voi siete membro di questo club. Io mi chiamo Croom».
«Ah!», fece sir Lawrence lasciando cadere il monocolo. «Probabilmente ho conosciuto vostro padre; veniva sempre qui prima della guerra».
«Sì, e ha iscritto anche me appena sono nato. Credo di essere il membro più giovane del club».
Sir Lawrence assentì col capo. «Dunque avete incontrato Clare. Come sta?»
«Bene, credo».
«Sediamoci e parliamo un po’ di Ceylon. Posso offrirvi un sigaro?»
«No, grazie, ho la mia pipa».
«Un caffè a ogni modo? Cameriere, due caffè. Mia moglie è a Condaford ospite dei genitori di Clare. Mia nipote è una bella giovane signora».
Sentendo quegli occhi scuri, simili a quelli di un uccello, fissi su di lui, il giovane Croom si pentì del suo primo impulso. Si era fatto tutto rosso ma proseguì coraggiosamente:
«Si, anch’io l’ho trovata deliziosa».
«Conoscete Corven?»
«No», tagliò corto Croom.
«Un uomo intelligente. Vi piaceva Ceylon?»
«Oh! sì. Ma non mi hanno più voluto».
«Non ci ritornerete?»
«Ho paura di no».
«Io ci sono stato parecchi anni fa. L’India ce lo fa un po’ dimenticare. Siete stato in India?»
«No».
«È difficile capire se il popolo indiano vuole veramente la separazione. Il settanta per cento sono contadini! Il contadino vuole condizioni stabili e una vita tranquilla. Mi ricordo che in Egitto, prima della guerra, c’erano molti moti nazionalisti, ma i contadini erano tutti per Kitchener e uno stabile governo britannico. Durante la guerra abbiamo portato via Kitchener e gli abbiamo dato instabilità, così sono passati dall’altra parte. Di che cosa vi occupavate a Ceylon?»
«Dirigevo una piantagione di tè. Ma si sono messi a fare economie, hanno fuso tre piantagioni in una e non hanno più avuto bisogno di me. Credete che ci sarà una ripresa? Io non capisco nulla di economia».
«Nessuno ne capisce. Le cause dell’attuale stato di cose sono infinite, e invece la gente cerca sempre di dare la colpa a un fatto solo. Prendiamo per esempio l’Inghilterra: la cessazione completa del commercio con la Russia, la relativa autosufficienza delle nazioni europee, la grande contrazione del commercio con l’India e la Cina, il livello di vita britannico più elevato dalla guerra, l’aumento delle spese statali da duecento miseri milioni a ottocento milioni di sterline, il che vuol dire ogni anno seicento milioni di meno con cui dar da lavorare alla gente. Quando dicono che la causa è la sovrapproduzione, certo non si riferiscono a noi. Era molto tempo che non si produceva così poco. Inoltre ci sono il dumping, una pessima organizzazione e un cattivo mercato di quei pochi viveri che produciamo. C’è la nostra abitudine di pensare che al momento buono tutto si accomoderà, e un atteggiamento generale da bambini viziati. Ebbene, tutte queste sono cause particolari dell’Inghilterra, tranne il livello di vita troppo elevato e l’atteggiamento da bambini viziati, che sono anche americani».
«E le altre cause americane?»
«Gli Americani hanno certo voluto produrre e speculare troppo. Hanno vissuto con tanta larghezza che hanno ipotecato l’avvenire con pagamenti a rate e metodi simili. Poi sono seduti sull’oro, ma dall’oro non nasce nulla. E soprattutto non hanno ancora capito che il denaro che hanno prestato all’Europa durante la guerra è denaro che in sostanza avevano guadagnato con la guerra. Quando accetteranno una cancellazione totale dei debiti, ci sarà una ripresa generale, compresa la loro».
«Ma accetteranno?»
«Non si può mai sapere quello che gli Americani faranno; sono più incoerenti di noi del vecchio mondo. Sono capaci di grandi cose anche nel loro stesso interesse. Siete senza lavoro?»
«Proprio così».
«Quali sono i vostri titoli?»
«Sono stato alla scuola di Wellington e per due anni a Cambridge. Poi mi si offerse questa piantagione di tè e la presi al volo».
«Quanti anni avete?»
«Ventisei anni».
«Non avete un’idea particolare di quello che volete fare?»
Il giovane Croom si drizzò in avanti.
«Veramente mi accontenterei di qualsiasi cosa, ma la mia specialità sarebbero i cavalli. Pensavo che forse avrei potuto trovare da fare in una scuderia di allenamento oppure da un allevatore di cavalli o anche insegnare a cavalcare».
«Mica una cattiva idea. È strano come la moda dei cavalli stia tornando ora che i cavalli scompaiono. Ne parlerò con mio cugino Jack Muskham che alleva dei purosangue… Ha la mania di introdurre il sangue arabo nei cavalli di pura razza inglese. Anzi fra poco gli arriveranno delle cavalle arabe; c’è il caso che abbia bisogno di qualcuno».
Il giovane Croom arrossì e sorrise.
«Sarebbe proprio molto gentile da parte vostra. A occhio e croce mi parrebbe l’ideale. Ho già avuto dei pony da polo arabi».
«Eh», mormorò sir Lawrence pensoso, «non c’è nulla che susciti la mia simpatia come un uomo che vuol veramente un lavoro e non può trovarlo. Prima bisogna che finiscano queste elezioni, però. Se i socialisti non saranno sconfitti, bisognerà che gli allevatori di cavalli ne facciano tanta carne conservata. Pensi un po’, avere il vincitore del Derby spalmato sui crostini per il tè, questo sì che si potrebbe chiamare delizia da gentiluomini!»
Si alzò.
«E adesso buona notte. Il sigaro basterà appena per farmi compagnia fino a casa».
Anche il giovane Croom si alzò e rimase in piedi fino a che quella figura magra ed agile non fu scomparsa.
“Che vecchio simpatico!" pensò: e, sprofondandosi nella poltrona, si abbandonò a pensieri di speranza e a visioni nelle quali il volto di Clare appariva incorniciato dalle volute del fumo.