1.
Quando Ferry-Boat John adocchiò Jena per la prima volta lei stava eseguendo un trucco davvero crudele su un giovanotto in doppiopetto.
Ferry riconobbe all’istante una professionista al lavoro e, altrettanto all’istante, seppe che non si trattava di un modo come un altro di guadagnarsi il pane.
No, la ragazza stava per spennare l’ignaro giovanotto per dispetto, solo per ferirlo nell’amor proprio. Lui aveva l’aria del coscienzioso quadro d’azienda, troppo prevedibile per costituire un problema per la fantastica arpia che lo stava circuendo. Ferry provò un improvviso senso di pena per il povero ragazzo, ma si guardò bene dall’interferire.
Il trucco era davvero il più vecchio del mondo o, almeno, il più vecchio da quando era stata inventata la carta di credito.
Ferry guardò il barman che le faceva da complice e sperò intensamente che lei non ci andasse a letto. Era davvero brutto.
Il giovanotto si allontanò e Ferry continuò a fissare l’oggetto del suo interesse senza nemmeno tentare di nascondersi. Era proprio meravigliosa. Gambe lunghissime, caschetto nero inchiostro e occhi color ghiaccio, con due zigomi per i quali avresti potuto morire. E se non era già successo a qualcuno, era solo questione di tempo.
La vide accarezzare con affetto il dorso della mano del barman – un buon candidato per il suicidio d’amore – e virare con decisione verso il suo tavolo. Ferry bevve un sorso dalla pinta di Guinness, cercando di darsi un tono.
«Chi saresti tu?» chiese lei, senza preamboli, e si sedette davanti a lui.
«John» rispose lui. «Ma è meglio che confessi subito che mi chiamano Ferry-Boat John, oppure Ferry».
«Tua mamma ti ha scodellato su un traghetto?» si informò lei, senza perdere il tono serio.
«No. Mia mamma mi ha scodellato davanti a un ospedale. E poi se n’è andata, è chiaro».
L’affascinante creatura che aveva davanti inarcò una delle sopracciglia.
«E che cosa vuoi da me, Ferry John? Non mi perdi di vista da mezz’ora».
Ferry bevve un altro sorso dalla sua pinta e cercò di scoccarle uno sguardo malizioso.
«Quello in seconda istanza» non si lasciò fregare lei.
«Spiegami che cosa vuol dire “istanza” e ti saprò dire se hai ragione, miss?».
«Jena».
Ferry si produsse in un largo sorriso un po’ viscido. «Strano nome».
Lei si cacciò una sigaretta in bocca e accese. Il primo sbuffo arrivò dritto sul naso di Ferry.
«Ehm… forse conosco qualcuno che vuole conoscerti» confessò, tossendo.
+++
L’uomo che si autodefiniva Ferry-Boat era ricomparso nel bar dell’Hotel Imperial due giorni dopo. Dietro al bancone c’era un altro barman, visto che Paul era stato arrestato il giorno prima per truffa.
Jena non si considerava responsabile della cosa. Non poteva prevedere che gli sbirri avrebbero preso sul serio la sua telefonata anonima.
Ferry-Boat probabilmente doveva il suo nomignolo al fatto che, come un traghetto, aveva una prua e una poppa, entrambe abbastanza larghe da ospitare una festa danzante. Lo stomaco era coperto da una brutta camicia hawaiana. Jena escludeva che sarebbe mai arrivato a veder accettata la sua seconda istanza, ma forse la prima poteva essere interessante.
Ferry beccheggiò fino a lei, al bancone, e si issò sullo sgabello accanto al suo con un grugnito.
«L’amico di cui ti parlavo vuole vederti» esordì, senza tanti giri di parole.
«E chi è questo amico?» chiese Jena.
«Stasera mettiti carina e presentati a questo indirizzo» replicò Ferry, appoggiando una zampa sudaticcia sul bancone. Quando zampa e padrone furono andati via sul bancone rimase un biglietto.
+++
La zona era chic e Jena si era messa carina. Indossava un vestitino nero abbastanza corto da essere considerato una maglietta e un paio di stivali da cavallerizza di vernice. Sopra aveva un cappottino nero con il cappuccio. Nella borsa una granata, tanto per andare sul sicuro.
Anche un uomo con un mitra rimane impressionato davanti a una granata, Jena lo sapeva per esperienza.
La casa era una di quelle grosse cose eduardiane, con tutte le tende chiuse e le luci dietro alle tende spente.
Jena si voltò a guardare il palazzo di fronte, tanto per sicurezza. Le finestre del secondo piano non erano illuminate e Jena iniziò a ricredersi sull’utilità della granata. Era difficile che una persona a cento metri di distanza e con un fucile di precisione in braccio rimanesse impressionata da una granata.
D’altro canto, pensò, forse la casa era sotto tiro, ma lei era invitata a entrare, non a offrirsi come bersaglio mobile.
Suonò al campanello e aspettò che qualcuno le aprisse.
«Fai il giro dal retro» le giunse la voce flebile di Ferry-Boat.
Sì, decisamente il tiratore scelto – in virtù dei nuovi indizi Jena considerava la cosa non più possibile, ma assai probabile – appostato dall’altra parte della strada non era in buoni rapporti con il padrone di casa.
Fece il giro dell’edificio e attraversò il giardino sul retro. Le begonie erano tutte morte, segno che rimanere allo scoperto innervosiva tutti, da quelle parti, compreso il giardiniere.
Ferry aprì la porta di una fessura e la fece scivolare dentro casa.
Non c’era luce, a parte quella della candela che l’uomo, per precauzione, teneva ben davanti a sé, col braccio teso, ma anche nella penombra si notava che la mobilia era di lusso.
«Ecco. Il capo ti aspetta qua dentro» la informò Ferry, aprendo la porta di un bagno.
Seduto sulla tazza, con i pantaloni ben allacciati, c’era un uomo basso e rotondetto. Non arrivava minimamente alla stazza di Ferry, ma compensava con la più impressionante faccia da batrace che Jena avesse mai visto. Sembrava che negli ultimi tempi avesse perso una decina di chili, con il risultato di assomigliare a un batrace a cui qualcuno avesse bucato la pancia. Jena immaginò che fosse proprio quello il problema.
Si fermò di fronte all’uomo e si mise le mani sui fianchi. Lui aveva gli occhi sfatti di chi non dorme da un paio di settimane.
Ferry si piazzò dietro di lei.
«Tu sei Jena Berry» disse l’ometto. Era una constatazione.
«E tu sei un morto che cammina» replicò Jena. Anche questa era una constatazione.
«Il signor Bronze…» iniziò Ferry, con voce indignata.
«Stai zitto, John» lo interruppe l’ometto. Sospirò. «La signorina ha ragione. È proprio per questo che l’ho chiamata». Sospirò una seconda volta, in modo ancora più affranto della prima. «Lei conosceva piuttosto bene il Maestro, mi risulta».
Jena aggrottò la fronte.
«Alexander Nabokov» chiarì il signor Bronze.
«Il Maestro? È uno scherzo?».
«Non direi» rispose Bronze. «Allora, lo conosceva?».
«Se vivere insieme a qualcuno per diciott’anni significa conoscerlo» si mantenne sul vago Jena. Non aveva mai saputo che qualcuno avesse chiamato Alexander “Maestro”, quindi forse no, non lo conosceva così bene.
Ferry, dietro di lei, tossicchiò imbarazzato, ma il signor Bronze sembrava oltre ogni forma di cortesia.
«Vede, il problema è, come ha senza dubbio intuito, che qualcuno vuole farmi la pelle».
«E vorrebbe sapere chi è questo qualcuno?»,
Bronze sospirò e questo sospiro fu più profondo e angustiato di entrambi i precedenti. «So benissimo chi mi vuole uccidere, signorina. E so anche chi tiene il dito sul grilletto. E, se così vogliamo dire, questo è il problema».
A quel punto Jena rinunciò a vedersi servita la versione breve e si sedette sul bordo della vasca da bagno.
+++
«Ha mai sentito parlare di “100 Strikes Jack”?».
«Veramente no. Non è proprio il mio ambiente».
«Del Pellegrino?».
«No».
«Di Night’s knight?».
«Scusi?»
«Night’s knight. Il Cavaliere della Notte».
«Mai sentito un soprannome più cacofonico. No, mi dispiace».
Bronze annuì. «Sono tutti killer a p*******o piuttosto famosi».
«Capisco. Come le dicevo non è il mio genere». Jena accavallò le gambe e accese una sigaretta. Ferry, appoggiato con la schiena alla porta, deglutì rumorosamente. «E uno di questi signori la tiene sotto tiro dalla casa di fronte?».
Bronze emise l’ennesimo sospiro. «Sfortunatamente no».
Jena aspirò ed emise una serie di piccoli anelli di fumo. Bronze tirò distrattamente lo sciacquone per far partire l’estrattore.
«Quello che tiene sotto tiro me, non ha un soprannome, temo».
«Ed è un fatto positivo o negativo?».
«Nessuno si è mai azzardato a dargliene uno».
«Ah». Jena sparò fuori un’altra serie di anelli di fumo. «Scommetto che non è incoraggiante».
Bronze si guardò le unghie delle mani. «In effetti no. Finora non ha mai fallito. È come il replicante biondo di Blade Runner, puoi solo sperare che muoia di vecchiaia. È per questo che vivo nella mia stanza da bagno da due settimane».
Jena scostò la tenda della vasca per apprezzare il materasso che giaceva sul fondo.
«Scomodo. Ma non ho ancora capito che cosa vuole da me».
La ventola d’areazione si fermò e Bronze tirò di nuovo lo sciacquone per farla ripartire. Jena spense placidamente la cicca nel lavandino.
«Allora?».
Bronze si guardò ancora le mani.
«Pensavamo che magari lei potrebbe convincerlo a rinunciare».
«In modo che lei possa eliminare il mandante e tornare a dormire nel suo letto?».
«Esattamente».
Jena si alzò. «Mi dispiace. Non saprei come convincere un killer a desistere neanche se ne andasse della mia vita».
Ferry si piazzò di fronte alla porta. «Aspetta» disse.
Lei lo osservò in silenzio per qualche istante. Nel corso del tempo, per un motivo o per l’altro, Ferry si era trovato di fronte a un certo numero di sguardi intimidatori. Nessuno di questi, tuttavia, gli aveva mai dato l’impressione di un iceberg in avvicinamento. Si sentiva come il Titanic un istante prima del disastro.
«Ho una granata nella borsa» disse Jena, in tono colloquiale.
Ferry emise un gemito strozzato, ma non si mosse. Era come congelato.
«La prego, signorina Berry. Solo un minuto ancora» disse Bronze.
Jena si voltò lentamente e Ferry si appoggiò alla porta. La collisione con l’iceberg non c’era stata.
«Signor Bronze. Per quel che ne so non c’è modo di fermare un killer, una volta che ha accettato un incarico, e se lo so persino io vuol dire che è di pubblico dominio. A meno che lei non creda che sarei capace di uccidere un killer».
Bronze per un momento sembrò speranzoso.
«E non lo sono» chiarì Jena.
«Ehm, no. Vorremmo che lei ci facesse da intermediaria».
Jena inarcò una delle sue magnifiche sopracciglia, disegnate con la matita nera sopra alla peluria quasi bianca.
«Ognuno ha il suo prezzo» spiegò Bronze.
«Così dicono. Dicono anche che se un killer accettasse di cambiare cliente ogni tre per due diventerebbe alla svelta molto ricco e molto morto».
«Non ci sono solo i soldi nella vita».
Jena incrociò le braccia. «E lei che cosa ha in mente di offrire?».
Bronze le rivolse un sottile sorrisetto. «Qualcosa che forse lei mi può vendere».