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MARY
Il sibilo del vapore mi colse di sorpresa e mi fece inciampare, mentre scendevo dal treno.
«Attenta, signorina Millard,» disse il signor Corbin, afferrandomi con delicatezza un gomito fino a quando non ritrovai l’equilibrio sulla terra ferma. Perfino in quel calore, riuscivo a sentire quanto fosse tiepido il suo tocco attraverso la manica.
La piattaforma a Butte era molto affollata, con molta gente che scendeva a terra dopo un lungo viaggio da est. Era la città più ricca sulla Terra e i futuri minatori erano impazienti di trovare un proprio filone di rame e farci una fortuna.
Non ero poi così trepidante, dal momento che ero giunta solamente da Billings, non da Minneapolis o nemmeno da Chicago, e avevo vissuto a Butte per tutta la mia vita. La città mi era piuttosto famigliare e non avevo le speranze degli altri. Certo, io non avevo bisogno di lavorare per guadagnare. Non perché fossi una donna, ma perché mio padre aveva più soldi di Dio. Parole sue, non mie.
Per cui il viaggio attraverso il Territorio del Montana era stato breve ed io non ero pronta a tornare da mio padre e dai suoi piani. Per quanto trascorrere il mese con mia nonna fosse stato ben lungi dall’essere emozionante, di certo aveva ritardato ciò che immaginavo fosse inevitabile. Avrei voluto voltarmi subito e risalire in carrozza, guardare Butte che mi passava lentamente accanto e proseguire verso luoghi sconosciuti.
La mano del signor Corbin indugiò forse un istante più del necessario su di me. Mi voltai a sollevare lo sguardo sull’uomo – uno dei due uomini – che era stato tanto gentile e attento nei miei confronti durante il viaggio. Avevamo chiacchierato affabilmente per ore e loro – lui e il suo amico, il signor Sullivan – mi avevano accompagnata al vagone ristorante per il pasto di mezzogiorno così che non dovessi sedere da sola. Non era stato un peso trascorrere il tempo con due uomini bellissimi.
Con i suoi capelli biondi e il sorriso facile, il signor Corbin senza dubbio faceva voltare molte teste ovunque andasse. Decisamente aveva fatto voltare la mia, così come il suo amico, il signor Sullivan. Avevo passato delle ore a chiedermi silenziosamente quale dei due mi attirasse di più. Preferivo che il mio uomo fosse biondo o moro? Disinvolto o intenso? In ogni caso, si erano mostrati entrambi dei perfetti gentiluomini. Purtroppo.
Perfino in quel momento, con la mano del signor Corbin sul mio gomito sulla piattaforma della stazione, lui manteneva una distanza appropriata tra noi due ed era molto attento. Nessuno avrebbe messo in dubbio la sua galanteria. La galanteria mi stava più che bene, ma io bramavo le attenzioni più... intime che un uomo dimostrava alla propria moglie. Volevo quella connessione, quel legame che vedevo tra le mie amiche e i loro mariti. Gli sguardi segreti che si scambiavano, una carezza gentile, perfino il tenersi per mano. Volevo anche farmi prendere con abbandono. Farmi scopare, come diceva la mia amica Chloe.
Tuttavia, quegli uomini mi vedevano come una signorina per bene e non mi avrebbero sottoposta ad un comportamento tanto lascivo. Diamine.
Sfortunatamente, la mano del signor Corbin sul mio gomito era l’unico tocco che avessi ricevuto da parte sua. Volevo di più da lui, mi immaginavo che sensazione mi avrebbe dato la sua pelle contro la mia, senza la barriera del mio abito di mezzo.
«Vi ringrazio,» mormorai, desiderando che mi accarezzasse la schiena con quella mano, che mi sfilasse le forcine dai capelli, che mi slacciasse il corsetto. In quanto nubile, non avrei potuto – né dovuto – sapere nulla di cosa fosse in grado di fare un uomo una volta tolto quel corsetto, eppure io lo sapevo. Non in senso pratico, ma avevo visto abbastanza di ciò che accadeva tra un uomo e una donna da volerlo per me stessa. Era stata Chloe a suscitare il mio interesse in tutto ciò che era maschile e sembrava che fossi stata corrotta del tutto. Potevo anche essere stata macchiata, ma avevo ancora la mia virtù.
Se mio padre fosse venuto a sapere delle mie visite al Briar Rose e a Chloe, di ciò che lei mi aveva mostrato, non mi sarebbe mai più stato permesso di uscire di casa. Probabilmente sarei stata mandata nel convento al confine della città, le Signore dell’Immacolata Concezione, fino a quando non avesse saputo cosa farne di me.
Avevo scoperto anche che il mio vivere sotto una campana di vetro mi aveva fatto vedere le ragazze come Chloe in maniera distorta e prevenuta. Le ausiliatrici avevano detto che le p********e erano povere, quando invece guadagnavano dei bei soldini standosene sulla schiena e non avevano bisogno degli abiti usati che avevo consegnato loro. Avevo anche scoperto che gli uomini che mio padre mi aveva fatto sfilare davanti in qualità di possibili pretendenti non erano dei veri gentiluomini; ne avevo sorprendentemente riconosciuti diversi attraverso gli spioncini posti nell’edificio. Ciò che avevo visto avrebbe fatto perdere i sensi a quelle ausiliatrici. Tutto ciò che aveva fatto a me era stato rendermi spesso bagnata tra le cosce e bramosa delle attenzioni di un uomo.
Avendo spiato, avevo visto il vero Reginal Benson, l’uomo che stava avanzando vero di me lungo la piattaforma della stazione assieme a mio padre, e lui non era un uomo che avrei voluto corteggiare. Dopo aver saputo che cosa aveva fatto a Tess, non volevo nemmeno trovarmi sulla stessa piattaforma assieme a lui. Rabbrividii al ricordo delle urla della prostituta, mentre veniva frustata. Per fortuna, Chloe aveva detto che il Grande Sam era andato a salvarla e lei si sarebbe ripresa. Il signor Benson era perfino stato espulso dal Briar Rose, ma ciò non significava che avrebbe cambiato modi. Avrebbe semplicemente trovato qualcun altro da ferire. E se io lo avessi sposato...
Tuttavia a mio padre quell’uomo piaceva, dal momento che avanzavano verso di me insieme. O mio padre non era a conoscenza delle crudeli tendenze di quell’uomo, o non gli importava.
«Oddio,» mormorai. Mio padre voleva mettermi insieme al signor Benson. Non sarebbero venuti a prendermi di persona alla stazione - insieme – per nessun altro motivo. Mi montò la bile in gola nel rendermi conto che io ero l’anello di congiunzione tra le due più grandi miniere della città, possedute da loro due.
Non sarei andata in convento; avrei sposato il signor Benson e sarebbe accaduto presto.
Non potevo permettere che accadesse. Non sarei sopravvissuta al crudele schiocco di una frusta o a nessuna delle cose orribili che avrebbe fatto il signor Benson. Non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarmi, a salvarmi. Nessun Grande Sam. In quanto moglie, avrei potuto essere picchiata – o peggio – senza che nessuno intervenisse. Sarei stata una proprietà. Gemetti all’idea e afferrai il braccio del signor Corbin.
Sì, era un gesto impetuoso, ma disperato. Tuttavia, nel giro di un minuto, mi avrebbero trovata e mi avrebbero portata via.
Sollevai agitata lo sguardo sull’uomo. «Io... ho bisogno del vostro aiuto.»
Gli occhi del signor Corbin si assottigliarono mentre abbassava lo sguardo sul proprio braccio prima di guardarsi attorno alla ricerca di pericoli nascosti. Mi spinse dietro di sé, facendomi da scudo.
«Che succede, dolcezza?» mi chiese, gli occhi chiari che incrociavano finalmente i miei. Io deglutii, dal momento che era decisamente troppo bello e piuttosto preoccupato. Non mancai di notare la sua protettività, né il vezzeggiativo che gli conferiva fin troppa confidenza.
«C’è mio padre con un uomo a cui non voglio... offrire le mie attenzioni.»
Lui lanciò un’occhiata lungo la piattaforma. Per quanto ci fosse molta confusione, sapevo che aveva adocchiato il duo che mi stava cercando. Fui grata, per una volta, del fatto che Butte fosse un luogo tanto affollato.
«Uno è della stazza di una stufa panciuta e l’altro ha i capelli tirati indietro e i baffi?» mi chiese.
Annuii e tenni lo sguardo volto altrove, rabbrividendo alla descrizione del signor Benson. Il signor Corbin ci fece voltare così che il suo corpo bloccasse la vista dei due uomini su di me, concedendomi qualche altro istante di tregua. Era così grande che io ero ben nascosta dalle sue spalle e il petto ampio. Gli arrivavo a malapena alle spalle. Mi sentivo protetta e stranamente al sicuro.
«Sì. C’è molto da raccontare e poco tempo, ma mio padre vuole che lo sposi, quello con i baffi.»
«Voi non volete.» La sua voce era bassa e profonda, chiara e calma, a differenza del mio tono agitato. Avevo i palmi delle mani sudati e il cuore che mi batteva forte nel petto.
Rabbrividii all’idea di diventare la moglie del signor Benson. «Non potrei... non potrei sopportare il suo tocco.»
Il signor Corbin in qualche modo si fece più alto, più allerta. «Se ha fatto qualcosa di inappropriato, lo ucciderò.»
Le sue parole brusche mi fecero incurvare la bocca in un piccolo sorriso, ma mi preoccupai che facesse piuttosto sul serio. Non temevo il fatto che si fosse offerto di uccidere qualcuno, bensì la trovai una cosa piuttosto protettiva e rassicurante.
Dando una rapida sbirciata dietro la spalla del signor Corbin, vidi che si stavano avvicinando. «Fingete di essere il mio promesso sposo,» dissi in fretta. L’idea era assurda, ma fu la prima che mi venne in mente. Poteva funzionare. Il signor Corbin era dell’età giusta, non era sposato – se non altro non aveva accennato ad una moglie durante la corsa in treno – ed era dello stato sociale appropriato per rendere la cosa credibile a mio padre e al signor Benson.
Fu il suo turno per sorridere. «Quando qualcuno mi fa una proposta di matrimonio, dovrebbe quantomeno mettersi in ginocchio.»
Stringendo le labbra, respinsi quella sua frivolezza. «Mio padre intende darmi in sposa ad un uomo per ampliare i suoi possedimenti minerari. Sarei la terza moglie di quell’uomo: la prima è morta di parto e la seconda è scomparsa misteriosamente.»
Ogni traccia di divertimento svanì dal volto del signor Corbin.
«Il vostro aiuto ritarderebbe ciò che loro vedono come inevitabile, ma mi concederebbe del tempo per fuggire.»
«Fuggire?» domandò lui, la voce fredda.
«Ho preso tempo trascorrendo questo mese con mia nonna a Billings, ma gli uomini sono entrambi impazienti. Non sarebbero venuti alla stazione per me, altrimenti. Non è nella loro natura occuparsi di nessuno a parte se stessi.»
«Lo temete così tanto?» mi chiese. Il suo sguardo scorse sul mio volto come a valutare la verità che si celava dietro le mie parole.
Fissai lo sguardo sui bottoni della sua camicia così da non doverlo guardare negli occhi mentre dicevo, «Temerlo?» Annuii. «Assolutamente. L’ho anche visto con delle p********e e so che non siamo... fatti l’uno per l’altra. Ciò che desidera lui e ciò che bramo io sono agli antipodi.»
Non c’era tempo per scendere nei dettagli della crudeltà del signor Benson.
Un sopracciglio chiaro del signor Corbin si inarcò. «Mi piacerebbe sentire che cos’è che bramate voi, ma in un altro momento.» Si lanciò un’occhiata alle spalle. «Se vostro padre è tanto ansioso di darvi in sposa a quest’uomo, un fidanzato non lo fermerà. Riconosco il vostro nome, dolcezza, e vostro padre è uno potente da queste parti.»
Afflosciai le spalle e mi si riempirono gli occhi di lacrime. Non mi avrebbe aiutato. Nessuno si sarebbe messo contro il signor Gregory Millard. Non appena mio padre mi avesse trovata, sarei stata condannata a sposare un uomo terribile. La sola idea del signor Benson nudo sopra di me, che mi toccava, che mi scopava, che mi faceva del male, mi strappò una smorfia.
«Che succede?» Il signor Sullivan scese dal treno e ci affiancò. Era il compagno di viaggio del signor Corbin e si era unito a noi per conversare e per pranzare. La sua voce era profonda e liscia, le sue spalle ampie e muscolose. Era un tantino più alto del signor Corbin e molto più intimidatorio.
Fianco a fianco, i loro immensi corpi mi proteggevano dal sole, e sperai anche da mio padre.
Sapevo dal viaggio che arrivavano da Miles City e che sarebbero scesi anche loro a Butte, ma avrebbero poi proseguito a cavallo fino a Bridgewater. Avevano sentito parlare di quella comunità, che si trovava ad un paio di ore in sella dalla città, ma non avevano mai incontrato nessuno di lì prima d’ora. Si erano mostrati degli interlocutori piacevoli e per bene.
Sollevai lo sguardo sul signor Sullivan, tutto capelli scuri e atteggiamento sereno. Posò due borse di cuoio a terra ai propri piedi. Dove il signor Corbin era gioviale e affabile, il signor Sullivan sorrideva raramente. Era difficile leggergli nel pensiero, capire se avesse trovato la mia presenza nel vagone ristorante una seccatura o meno. Si era limitato a fissarmi, sempre più intensamente. Era stato snervante, per usare un eufemismo, come se quell’uomo fosse stato in grado di individuare ogni mio segreto. Nel vagone ristorante, il signor Corbin aveva dato una pacca sulla schiena del suo amico e mi aveva assicurato che si mostrava pensieroso con tutti.
«La signorina Millard non vuole corteggiare l’uomo che si sta avvicinando assieme a suo padre. Mi ha chiesto di aiutarla fingendomi il suo promesso sposo, ma non funzionerebbe.»
Il signor Sullivan osservò la folla e, per quanto non potessi vederli, riconobbi l’istante in cui li individuò. «Benson. Merda, donna, dovreste sposare Reggie Benson?»
Spalancai la bocca sorpresa e nemmeno per via della sua imprecazione. Per quanto nessuno dei due fosse povero e in cerca di lavoro per sopravvivere, non indossavano abiti alla moda come i veri ricchi. Non sembravano i tipi da avere a che fare con il signor Benson, ma era possibile che mi sbagliassi. Chi erano quegli uomini e chi ero io per chiedere il loro aiuto?
Mi schiarii la gola e incrociai gli occhi scuri del signor Sullivan. «Sì, mio padre insiste molto sul voler ampliare il proprio impero minerario. Dal momento che il signor Benson possiede la Beauty Belle, sono certa delle sue intenzioni.»
Il signor Sullivan annuì deciso. «Allora dovremmo semplicemente ucciderlo.»
Prima che potessi anche solo balbettare una risposta di fronte a quella maniera... violenta in cui entrambi volevano risolvere il mio problema, il signor Corbin parlò. «Mi sono già offerto volontario.»
Il signor Sullivan grugnì. «Parker ha ragione, signorina Millard. Un fidanzamento non fermerebbe Benson.»
Tanti cari saluti alla mia idea. Guardai a terra, abbattuta. Non avevo dubbi che entro la fine del mese sarei diventata la signora Benson. Schiarendomi la gola, mi stampai in volto il mio miglior sorriso falso. Ero piuttosto brava a fingere felicità. «Sì, capisco. È stata un’idea sciocca. Vi ringrazio entrambi per avermi aiutata a trascorrere il tempo sul treno, signori, ma devo-»
Il signor Sullivan mi interruppe. «Un fidanzamento non fermerebbe quell’uomo,» ripeté. «Ma un matrimonio sì. Non con Parker. Nero su bianco, legalmente, dovreste sposare me.»
«Chiedo scusa?»
«Se lui è come dite, allora non posso, con tutta coscienza, permettervi di sposarlo.»
Lanciai un’occhiata al signor Corbin e lui annuì, d’accordo.
Doveva essere evidente dalla mia espressione quanto fossi sconvolta. «Sì, ma sposandomi voi al posto suo?»
Il signor Sullivan posò la punta delle proprie dita sulle mie labbra ed io spalancai gli occhi al suo tocco audace.
Lui a quel punto sorrise, un ghigno ampio e malizioso. «Sì, esattamente. Ci tengo ad avvisare che io non sono come Benson. Esigerò cose da voi, ma non vi farò mai del male. Sposatemi ed io vi proteggerò a costo della mia vita.»
Se non avesse premuto le dita contro le mie labbra, avrei spalancato la bocca di fronte a tale veemenza.