Capitolo Uno
Kylie
Benedetta ironia, Batman.
Da ragazzina, ho hackerato il sistema di una società e ho sventolato una virtuale bandiera di vittoria in faccia al CEO e fondatore dell’azienda. Nove anni dopo, sto per fare un colloquio per un lavoro qui. E non un lavoro qualsiasi. Infosec. In parole povere, sicurezza del sistema informatico. Se ottengo il posto, proteggerò la società contro gli hacker. Quelli come Catgirl, la mia vecchia identità su DefCon.
Quindi eccomi seduta qui, nella opulenta lobby della sede internazionale della SeCure, intenta a chiedermi se in qualche modo mi riconosceranno e mi faranno uscire di qui con le manette ai polsi.
Un gruppo di impiegati mi passa vicino. Ridono e parlano. Sembrano rilassati e felici, come se stessero andando in vacanza, non a sedersi alle loro scrivanie a farsi otto ore d’ufficio.
Cavolo, voglio questo lavoro.
Mi sono cambiata più o meno novantasette volte questa mattina, e di solito non mi interessa tanto quello che indosso. Ma questo è il colloquio della mia vita e curare ogni minimo dettaglio è stata come un’ossessione. Alla fine ho scelto un completo nero lucido con gonna corta a tubino e giacchetta abbinata. Ho optato per niente calze – gambe nude – ma ho infilato ai piedi un paio di scarpe sexy con i tacchi alti.
Sotto alla giacca del completo ho messo la mia maglietta preferita da Batgirl. Mi sta attillata attorno ai seni e il pipistrello rosa shocking con gli strass si incunea perfettamente tra i risvolti del giacchino.
La combinazione grida ‘genio informatico giovane, bella e trendy’, mentre il completo in sé si attiene all’aspetto più conservatore dell’ambiente aziendale. Ero incerta tra tacchi o sneakers, ma alla fine hanno vinto i tacchi. Che è terribile, perché quando Stu, il mio contatto, scende da me, mi devo alzare con questi ai piedi. E camminarci.
Se la me-hacker-adolescente mi vedesse adesso, mi riderebbe in faccia e mi darebbe della “venduta”. Ma anche lei era ossessionata come me dal fondatore/proprietario miliardario della SeCure, Jackson King. Un’ossessione che si è trasformata in ammirazione, con una buona dose di attrazione sessuale.
Ok, è una cotta. Ma avere una cotta per Jackson è giustificabile al cento per cento. Filantropo miliardario, non smette mai di impressionare. Per non parlare di quanto è sexy. Soprattutto per una ‘geek’, fanatica della tecnologia informatica.
E quell’unico momento che abbiamo condiviso – il momento in cui sono riuscita a bypassare tutte le sue misure di sicurezza e mi sono trovata faccia a faccia con lui – beh, cursore a cursore – è impresso nella mia memoria come l’incontro più eccitante della mia gioventù. Non gli ho rubato niente. Volevo semplicemente vedere se ero capace di entrare, decifrare il codice. Quando mi ha trovata, mi sono ritirata e non mi sono mai più arrischiata a tornarci.
Ora potrei avere la possibilità di un altro cyber-incontro con King, e il pensiero mi emoziona.
Soprattutto considerato che questa volta le mie azioni non sarebbero illegali.
“Signorina McDaniel?”
Scatto in piedi, la mano già testa, pronta a stringere la sua. Oscillo solo un pelo sui tacchi. “Ciao.” Cavolo, sembro senza fiato. Mi sforzo di tenere le spalle basse e sorrido mentre mi aggrappo alla mano offerta.
“Ciao, sono Stu Daniel, manager infosec qui alla SeCure.” Sembra un nerd come si deve: occhiali, camicia ben abbottonata, pantaloni. Trent’anni o giù di lì. I suoi occhi scattano sul pipistrello rosa che ho in mezzo alle tette e poi si rialzano. Forse la maglietta è stata uno sbaglio.
Continuo a stringergli la mano, probabilmente troppo a lungo. Ho letto cinque libri di tecniche aziendali per prepararmi a oggi, ma non ricordo cosa dicesse Colloqui per principianti riguardo all’adeguata durata di una stretta di mano. “Piacere di conoscerti.”
Per fortuna Stu è imbarazzato quanto me. I suoi occhi continuano a scivolare verso il basso. Non come quelli di un pervertito, ma piuttosto di uno troppo timido per mantenere il contatto visivo. “Se mi vuoi seguire, andiamo al sesto piano per il colloquio.”
In aggiunta all’invalicabile sicurezza tecnologica, la fortezza della SeCure è ben protetta anche fisicamente. Quando sono entrata, calpestando i pavimenti in marmo scintillante, e mi sono registrata al banco della reception, mi hanno detto di aspettare nella lobby per ‘essere accompagnata’ al mio colloquio.
Seguo il mio accompagnatore. “Che meraviglioso edificio avete qui.”
Ok, commento fiacco. Faccio schifo con le chiacchiere di circostanza. Cioè, davvero schifo. Forse non avrei dovuto passare gli ultimi otto anni a nascondermi da ogni interazione sociale. I fanatici informatici non dovrebbero fare gli stessi colloqui della gente normale. Dovrebbero somministrargli un test, o ancora meglio fargli hackerare qualcosa. Ma probabilmente la SeCure già conosce le mie abilità nel crackare codici, o così ha detto la reclutatrice di personale. Mi è quasi andato il caffè di traverso quando mi ha chiamato, così dal nulla. Ho pensato fosse uno scherzo di uno dei miei vecchi compatrioti online, quelli del Clean Clan. E invece no, era tutto vero.
E poi, le possibilità che qualcuno della mia vecchia cerchia mi trovi adesso sono davvero misere. O almeno lo spero.
Stu mi fa strada fino agli ascensori e preme la freccia che punta in alto. Le porte di un ascensore si aprono, mostrando un uomo con indosso un completo elegante, la testa china sul suo telefono. Alto e con le spalle larghe, occupa buona parte della cabina. Senza sollevare lo sguardo, si sposta un po’ più di lato per farci spazio.
Stu mi lascia entrare per prima e io tengo a bada il panico. È un ascensore piccolo, ma non piccolissimo. Ce la posso fare. Se mi daranno il lavoro, poi scoprirò dove sono le scale.
Mi concentro sui pulsanti luminosi e spero che sia un giro veloce.
Prima che il mio accompagnatore possa salire, una voce lo chiama per nome.
“Un secondo,” dice Stu mentre una giovane donna gli si avvicina di corsa, seguita da altre due persone. “Stu, il server Galileo si è bloccato stamattina…”
Ottimo. Proprio quello che mi serve: un po’ di tempo in più nell’ascensore. Deglutisco, ignorando il formicolio che avverto sulla pelle. Un attacco di panico non darebbe una buona impressione.
Stu toglie il piede dalla porta mentre la donna apre il suo portatile per mostrargli qualcosa.
Le porte si chiudono e l’ascensore sale. Così, di punto in bianco, ho perso il mio accompagnatore. Alla faccia della sicurezza.
Premo il pulsante numero sei. So dove devo andare. Prima riesco a uscire da questa minuscola scatola della morte e meglio è.
Siamo a metà tragitto, quando le luci lampeggiano. Una volta, due volte, poi si spengono.
“Ma che…” Mi interrompo per concentrarmi sul respiro. Ho un lasco di dieci secondi prima di dare di matto.
Il colletto bianco accanto a me borbotta qualcosa. La luce del suo telefono getta un’inquietante luce blu sulle pareti.
Il motore dell’ascensore si ferma.
Oh no. Eccolo che arriva. Il cuore mi batte forte nel petto, i polmoni annaspano per raccogliere aria.
Fermo, dico al mio panico. Non è niente. L’ascensore riprenderà a salire tra un secondo. Non siamo bloccati qui.
Il mio corpo non mi crede. Mi si stringe lo stomaco, la pelle diventa sudaticcia. Tutto diventa buio. Anche la mia vista si è annebbiata. Il tipo si è appena messo il telefono all’orecchio. Oscillo sui piedi.
L’uomo impreca. “Non prende qua dentro.”
Il tacco ruota sotto di me e io mi aggrappo al corrimano, il respiro che esce ansimante e a intermittenza.
“Ehi.” Il tipo ha una voce perfettamente abbinata alle sue grandi dimensioni: profonda e risonante. In altre circostanze, la troverei sexy. “Hai paura?” Leggero sdegno nel suo tono.
Non è colpa mia, amico. “Già.” Riesco a tirare fuori la parola a fatica, ed esce come uno sbuffo. La mia stretta sul corrimano si fa ancora di più salda.
Resta in piedi. Non svenire, non ora. Non qui.
“Non mi piacciono i posti piccoli.” Eufemismo dell’anno.
L’ascensore si è appena mosso? O il mio corpo è in preda a un capogiro incontrollato? Il vecchio panico mi afferra. Morirò qua dentro. Non ne verrò mai fuori.
Due grosse mani mi spingono contro la parete dell’ascensore, tenendomi ferma con la pressione sullo sterno. “Co-cosa sta facendo?” dico con voce ansante.
“Innesco il tuo riflesso della calma.” Sembra tranquillo, come se fosse abituato a spingere ragazze in iperventilazione su per il muro tutti i giorni. “Sta funzionando?”
“Sì. Essere palpata da uno sconosciuto mi rilassa sempre.” Avevo giurato di tenere a freno il mio sarcasmo fino a che non avessi ottenuto questo lavoro, ma eccolo qua che schizza fuori. È questo che succede a una ragazza che si trova sul punto di svenire.
“Non ti sto palpando,” dice l’uomo.
“Lo dicono tutti,” mormoro.
La sua risata si interrompe sul nascere. Come se non avesse voluto lasciarsela scappare.
Chi è questo tizio?
Il battito del mio cuore rallenta, ma la testa mi gira ancora. Non ho mai avuto un uomo così vicino a me prima d’ora. Figurarsi uno che mi tocca. Pochi centimetri più in là e mi prenderebbe i seni tra le mani.
Beh, questo è un pensiero interessante. Mi sento scorrere dentro delle sensazioni che non ho mai provato prima, fuori dalla privacy della mia camera da letto. Sono scossa da un brivido.
“Non che mi dia fastidio se mi palpi,” farfuglio. “Penso solo che prima dovresti pagarmi la cena…”
Le sue mani si staccano così velocemente dal mio sterno che io barcollo in avanti. Prima che possa cadere, lui mi prende per le spalle e mi fa girare. Chiude le sue braccia attorno a me da dietro, facendo di nuovo pressione contro il mio sterno.
“E così com’è?” Sembra divertito. “Meglio? Non voglio che la mia buona azione venga denunciata come accusa di molestia sessuale.”
Dio, la sua voce. Le sue labbra sono proprio accanto al mio orecchio. Non sta tentando di sedurmi ma, oh cavolo, solo le parole ‘molestia sessuale’ mi mandano il corpo in fiamme.
“Scusa.” La voce mi si strozza un po’. “Non volevo accusarti. Quello che volevo dire era… grazie.”
Per un momento non si muove e io respiro tra le sue mani solide che mi cingono, mi proteggono, mi tengono al sicuro. E tutto quello che mi viene in mente è… cavolo. Pensavo che un attacco di panico sarebbe stata una brutta cosa. Ora mi trovo bloccata in un ascensore, tra le braccia di un completo sconosciuto. Del. Tutto. Eccitata. È come se il mio sesso, in mezzo alle gambe, fosse scollegato dal resto del corpo. Il resto di me sta vorticando all’impazzata, contorcendomi le mani per la preoccupazione. Ma la mia fica pensa che essere malmenata da uno sconosciuto in un ascensore buio sia un’ottima ragione per eccitarsi.
“Faresti bene a sederti.”
A quanto pare non ho scelta, perché lui mi fa abbassare a terra con pressione ferma e inesorabile. Una volta arrivata giù, mi mette comoda contro la parete, le mani decise ma delicate che mi manovrano come fossi una bambola. Parole affilate stanno danzando sulla punta della mia lingua – Sono una cazzuta donna adulta, non Barbie – ma effettivamente si sta bene seduti. Nonostante si comporti come un uomo delle caverne, si sta prendendo cura di me. Quasi sento la mancanza delle sue mani sul mio sterno.
“Dove hai imparato questa roba?” chiedo per distrarmi dal fatto che sono intrappolata in uno stretto spazio rettangolare con un tipo che non ha inibizioni a mettermi le mani dappertutto. Anch’io sono totalmente disinibita al riguardo, anche se vorrei ricordarmi il suo aspetto. Tutto quello che mi resta è la vaga impressione di una mascella robusta e un’espressione di impazienza in volto. Ero troppo impegnata a prepararmi per l’ascensore per badare a lui.