Capitolo 1-2

1855 Words
Kate le girò attorno, osservandole il viso. «Deve iniziare a truccarsi un pochino di più, Mirian» affermò. «Lei è molto giovane, senza trucco sembra una bimba». «Ho trentasei anni» si difese lei. «Se ne dimostra trentasei va benissimo. Posso concederle di dimostrarne trentacinque per pura solidarietà femminile, non di meno» dichiarò Kate, con un sorriso veloce. «Si faccia guardare». Fece un paio di passi indietro e si accarezzò il mento. «Quella gonna appena sopra il ginocchio? Naa. È vero che deve essere una di noi, ma la gente vera non porta gonne appena sopra il ginocchio. Proviamo un tailleur-pantalone, avvitato, scuro... può tenere le ballerine». Mentre lo diceva le passò una gruccia con appeso un completo. Mirian lo prese e andò dietro al paravento, che in realtà non le sembrava particolarmente coprente. Brennan andò a sbirciare tra i vestiti nel carrello. «Anche secondo me è meglio puntare su dei colori scuri. Sono più decisi, più aggressivi. Lei ha un viso piuttosto dolce... se resta sui toni chiari sembrerà una bambolina, no, Kate?». «Sì, esatto. Però non dobbiamo esagerare con l’aggressività. Per questo le ho fatto tenere le ballerine... lo stiletto sarebbe troppo. E proverei anche qualcosa di colorato. Magari un solo capo colorato su un abbigliamento scuro». Mentre loro parlavano come se lei non ci fosse, Mirian si sfilò la gonna e la giacca, per poi mettersi il completo blu scuro che le avevano passato. Uscì da dietro al paravento e notò che non c’era nemmeno uno specchio. Brennan fece una smorfia. «Sembra una valletta del Numero Uno. Bisogna togliere quella camicia bianca». «Sì, decisamente» concordò Kate. Andò a prendere un maglioncino dolcevita beige, ma lo scartò subito. Invece, selezionò una maglietta a maniche lunghe in una fantasia floreale. «Proviamo uno scollo. E poi...» aggiunse, passandole anche una maglietta a maniche lunghe color corallo, «...proviamo qualcosa di colorato». Mirian sospirò e tornò dietro al paravento. Si tolse anche la camicia e si infilò la maglietta floreale. Scoprì che era arricciata subito sotto al seno e aveva un profondo scollo a V. «Fa vecchia signora» obiettò Brennan, quando la vide. «Inoltre ha la pelle così chiara che il decolté spicca parecchio. Per il momento ci servono cose più accollate. Provi l’altra maglietta, Mirian». Molto pazientemente, lei tornò dietro al paravento e si cambiò. Uscì di nuovo. «Ottimo, no?» disse Kate. «Proviamo senza reggiseno» commentò Brennan, inclinando la testa da un lato. Kate si grattò il mento. «Okay, proviamo». «Non sono sicura che...» iniziò Mirian. «Shh» fece Brennan. «Lei non pensi. Da brava, si tolga quel reggiseno». Piuttosto seccata, Mirian tornò dietro al paravento. Si sfilò giacca e maglietta, poi si tolse anche il reggiseno, lo fece ruotare nell’aria e lo lanciò in faccia a Brennan. «Ho deciso che mi fa piacere. Si sfoghi con questo!» disse, sarcastica. Brennan ridacchiò e appoggiò l’oggetto in questione sul carrello. «Non si arrabbi, Mirian. Se avesse avuto le tette grosse non l’avrei mai suggerito». «Oh, questo sì che è carino» fece lei, uscendo di nuovo. L’altro inclinò la testa, osservandola per bene. «Si metta le mani in tasca». Mirian si mise le mani in tasca. Brennan sorrise. «Hai visto?» chiese a Kate. «Sì, ottimo. Facciamo così». «Che cosa ha visto?» sbottò Mirian. Lui alzò una mano, mostrandole il palmo aperto. «La libertà. Proviamo anche l’abbigliamento casual?». «Non importa, mi sono fatta un’idea» disse Kate. «Può rivestirsi, Mirian. Grazie per la pazienza». Mirian si rimise frettolosamente il suo tailleur beige e la sua camicia bianca, irritata. Solo quando ebbe finito si rese conto di aver dimenticato il reggiseno, ma decise di fregarsene. A quel punto quei due cosiddetti esperti le fecero provare un certo numero di parrucche, decidendo che la cosa migliore era accorciarle un po’ i capelli, in modo che potesse portarli sia sciolti che raccolti. Dopo di che Brennan la fece passare nel suo ufficio, che era piccolissimo e pieno di riviste, manuali, fascicoli e raccoglitori, tutti buttati a casaccio o quasi, a riempire ogni angolo libero. «Tolga quella roba, si sieda» la invitò lo spin doctor, prendendo una pila di riviste dalla sedia dietro alla scrivania e spostandola sulla scrivania. Mirian fece altrettanto. Qualcosa le punse un dito e lei emise un “ahi”. Posò la pila di cartacce e si guardò il dito. Sopra c’era una goccia di sangue. «Merda. Ha per caso un fazzoletto?» chiese. Brennan gliene allungò prontamente uno, di cotone bianco, ma subito dopo si chinò sulla pila di fascicoli che lei aveva appena lasciato sulla scrivania. «È stato questo?» chiese, accigliato, indicando un fascicolo i cui punti metallici sporgevano. «È arrugginito». «Fantastico» borbottò lei, succhiandosi il dito. «Quando ha fatto l’antitetanica l’ultima volta?». Mirian si strinse nelle spalle. «Mai?». «Mai non è possibile. È un vaccino obbligatorio. Ma se non se lo ricorda sono passati più di dieci anni. Resti lì, vado a vedere se abbiamo una siringa di antitetanica nell’armadietto del pronto soccorso». «Che cosa?». Brennan sospirò. «La sua salute è di primaria importanza, Mirian. E mi dispiace davvero molto che si sia punta. Dovrei cercare di mantenere un minimo d’ordine. Ma siccome non lo faccio, questa cosa è già successa. Avevo ordinato delle siringhe pre-riempite di antitetanica... vediamo se ci sono. Altrimenti la accompagnerò al pronto soccorso». Detto questo, la lasciò nel suo ufficio e uscì a lunghi passi. Mirian, con il fazzoletto avvolto attorno al dito, si guardò attorno. Era davvero un casino. Si chiese come facesse Brennan a raccapezzarsi lì in mezzo. C’erano persino dei vecchi manifesti delle amministrative arrotolati e appoggiati in un angolo. Sentì la porta che si apriva e lo vide rientrare con un astuccio e una valigetta. «C’era» sorrise. «Avanti, le faccio una puntura». «In che senso mi fa una puntura?». «Antitetanica. Guardi, se non si fida. Non la voglio avvelenare». Mirian guardò davvero. L’astuccio era freddo al tatto e sopra c’era scritto che conteneva un’iniezione pre-riempita con il richiamo per l’antitetanica. «Okay, ma lei le sa fare, le iniezioni?» insistette. Brennan sospirò. «A parte il fatto che a quest’ora avremmo già finito... sì. So fare un’iniezione, so inserire una flebo e so anche cambiare un catetere, dato che mio padre è morto di cancro quattro mesi fa». «Mi... mi dispiace» disse lei. «Non si dispiaccia. Almeno ha smesso di soffrire. Adesso, da brava, si volti e si tiri su la gonna, okay?». Mirian arrossì, ma non ebbe più il coraggio di protestare. Tanto quel tizio era così intraprendente e sicuro di sé che se avesse deciso di portarsela a letto ce l’avrebbe fatta di sicuro, Mirian non si faceva illusioni. Si voltò e si tirò su la gonna, scoprendo i collant velati neri e gli slip bianchi che aveva sotto. «Si appoggi alla scrivania» disse Brennan. Lei fece anche quello. Sentì le sue mani che le tiravano i collant fin sotto al sedere e gli slip poco più in su. Lo vide aprire la valigetta e tirare fuori del disinfettante e un dischetto di cotone. Bagnò quest’ultimo e lo usò per disinfettarla nella parte alta di una natica, massaggiando leggermente. Chiuse gli occhi. Sapeva che massaggiare leggermente era la normale procedura per evitare che le restasse un livido gigante, ma le aveva lo stesso fatto provare un brivido. Perché doveva essere così disperata da eccitarsi per un’iniezione, pensò? Forse per lo stesso motivo per cui si eccitava spompinando il suo segretario di partito, che aveva un casino di anni più di lei e pure il cazzo piccolo. Ovvero che era un caso disperato. «Le fanno paura le iniezioni?» le chiese Brennan. «No, no» mormorò lei, senza riaprire gli occhi. Sentì il debole suono metallico di qualcuno che faceva vibrare un ago sfilando il cappuccio di una siringa e poi l’ago stesso che la pungeva, senza quasi che se ne accorgesse. Il liquido fu un po’ più fastidioso, ma Brennan glielo inettò davvero pianissimo. «Ecco fatto. Resti ferma ancora un secondo, okay?». Mirian annuì. Un istante dopo sentì di nuovo il lieve massaggio del dischetto intriso di disinfettante. Brennan lo appoggiò lì accanto e le tirò su gli slip. Mirian si voltò verso di lui e gli lanciò una lunga occhiata. «Scusi per la franchezza» disse, nel suo miglior tono amichevole da politico, «ma se le chiedessi di tirare di nuovo giù tutto e scoparmi lo considererebbe estraneo ai suoi doveri professionali?». Brennan inarcò un solo sopracciglio, una cosa che solo una percentuale di persone riusciva a fare. «Be’, sì» rispose. Mirian sospirò. «Già. Bella figura di merda». Lui le abbassò di nuovo gli slip. «Volevo dire che non lo considero un dovere. Se fossi in te appoggerei i gomiti sulla scrivania. Ora vado a cercare anche un preservativo». Mirian, vergognandosi come un cane, gli passò la sua borsa. «Sai com’è». Poi appoggiò effettivamente i gomiti sulla scrivania, piegandosi quasi di novanta gradi in avanti. Continuava a vergognarsi da matti, ma le erano anche diventati duri i capezzoli. Sentì le mani di lui sulle natiche, che le accarezzavano. Le prese le chiappe nei palmi e le allargò leggermente. Mirian trovò quella delicatezza di un erotismo quasi vertiginoso. Chiuse gli occhi, senza osare far nulla. Le dita di lui la accarezzarono tra le natiche e scesero, fino a sfiorarle le grandi labbra. Poi le scivolarono tra le grandi labbra, che a quel punto erano irrorate di sangue, mentre la fessura tra loro era bagnata. «Ti dispiace?» le chiese. Sul momento Mirian non capì. Si voltò leggermente, riaprendo gli occhi. Lui aveva preso uno sgabello. Le rivolse un sorriso tranquillo. «Sono alto. Ti dispiace?». Sorrise anche lei e salì con le ginocchia sullo sgabello, che fortunatamente era imbottito. In questo modo il suo sedere era molto più in alto. Brennan la accarezzò di nuovo sulle natiche e sulla passerina, che ormai era piuttosto fremente e bagnata, per poi stuzzicarla con un dito. Mirian sospirò. Lo sentì slacciarsi la cintura e abbassarsi la cerniera. Poi il rumore di una bustina strappata. Poi, dopo qualche secondo, si trovò con qualcosa di duro e rotondeggiante che si infilava tra le sue grandi labbra, forzava leggermente l’apertura della sua fica e le entrava dentro. Brennan la penetrò del tutto e Mirian pensò che era magnificamente grande, duro e lungo. Ossia non come i peni che aveva maneggiato negli ultimi anni, che erano sempre deficitari sotto qualche punto di vista. Lui iniziò a muoversi e lei gli strofinò il sedere contro. Si chiese se dovesse dire qualcosa, ma non trovò niente da dire. Era così appagante, ma non poteva dirgli “sai, sono proprio soddisfatta”. Quindi non disse niente, ma allargò meglio le cosce, perché lui riuscisse a infilzarla completamente. Brennan la prese per i fianchi e accelerò. Mirian si sentì piena, fottuta e allargata. Ebbe l’impressione di non riuscire a prenderlo tutto, e anche quello era perfetto. Poi lui allungò una mano e la accarezzò anche sul piccolo triangolo di peli che aveva sul monte di Venere. Cercò il suo clitoride, lo trovò e iniziò a stimolarlo. Forse era un alieno. Mirian gemette di piacere, premendo il sedere contro di lui. Brennan la toccò anche lì dietro, facendola irrigidire. «Lo vuoi anche qua?» le chiese, con quella sua voce bassa e tranquilla. «No, non l’ho mai...» ansimò lei. «Fai quello... che vuoi...» cambiò idea. «Un’altra volta, magari» disse lui. Spostò la mano e riprese a scoparla esattamente come prima. Mirian strizzò gli occhi e posò la fronte sulla scrivania. Gemette di piacere, sentendosi piena del cazzo di quel semi-sconosciuto così accomodante. Sentì l’orgasmo che arrivava, facendola palpitare attorno a lui. Venne, tremando letteralmente di piacere. Brennan continuò ancora un paio di minuti, prima di emettere un basso gemito e piantarglielo dentro ancora due o tre volte, concludendo. Rimase lì per un altro mezzo secondo e poi si sfilò. Mirian scese dallo sgabello, barcollando. Si voltò verso di lui, tirandosi su gli slip e i collant. Era sicura che sarebbe morta di vergogna. «Senti...» borbottò, con un gesto vago. Lui sorrise. «No, senti tu. Per oggi abbiamo finito, con la tua campagna, ma potremmo portarci avanti con il lavoro. Andiamo a casa tua. Mi fai dare un’occhiata. E ti faccio anche il culo, se ti è rimasta la curiosità».
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