Nash
Luce fredda. Luce grigia. Sento i latrati dentro alle orecchie.
Le pareti di cemento non cambiano mai, ma di notte si fanno più strette. Il mio leone vede al buio, ma questo non significa che la notte non abbia un certo effetto su di me. So sempre quando cala il buio.
E quei latrati.
Non so se siano veri o immaginati. Ho ucciso così tanto. Le loro grida sono la mia pena. Da sveglio o mentre dormi, è sempre la stessa storia. La mia vita è un incubo senza fine.
Qualcuno sta cantando, da qualche parte.
“Quando gli occhi d’Irlanda sorridono…”
La luce del sole mi scalda il volto, inframmezzata dall’ombra delle inferriate. Sono a letto, su una brandina. Le pareti non sono più di cemento, ma color bianco sporco. E sottilissime. Sento delle voci mormorare in salotto, insieme al miagolio irlandese. Il suono mi avvolge e i miei muscoli tesi si rilassano.
La mia vista, tinta di rosso, si fa più chiara, e il leone si ritira. Sono in una camera da letto, non in una cella con le guardie fuori dalla porta che aspettano di fare irruzione. Ma il mio animale è pronto a combattere. Lo è sempre. Anni di abusi lo hanno spezzato permanentemente.
Il sudore ha inzuppato le lenzuola sotto di me. Un’altra brutta nottata, riempita da sogni che mi vedevano rinchiuso in una cella. Da flashback. Ma a volte i sogni sembrano più reali.
Mi tiro fuori dal letto, e lo faccio con precisione marziale, come ho fatto ogni dannato giorno, da quando sono entrato nell’esercito. “Puoi tirare fuori l’uomo dall’esercito, ma non tirerai mai fuori l’esercito dall’uomo,” ci diceva il nostro istruttore. Aveva ragione. Però a volte mi chiedo se riuscirò mai a tirare fuori l’assassino dal mio leone.
Appena apro la porta della camera, la canzone si interrompe.
“Nash?” Una testa fa capolino nel corridoio.
“Cosa ci fai qui?” Guardo torvo il mutante, un volto giovane con un cespo di capelli prematuramente grigi.
Parker scrolla le spalle e si fa indietro, in modo che possa entrare in salotto. “Mi hanno buttato fuori dall’ultima casa. Hanno visto il mio animale che scorrazzava in giro e mi hanno detto niente animali domestici. E tu hai una stanza in più.”
Non ho niente da dire in contrario, quindi mi volto verso gli altri due intrusi stravaccati sul logoro divano. Due uomini, con i capelli neri e una bottiglia di torcibudella in mano, l’altro più alto di tutti quanti noi e magrissimo. Quello alto ha degli occhiali dalle lenti spesse e sbatte continuamente le palpebre. Quello con i capelli neri sorride.
“Vi avevo detto di non venire qui,” ringhio, rivolgendomi a tutti quanti.
“Sei quello con la casa più grande.” Parker nasconde un sorriso. Per un momento considero l’idea di levarglielo dalla faccia e poi di pulirci il pavimento. Ma no. È il mio manager. Se lo distruggo, chi gestirà i miei combattimenti poi? Far sanguinare un avversario con regolarità è l’unica cosa che tiene in vita il mio animale.
“Ehi.” Punto il dito contro l’uomo con i capelli neri, che sta aprendo una bottiglia contrassegnata da un’etichetta illeggibile. “Che cazzo è quella roba? Puzza da solvente.”
“Questo? Solo un pelino di alcool post sbornia. Ci ho dato dentro ieri sera col bere, e cose così. Questo mi tira su in un batter d’occhio.” L’accento irlandese penetra nel mio cervello, che tira fuori un nome. Declan. Mutante, animale sconosciuto. Sa un po’ da lupo, un po’ da… qualcos’altro. Un miscuglio mutante, prodotto di esperimenti effettuati nei laboratori sotterranei della Data-X. L’irlandese è uno dei pochi sopravvissuti. Lo definirei fortunato, ma non lo è. I fortunati sono morti, o scappati presto. Tutti noialtri soffriamo ancora, anche se ce la siamo svignata. Anche se abbiamo incenerito quel posto.
“Ne vuoi un po’?” Declan mi offre la bottiglia. Sento il leone salire in superficie. Lo ricaccio giù di brutto. Per quanto ubriacarsi prima di mezzogiorno sia una bella tentazione, non sono evaso dal laboratorio prigione per sprecare le mie giornate.
“No. E bevilo fuori. O ancora meglio, usalo per seccare le erbacce del vialetto.”
“Hai proprio ragione, capo.” L’uomo con i capelli neri mi fa ironicamente il saluto militare. “Se tu l’alfa.”
“Non sono il vostro alfa,” esclamo mentre vado in cucina. Colazione. Cibo. Normalità. Esegui i movimenti, anche se il concetto di normale è come un Paese straniero che non rivedrò mai più.
“Adesso sei il re delle bestie, no? Se fossi in un branco, saresti il capo.”
“Non siamo un branco.” Apro il frigorifero e afferro la prima cosa dall’aspetto commestibile: un cartone del latte. Lo apro e bevo direttamente dal contenitore, ignorando Parker appoggiato alla porta.
“Pronto per il gran combattimento?”
Sbuffo.
“Un altro mutante grizzly. Questo viene da Saskatchewan, o qualche altro posto dimenticato da Dio. Giuro che nei depositi di legname non fanno altro che combattere.”
“Bene.” Meno probabilità che il mio leone lo uccida.
“Le scommesse sono divise abbastanza alla pari,” dice Parker pensieroso. “Gli orsi bruni sono gli unici che potrebbero batterti.”
Sul ripiano della cucina c’è un contenitore di plastica con dentro delle specie di biscotti fatti in casa. Ci do un colpetto sopra con il dito. “Che roba è questa?”
“Scone. Li ha fatti Laurie.” Appena lo dice, sento l’odore piumato del mutante gufo, insieme all’intenso aroma zuccherino dei dolcetti cotti al forno. Apro il contenitore e ne prendo due.
Sento vibrare la tasca e tiro fuori il telefono. Un messaggio da un numero sconosciuto.
Io e Layne stiamo arrivando. Abbiamo aggiornamenti per te.
Rispondo: Mi trovate alla Fossa. E dato che non riesco a trattenermi, aggiungo: Che informazioni?
Kylie ha ricevuto una soffiata su una donna che vive a Temecula. Aspettiamo ancora conferma, ma pensiamo che sia Denali.
Denali.
Rosso. Nero. La porta della cella si apre, io sto sull’attenti. Le guardie entrano con le armi puntate contro di me. Li aspettavo. Non mi aspettavo lei. Un profumo di cannella riempie l’aria. Cannella… ed eccitazione.
“Nash? Nash?”
Il ricordo ricade nel buio e svanisce, lasciando davanti a me il volto preoccupato di Parker. Dietro di lui, Declan e Laurie sono sulla porta e mi fissano.
Il mondo si tinge di rosso per un secondo. È il mio leone che cerca di prendere il comando. Questi flashback sono ingestibili. Quando ho una buona giornata, si può dire a malapena che sia sano di mente. Cosa succederà sé è davvero Denali?
“Devo andare.” Due passi verso la porta e mi giro, afferrando un altro scone e sollevandolo davanti agli occhi dell’uomo alto. “Grazie. Sono buoni.”
Il mutante gufo sbatté le palpebre dietro ai suoi occhiali grossi come fondi di bottiglia.
Esco dalla porta sul retro e me ne vado.