Capitolo due

2386 Words
Capitolo due Sasha «Dove stai andando con quello? Fermati! È di mia madre» dissi bruscamente a Viktor, uno degli uomini di mio padre. Era uno dei quattro idioti che oggi avevano fatto irruzione con tanto di scatoloni nell'appartamento da una camera in cui avevo vissuto nell'ultimo anno per mettersi a impacchettare tutto. In quel momento stava mettendo via l'insalatiera che avevo preso in prestito da mia madre la settimana precedente. «Sto solo eseguendo gli ordini» mi disse. Gli ordini di Maxim. Buffo che gli obbedissero, dato che Maxim non aveva nemmeno una posizione nell'organizzazione. Anche a me Maxim in mattinata aveva dato degli ordini via sms: Saluta e prepara due valigie, perché partiamo nel pomeriggio. A differenza di Viktor e Alexsei e degli altri due soldati, io non avevo obbedito. Non sarei andata da nessuna parte con Maxim. Non sapevo a che tipo di gioco contorto di giustizia poetica avesse giocato mio padre con le nostre vite, ma sposarmi con uno che mi odiava era stato la ciliegina sulla torta. Mia madre, il cui appartamento, quello in cui ero cresciuta, era accanto, entrò senza bussare e si fermò a valutare la confusione. «Te ne vai oggi» disse. Come affermazione, non come domanda. Scossi la testa. «No. Aiutami, a me non mi ascoltano. Digli di smetterla di fare i pacchi. Non vado da nessuna parte.» Mia madre mi prese per mano e mi trascinò nella mia camera da letto mezza piena. Quando scoprì che c'era un ragazzo anche lì dentro, mi trascinò in bagno e chiuse la porta. «Ascoltami, Sasha» sussurrò. Le scrollai di dosso la mano. «Che c’è?» «Tu parti. Tuo padre non mi ha lasciato niente. Niente. Ha lasciato tutto a Vladimir e a te, con la curatela del tuo ex amante.» «Non era il mio...» Mia madre agitò una mano impaziente. «Non importa. Maxim ha il controllo ora. Quindi devi andare con lui, essere gentile e assicurarti che i soldi rimangano dove dovrebbero rimanere: con noi.» La fissai. Mi sorprese quel suo lato. Era sempre stata passiva e compiacente con mio padre. Aveva preso quello che ci aveva dato senza mai chiedere di più. Ma con lui fuori dai giochi, forse all’eventualità di perdere tutto stava scoprendo la sua vulnerabilità. Vulnerabili lo eravamo entrambe. La ribelle che c’era in me avrebbe voluto dirle col cavolo. Avevo dei principi che non mi permettevano di essere venduta a un membro dell'organizzazione di mio padre. Ma io non avevo mezzi di sussistenza, e nemmeno lei. La laurea in recitazione americana era inutile sia qua sia là. L'unico lavoro che avevo svolto era stato un lavoretto al college che mi aveva portata a vestirmi in modo sexy per distribuire qualsiasi prodotto stessimo promuovendo. E l'avevo fatto solo per divertimento, non per soldi. Onestamente? Non dovevo lavorare. I soldi di mio padre erano destinati a noi, era solo stato uno stronzo per come ce li aveva dati. «E Vladimir? Dovrebbe provvedere a te.» Non mi ero mai decisa a chiedere di lui prima, perché sapevo che non avrei potuto tenere la bocca chiusa sul madornale errore della situazione. Mia madre strinse i denti. «Vladimir dovrebbe provvedere a me, sì. Ma avrai tutto tu. E non ho garanzie che Vladimir manterrà la sua parte dell'accordo. Non rinuncerai alla nostra eredità solo perché sei una vacca testarda.» Mi ritrassi, sorpresa da tante meschinità e disperazione. Come sull’orlo dell’esaurimento nervoso. O di un’azione folle. «Non mi arrenderò» le promisi. «Maxim e io troveremo un accordo.» Era il mio piano fin dall'inizio. Non voleva avermi sul groppone più di quanto io non volessi essere la sua devota mogliettina. Tutto quello che dovevamo fare era riconoscerlo e avremmo potuto rinunciare alla convivenza e alla finzione. Sarei rimasta qui. Mi avrebbe mandato un assegno ogni mese. O meglio ancora, un bonifico. Tornai in cucina, dove Viktor aveva impacchettato quasi tutto. Mi guardò, ma il suo sguardo andò oltre me, verso mia madre. «Stai bene, Galina? C'è qualcosa che posso fare per te?» Era la nostra guardia del corpo da quando ne avevo memoria. Lui e Alexei, l'altra guardia, vivevano in quello stesso edificio e si alternavano per farci da babysitter. Immaginavo che fossero felici di liberarsi di me. Ma all'improvviso mi venne in mente che Viktor avrebbe potuto non provare lo stesso per mia madre. Da come la guardava... Come avevo fatto a non accorgermene prima? «Puoi aiutare mia madre lasciando in pace la mia merda» gli dissi. «Mettilo giù!» Scattai quando infilò il mio costoso frullatore in una scatola. «Calmati.» Maxim entrò dalla porta di casa mia come ne fosse stato il proprietario. E forse lo era anche, chi poteva dirlo? Era vestito in modo impeccabile, come sempre, con una button-down azzurra fresca di bucato e pantaloni su misura. Aveva le mani infilate nelle tasche nello stile casual alla GQ che assumeva sempre quand’era in piedi. Come se niente lo scomponesse mai. La settimana precedente era stata un incubo nebuloso fatto di funerale e sepoltura. Mi ero dimostrata insensibile nel cercare di aiutare mia madre a sopportare il dolore. Troppo arrabbiata persino per analizzare il mio. Maxim si era tenuto a distanza, avevo sperato per poco interesse a mantenere in piedi il finto matrimonio. Ma pareva mi fossi sbagliata. E ora mi pentivo di non aver provato a parlargli quel giorno, prima che mettesse in moto tutto quanto. Per dissuaderlo da quella follia. «Verrà tutto spedito a Chicago. Se c'è qualcosa che vuoi lasciare a tua madre, diglielo e lo separeranno.» Incrociai le braccia sul petto. «Non andrò a Chicago.» «Questo non è in discussione» disse tranquillo, quasi come se si fosse aspettato la risposta ma non le desse peso. Abbassò lo sguardo sui miei seni, sollevati e incorniciati dalle braccia conserte. Oggi indossavo un miniabito attillato color oro rosa che avevo scelto per mettere in agitazione tutti gli uomini che sarebbero sciamati nel mio appartamento in mattinata. Fui molto più soddisfatta di quanto non avrei dovuto nello scoprire che anche Maxim ne era influenzato. «Ascolta.» Passai all'inglese perché noi lo parlavamo e gli uomini di mio padre no. «Lo so che adesso hai tu il controllo dei soldi. Mi sta bene. Farò la brava e ti ubbidirò. Ma non dobbiamo fingere di essere marito e moglie. So che non mi vuoi, e io ovviamente non voglio te.» «Il matrimonio non riguarda quello che vogliamo, cachapok.» Il vecchio vezzeggiativo che mi aveva dato – zuccherino – gli uscì dalla lingua con troppa disinvoltura e mi inviò un tripudio di vergogna e desiderio che minacciò di esplodermi di nuovo dentro neanche avessi avuto ancora diciassette anni. «Tuo padre ti voleva al sicuro e ha scelto me come tuo protettore.» Feci un gesto verso gli uomini che mi stavano smontando casa. «Viktor e Alexei mi terranno al sicuro, come hanno sempre fatto.» Anche se stavamo parlando inglese, Maxim si avvicinò di un passo e abbassò la voce. «Pensaci, cachapok. Se tuo padre ti avesse creduta al sicuro con loro, non avrebbe organizzato tutto per spedirti in America. Non mi avrebbe coinvolto.» Avrei voluto schernirlo. Io e mia madre eravamo praticamente proprietarie di Viktor e Alexei. Dopo aver bandito Maxim, avevo capito quanto potere potevo esercitare con la mia sessualità. E poiché era l'unico potere che avevo esercitato nella mia vita, l'avevo usato. Avevo giocato con gli uomini di mio padre. Adescandoli, mettendomi in ginocchio per loro. Succhiandogli il cazzo. Poi minacciando di dirlo a mio padre per ottenere da loro tutto ciò di cui avevo bisogno; di solito la libertà. Ma un accenno di presentimento mi attraversò, alle parole di Maxim. Aveva ragione. Morto mio padre, era cambiato tutto. Non avevo più alcun potere. «Vai a preparare le tue cose personali. L’aereo decolla tra un paio d'ore.» Scossi la testa in modo malizioso. «Non ci penso proprio.» Maxim si fermò, e mi risuonarono in testa i campanelli d'allarme. C'era un'aria pericolosa in lui. «Fai le valigie ora o viaggerai con quello che ti porterò io.» «Lasciami qui» provai di nuovo. «Puoi avere i soldi; è per quelli che sarei in pericolo, giusto? Quindi tienili tu. Dammi solo abbastanza per vivere e starò lontano dai tuoi affari. Lasciami qui.» «Pensi che ti abbia sposata per i fottuti soldi?» ringhiò. Il labbro superiore gli si arricciò. Non avrebbe dovuto essere così bello quando mi guardava con disprezzo dall'alto in basso. «Credimi, cachapok, non li volevo. Quelli, e tu, siete decisamente più problematici di quanto non valiate.» Allargai le mani. «Allora vai. Ti sto liberando dai guai. Vladimir mi proteggerà qui.» «Ho fatto una promessa a tuo padre, Sasha. Non la disonorerò tirandomi indietro.» Alzai gli occhi al cielo. Guardò l'orologio. «Il tempo sta per scadere, zucchero. A quanto pare viaggerai con ciò che è già imballato. Sali sulla macchina che ti aspetta fuori.» Non so perché dovevo proprio spingermi oltre il limite. La testardaggine era sempre stata la mia rovina. Incrociai le braccia sul petto, sollevai il mento e osai dire: «Fanculo.» Inclinò la testa. Mi aspettavo quasi uno schiaffo, come a volte mi aveva dato mio padre, ma sembrò assolutamente imperturbabile. «Se dovrò costringerti, ci saranno conseguenze, Sasha.» «Dai, provaci» lo sfidai. Maxim non si stava divertendo per niente. Perse la postura rilassata e si lanciò in movimento, come un leone addormentato che balza all'improvviso. Con una mossa rapida, mi gettò sulla sua spalla e mi portò alla porta, abbaiando a uno degli uomini di prendere le mie valigie e portarle alla macchina. La sua mano mi batté sul culo quando fummo fuori nel corridoio. «Ci sono conseguenze per la tua disobbedienza, cachapok.» Sorprendentemente, non sembrava arrabbiato. Aveva la voce rilassata e uniforme, nonostante lo sforzo di portarmi. Mi dimenai sulla sua spalla, cosa che mi fece risalire la microgonna intorno alla vita. Mi sculacciò di nuovo, aprendo con un calcio la porta delle scale invece di aspettare l'ascensore. «Smettila di dimenarti o ci romperemo il collo entrambi» consigliò mentre iniziava a scendere rapidamente i gradini. Trovai il retro della sua cintura e mi ci aggrappai. Il culo muscoloso gli riempiva i pantaloni, flettendosi mentre faceva le scale. Il calore mi turbinò nel basso ventre mentre la vecchia attrazione per quell'uomo riprendeva vita. Ricordai che aspetto aveva sul ponte dello yacht di mio padre. Senza la camicia, la pelle abbronzata al sole. Un Adone: muscoli scolpiti e linee perfette, nel pieno della giovinezza. E non era meno attraente ora, a trent'anni. Uscì dall'edificio e io allungai la mano per tirarmi giù l'orlo, arrabbiata perché stavo dando spettacolo all’autista e agli uomini di fuori. Mi mise giù, e quando l'autista aprì la portiera posteriore e si sistemò in attesa, mi spinse all'interno della spaziosa Towncar. Maxim gli disse qualcosa prima di salire accanto a me e chiudere la portiera, poi chiuse di scatto il finestrino tra il sedile anteriore e quello posteriore. Il modo in cui mi guardò fece contorcere tutto dentro di me. C'era una promessa oscura in quello sguardo. Come se si divertisse a punirmi. Ci saranno conseguenze. Cercai di controllare il rossore, uno degli aspetti negativi dell'essere una rossa. «E allora? Mi punirai, come ha suggerito mio padre?» Che sciocca a spingere ancora. Ma era Maxim, e non mi ero mai ripresa dal fatto che da ragazzini mi disprezzasse. Fui sicura di vederne gli angoli delle labbra contrarsi appena prima che mi tirasse sulle sue ginocchia. Ero allo stesso tempo elettrizzata e inorridita. Il mio corpo era già un cavo sotto tensione per essere stato ignominiosamente maltrattato da lui fuori dall'edificio. Ora, con la promessa della punizione, l'elettricità risuonò ovunque. Mi diede parecchie sculacciate, cinque per l'esattezza, poi mi strinse il culo rudemente. Il miniabito mi salì sui fianchi, esponendo la parte inferiore del culo. Indossavo un perizoma, e dato che l'abito mostrava tutto Maxim ora aveva una visione completa delle natiche. Non emisi suono. Respiravo a fatica, ma più per lo shock che per il dolore, anche se un formicolio e un bruciore iniziarono a manifestarsi mentre continuava a impastarmi e massaggiarmi il culo. Era piacevole. Umiliante, ma bollente. E quando le sue dita mi accarezzarono le gambe, sopra al perizoma, mi resi conto di quanto fosse ancora il mio uomo ideale. Mi ero innamorata – o forse era stata solo lussuria – di lui sullo yacht in Croazia, e anche se le cose erano andate terribilmente male sembrava che l'attrazione non fosse mai morta. Il calore mi pulsò tra le gambe. Maxim strofinò lungo la cucitura delle mie mutandine, tracciando il filo tra le natiche, e poi scese di nuovo giù. Inzuppai il triangolino di stoffa, incredibilmente eccitata. Nel momento in cui mi infilò un dito sotto le mutandine, però, i miei allarmi interni tornarono attivi. Gli scalciai in grembo. La verità era che non avevo mai permesso a un uomo di toccarmi lì. Avevo ostentato e bluffato la mia esperienza sessuale per ribellarmi a mio padre, ma alla fine ero stata davvero la brava ragazzina che lui voleva che fossi. E Maxim poteva pensare di poter fare quello che voleva con me, di avere diritti sul mio corpo perché di fronte a un impiegato mi aveva dato l'anello di mio padre, ma non sarebbe accaduto. Ondeggiai le gambe verso il pavimento della macchina e lui mi lasciò andare. Atterrai in ginocchio ai suoi piedi. «Non farò sesso con te» dichiarai, con i capelli arruffati che mi ricadevano sul viso. Mi lanciò uno sguardo insondabile. Era sempre difficile da capire. «Spero che tu sia brava a soddisfarti, allora, perché nessun altro uomo si metterà tra quelle gambe.» Arrossii per l'indignazione, probabilmente di un rosso più scuro dei miei capelli, ma prima che potessi pensare a una risposta lo sportello di Maxim si aprì e uno degli uomini mi afferrò la borsa. «Metto le valigie nel bagagliaio» disse a Maxim, poi lanciò un'occhiata a me, inginocchiata ai piedi di mio marito, e sorrise. «Non guardarla» ordinò Maxim sbattendogli la portiera in faccia. Mi afferrò il gomito e mi aiutò a rimettermi seduta accanto a lui. «Scusa» disse cogliendomi di sorpresa. «Avrebbe dovuto bussare.» «Immagino che pensi di possedermi» ribollii, ancora attaccata all'affermazione che aveva fatto sul mio corpo. «Penso che tu sia mia moglie» disse in tono piatto, trasmettendo in qualche modo tutto il fastidio che provava per la situazione. «E ti prometto che ucciderò chiunque ti tocchi.»
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