Qualcosa è stato fatto
La mattina David Sheldon capì di stare molto peggio. Era molto più debole c'erano altri segnali sfavorevoli. Cominciò il suo giro in cerca di guai. Era necessario che accadesse qualcosa di sgradevole. In piena salute la situazione sarebbe stata abbastanza seria, ma nelle sue condizioni, diventava sempre più vulnerabile, bisognava fare qualcosa. I neri provocavano sempre di più, e quegli uomini sulla veranda la notte precedente — una delle situazioni più preoccupanti a Berande — era un sinistro presagio. Prima o poi lo avrebbero aggredito, se lui non li aggrediva per primo, se non avesse fatto ancora una volta capire alle loro anime nere la schiacciante superiorità dell’uomo bianco.
Tornò a casa deluso. Nessun esempio d’insolenza o d’insubordinazione a cui attaccarsi — come se n’erano presentati ogni giorno dal momento in cui l’epidemia era scoppiata —. Trovava molto strano che nessuno l'avesse offeso: cominciavano a fare i furbi. Si pentì di non avere aspettato la notte precedente che gli intrusi non entrassero. Avrebbe potuto ammazzarne uno o due e dare una lezione a tutti, scritta in rosso, da imparare a memoria. Uno contro duecento. Aveva paura che la malattia lo annientasse lasciandolo nelle loro mani. Li vedeva abbandonare la piantagione, saccheggiare le provviste di cibo, incendiare tutto, fuggire a Malaita. Immaginò anche la sua testa, una visione terribile, seccata al sole e affumicata, usata per decorare il ricovero delle canoe in un villaggio di cannibali. O arrivava la Jessie, o doveva fare qualcosa.
La campana aveva appena finito di suonare, spedendo i sottoposti nei campi, quando Sheldon ebbe una visita. Aveva fatto trasportare il lettino sulla veranda, e si era disteso quando le canoe si avvicinarono remando e toccarono terra. All’esterno della barriera del recinto si accalcarono quaranta uomini, armati di lance, di archi e di frecce. Solo uno di loro entrò. Conoscevano le regole a Berande, come ogni indigeno conosceva la legge del recinto dell’uomo bianco, la cosa era nota in tutte le Salomone. Nell’uomo che era entrato e stava percorrendo il sentiero, Sheldon riconobbe il capo del villaggio Balesuna, Seelee.
Seelee era più intelligente della media dei suoi, ma le sue capacità intellettive mettevano solo in rilievo la mancanza di materia grigia degli altri che lo accompagnavano. I suoi occhi, ravvicinati e piccoli, raccontavano il suo essere astuto e crudele. La solita fascia intorno alle reni e una cartucciera erano i soli indumenti che indossava. La conchiglia ornamentale d’ostrica intagliata, che gli pendeva dal naso fino al mento, gli impediva di parlare correttamente, mentre i fori che aveva alle orecchie avevano scopi pratici, perché permettevano di infilare pipa e tabacco. I suoi denti, simili a zanne, erano spezzati e anneriti, tradivano l’uso della noce di betel9, di cui ogni tanto sputava per terra il succo.
Mentre parlava o ascoltava faceva smorfie come una scimmia. Diceva sì abbassando le palpebre e spingendo il mento in avanti. Parlò con un'arroganza infantile, fatto che contrastava con la situazione d’inferiorità che gli era propria sotto la veranda. Seelee, che aveva un buon seguito, era il padrone del villaggio Balesuna. Ma l’uomo bianco, solo e senza aiuto, era il padrone di Berande. Ma era stato anche altro: in qualche occasione era stato anche padrone di Balesuna. A Seelee non piaceva ricordarlo. Aveva capito, con il passare del tempo, la vera natura degli uomini bianchi e aveva cominciato a tenerli alla larga. Una volta aveva fatto la sciocchezza di aiutare tre disertori di Berande. Gli avevano dato tutto quello avevano per essere protetti e aiutati a tornare a Malaita. Questo gli aveva fatto pensare di poter approfittare della situazione, perché il suo villaggio avrebbe avuto un ruolo strategico nel collegamento fra Berande e Malaita.
Per sfortuna sua ignorava i modi di agire degli uomini bianchi. Questo bianco, che adesso lo guardava dall’alto della veranda, l'aveva educato, arrivando all'alba alla sua capanna. All'inizio si era divertito. Era così sicuro nel suo villaggio. Ma un momento dopo, prima che potesse gridare, un paio di manette avvolte sul pugno del bianco l’avevano colpito sulla bocca, ricacciandogli in gola quell'urlo di aiuto che stava per lanciare. Un altro pugno del bianco l'aveva colpito sotto l’orecchio facendogli perdere completamente i sensi. Quando si riprese, era sulla baleniera dell’uomo bianco, sulla via di Berande. Lì l'avevano trattato come una nullità trattato, con i ceppi alle mani e ai piedi, per non parlare delle catene. Quando la sua tribù restituì i tre disertori fu liberato. Quell'uomo bianco senza cuore aveva multato lui e il villaggio Balesuna di diecimila noci di cocco. Dopo questa lezione, non aveva dato più aiutato i disertori della piantagione. Al contrario si era messo in testa di catturarli. Era più sicuro. Era pagato una cassa di tabacco a testa. Ma se avesse avuto fortuna con quell’uomo bianco, se l'avesse sorpreso ammalato o visto a terra in un bosco per qualche incidente... beh, quella testa avrebbe avuto il suo prezzo a Malaita.
Sheldon fu bene impressionato dai discorsi di Seelee. Era stato catturato il settimo disertore della settimana precedente: era fermo sulla barriera del recinto proprio in quel momento. Fu spinto all’interno, scuro in volto e rabbioso, con le braccia legate con fibre di cocco, ancora sporco di sangue per la lotta ingaggiata con i suoi inseguitori.
— Tu dico buon fella, Seelee — disse Sheldon, mentre il capo tracannava un bicchiere colmo di gin. — Tu hai preso in poco brevissimo tempo. Questo boy è forte. Una cassa di tabacco per te... hai mia parola, una cassa di tabacco. Poi, tu buono, tre braccia di calicò10, e un abile coltello.
Il tabacco e gli altri oggetti furono presi nel magazzino da due ragazzi della casa e consegnati al capo di Balesuna. Costui accettò la ricompensa con un grugnito un po' informale, e se ne andò lungo il sentiero verso le canoe. Sotto gli occhi attenti di Sheldon, i ragazzi legarono con le manette il prigioniero, mani e piedi, a uno dei pali alla base della casa.
Quando i lavoratori tornarono dal campo alla undici, Sheldon li riunì nel recinto davanti alla veranda. C'erano tutti, almeno quelli sani, compresi quelli addetti all’infermeria. Anche le donne e i tanti pickaninnies11 della piantagione erano in fila con gli altri, erano un branco di selvaggi nudi. Oltre alle solite perline di vetro, di conchiglie e di ossi, i fori nelle loro orecchie e alle narici erano pieni di spille, chiodi, forcine per capelli, utensili da cucina, chiavette per carne in scatola. Sul petto di uno pendeva la maniglia di una porta in porcellana, sul petto di un altro il movimento in ottone di una sveglia.
Davanti a loro, appoggiato alla ringhiera della veranda, c'era quel bianco malato. Ognuno di loro lo avrebbe abbattuto solo spingendolo con il mignolo. Nonostante le armi da fuoco, quei selvaggi potevano saltargli addosso e sopraffarlo. La testa di quel bianco e l’intera piantagione sarebbero state loro. Lo odiavano tutti, tutti desideravano solo vendicarsi. Ma a loro mancava una cosa, una cosa che lui invece possedeva: quel fuoco che li dominava e che non si spegneva mai, che bruciava ancora nel suo corpo anche se divorato dalla malattia, che era sempre pronto ad avvolgerli con violenza, a scottarli, a bruciarli con la sua collera incontenibile.
— Narada! Billy! — chiamò deciso Sheldon.
Due uomini avanzarono di malavoglia e attesero.
Sheldon consegnò la chiave delle manette al ragazzo, che andò vicino la casa e liberò il prigioniero.
— Tu, Narada, tu Billy, prendetelo e legatelo forte a quell’albero, con le mani bene in alto — ordinò Sheldon.
Mentre eseguivano i suoi ordini, lentamente, fra il mormorare agitato degli spettatori, uno dei ragazzi della casa arrivò con una pesante frusta. Sheldon cominciò il suo discorso.
— Questo Arunga è venuto da me di volontà sua. Io non l'ho rubato. Nessuna violenza. Gli dissi: «Benissimo, vieni con me a Berande, lavori tre anni». Lui rispose: «Benissimo, io vengo con te. Lavorare tre anni». Lui venne. Lui prese buon kai-kai12, prese denaro. Perché vai via? È venuto di sua volontà. p**o a Seelee, gran padrone di Balesuna, una cassa di tabacco per prendere questo fella Arunga. Benissimo. Arunga paga questa cassa di tabacco. Sei sterline che fella Arunga paga. Un anno ancora che Arunga lavora in Berande. Benissimo. Ora prende dieci frustate tre volte. Tu, Billy, prendi la frusta, dai ad Arunga dieci frustate tre volte. Tutti stanno a vedere, tutte le Marys13 stanno a vedere. Ogni volta che pensano di andare via, pensano al fella, e non fuggono. Billy, forte veramente, dai dieci frustate tre volte.
Il ragazzo della casa gli allungò la frusta, ma Billy la rifiutò. Sheldon attese tranquillo. Gli occhi dubbiosi di tutti i cannibali erano fissi su lui, erano in ansia e spaventati. Era il momento decisivo, quell'uomo bianco doveva vivere o morire.
— Dieci frustate... tre volte, Billy — disse Sheldon con un tono incoraggiante, anche se la sua voce aveva qualcosa di metallico.
Billy aggrottò le sopracciglia, guardò in su e poi in giù, ma non si mosse di un centimetro.
— Billy!
Sheldon esplose di rabbia e il selvaggio sussultò. I lineamenti degli spettatori si contrassero in un sogghigno, qualcuno sghignazzava.
— Suppongo che ti vada a genio frustare Arunga — disse Sheldon. — Se non lo fai lo consegno al Governo. Un agente del Governo frusta molto più forte. È la legge. Conosco la legge.
Era così e Sheldon lo sapeva. Ma voleva vivere questo giorno e il giorno seguente, non morire in attesa della legge, che ci avrebbe messo una settimana o due ad agire.
— Ho parlato fin troppo con te! — gridò incollerito. — Che vuoi fare? Che vuoi fare?
— Conosco la legge — ripeté il selvaggio ostinato.
— Astoa!
Un altro fece qualche passo avanti con un'aria quasi allegra, e guardò in su in modo insolente. Sheldon sceglieva i peggiori per la lezione che intendeva dare.
— Tu, Astoa, tu Narada, legate Billy accanto all’altro e allo stesso modo.
— Forte... — li avvertì.
— Tu Astoa, prendi la frusta. Dai dieci frustate tre volte. Avanti!
— No — rispose Astoa in un grugnito.
Sheldon prese la carabina che aveva appoggiato contro la ringhiera e mise il colpo in canna.
— So chi sei, Astoa, — disse calmo. — Hai lavorato per sei anni nel Queensland.
— Io missionario — interruppe il nero con premeditata insolenza.
— Nel Queensland ti hanno incarcerato per un anno. Quel padrone bianco fu uno sciocco a non impiccarti. Tu sei veramente cattivo. Nel Queensland sei stato in carcere sei mesi, due volte. Ti hanno preso due volte a rubare. Benissimo... missionario, la conosci una preghiera?
— Sì, la conosco una preghiera — fu la risposta.
— Benissimo, allora prega. Prega in fretta... poi ti uccido.
Sheldon puntò su di lui la carabina e attese. Il nero guardò i suoi compagni ma nessuno si mosse per aiutarlo. Erano coinvolti da ciò che stava per succedere, guardavano affascinati il bianco con la morte tra le mani, da solo sulla grande veranda. Sheldon aveva vinto, e lo sapeva. Astoa spostò il peso del suo corpo da una gamba all'altra. Guardò l’uomo bianco, e vide i suoi occhi che brillavano dietro la canna dell’arma puntata contro di lui.
— Astoa — disse Sheldon, cogliendo al volo l'occasione psicologica favorevole — conto fino a tre. Poi ti uccido, addio, tutto finito.
E Sheldon sapeva che avrebbe dovuto premere il grilletto dopo il tre. E anche il nero lo sapeva. Ma Sheldon non ebbe bisogno di farlo, perché dopo l'uno Astoa allungò la mano e prese la frusta. Poi la sollevò con energia, adirato contro i suoi compagni che non si erano mossi per aiutarlo, e sfogando la sua rabbia ad ogni colpo di frusta. Dalla veranda Sheldon lo invitava a colpire con più forza, finché i due selvaggi legati gridarono e urlarono, mentre il sangue colava loro lungo la schiena. La lezione era scritta in rosso anche questa volta.
Quando l’ultimo della banda, compresi i due colpevoli che sbraitavano, fu uscito passando per la barriera del recinto, Sheldon cadde quasi svenuto sul suo letto.
— Sei malato — sussurrò. — Malato.
— Ma puoi dormire tranquillo questa notte... — aggiunse mezz’ora più tardi.